Intervento dell’Avv. Giovanni Formicola:
«Sia […] il vostro parlare sì, sì; no, no; il di più viene dal maligno» (Mt. 5, 37). «Chi non è con me, e contro di me» (Lc. 11, 23). «[…] tu non sei né freddo né caldo. Magari tu fossi freddo o caldo! Ma poiché sei tiepido, non sei cioè né freddo né caldo, sto per vomitarti dalla mia bocca» (Ap. 3, 15-16).
È invero difficile ignorare la prospettiva alternativa, la propensione drammatizzante, non «terzopolista» e centrista, di queste parole di Gesù. Eppure sembra da troppo tempo che la principale virtù di un buon cristiano, soprattutto in politica, sia quella di non prendere troppo posizione, onde non incorrere in pretesi estremismi e integralismi. Anzi e in realtà, il vero vizio è la radicalità, da ritenersi comunque impropria, in quanto contraria alla mitezza cristiana, anche quando si tratta di questioni evidentemente di principio. Ed invero, nessun tema politico deve avere una dimensione di principio, essendo questa riservata tutt’al più solo alla sfera della coscienza privata.
Ovviamente, non è mia intenzione confondere gli ambiti. Ogni pretesa di trascrizione letterale nell’ordine storico dell’ordine divino è per definizione deleteria, quando non catastrofica: tra i due sussiste solo un rapporto di analogia. Il «sì, sì; no, no» può riguardare esclusivamente la persona di Cristo, mai e poi mai alcuna personalità della storia. Epperò è innegabile che esso definisce il carattere che dovrebbe avere il cristiano, la sua attitudine psicologica e – sebbene nel modo dell’analogia e non meccanicamente – il suo sguardo sulla storia e sulla vita politica.
Una buona teologia della storia – che non può fare a meno di una buona filoso-fia della storia – riconosce che non è da questa che viene la salvezza, e che quindi non è il luogo dell’incondizionato, né mena ad esso. Dunque, la politica, nonché pre-tendere di attuare il bene, si può dare al massimo il più umile compito di limitare e arginare il male nella storia, ad essa indissolubilmente legato a causa del peccato ori-ginale, realtà quest’ultima tanto presente nella rivelazione cristiana quanto nella no-stra esperienza quotidiana («Video meliora, proboque. Deteriora sequor»: già Ovidio vedeva le cose giuste e le approvava, ma si sorprendeva a seguire quelle cattive). Ciò nondimeno rimane vero che la struttura della storia è intrinsecamente, e non solo per la teologia cattolica, bipolare: in essa si confrontano il bene e il male e la civitas hominum è sempre in bilico tra la civitas Dei e la civitas diaboli.
Probabilmente, rispetto a questa alternativa, ha ragione il grande colombiano Nicolás Gómez Dávila [1913-1994] quando afferma che nella nostra, che è l’epoca della Rivoluzione, «L’abilità dell’uomo di Stato […] intelligente si riduce all’avvicinarsi il più lentamente possibile alla catastrofe». Tuttavia, è essa l’orizzonte temporale dell’uomo, e ogni tentativo di diluirla in più rassicuranti e moderate prospettive terzoforziste e neo-proporzionaliste, per un miope calcolo di potere (il monopolista dell’impasto che sceglie di volta in volta in quale forno far cuocere il suo pane), non solo contrasta con l’ordine stesso delle cose, ma finisce inevitabilmente con l’annacquare e snervare ogni tensione ideale e spirituale, e quindi guastare anche la stessa coscienza cristiana che si vorrebbe preservare da tentazioni estremistiche e neo-temporaliste. Del resto, lungi dal trattarsi di una novità, la tentazione «centrista» è stata già sperimentata, e con esiti tutt’altro che rassicuranti, per il Paese e per la sua anima cristiana (se a qualcuno sta a cuore). Senza dilungarmi oltre per dimostrare la tesi, ricorro alle parole di Augusto Del Noce (1910-1989), che fu tra l’altro parlamentare democristiano e quindi non è certo sospettabile di ostilità preconcetta né nei confronti del partito, né nei confronti della sua linea. Egli, fin dal 1971, notava che «Da un quarto di secolo il partito dei cattolici è in Italia al governo, e nessuno può disconoscere certe benemerenze sul piano strettamente politico, ma forse mai si è avuto un così rapido ed esteso progresso dell’irreligione»[1]. Il pensatore torinese ascriveva tale effetto proprio alla pretesa neutralità laica e «centrista» nei confronti di principi e «valori» propri della coscienza cristiana, dove venivano confinati, nella migliore delle ipotesi, come in un ghetto. La così malintesa laicità della politica (alla quale si oppone non tale neutralità, bensì la «clericalità», peraltro abbondantemente praticata dalla Dc) si traduceva in un ateismo «come risultato», dimentica che «l’ordine della storia [di ogni storia] dipende dall’ordine della coscienza dei suoi attori» (Eric Voegelin [1901-1985]). Ed infatti, il ragionare di Del Noce concludeva già oltre quarant’anni fa che «La consueta formula centrista si presenta ormai del tutto logora e frusta»[2].
In altri e conclusivi termini, ferma restando la relatività della storia e quindi della politica, dove bene e male si confrontano, ma non si attuano in «purezza», l’as-setto bipolare non solo è quello che meglio riflette la realtà del creato e dell’uomo, ma è anche quello che consente, nella (relativa) drammatizzazione del confronto, di discernere meglio quanto sia effettivamente meritevole di tutela per una coscienza politica cristianamente formata.
Naturalmente, nessuno (o quasi) teorizza in modo esplicito la melassa «centrista» e neppure la «politica dei due forni». Gli strali sono tutti scagliati contro il «bipolarismo muscolare» che è fallito. Sul fallimento ci sarebbe molto da dire, e forse sarebbe più giusto parlare di sabotaggio, se non di auto-demolizione. M’interessa di più, però, la struttura della formula. Essa appartiene a quel genere di locuzioni in cui l’aggettivo – superfluo e malizioso – si «mangia» il sostantivo: come muscolare serve ad annientare bipolarismo, così, ad esempio, «democratico» (o «adulto») dissolve «cattolico»[3], «sociale» corrode «mercato», etc. C’è dunque il trucco, e perciò l’argo-mento non vale.
Rimane un punto. Sempre nello stesso spirito anti-bipolarista, c’è chi vorrebbe ricomporre un’area politica cattolica anche di nome e collocarla appunto al «centro». Osservo anzitutto che un’ulteriore conferma del fatto che, come esiste il naturaliter christianus, si può dire anche che il cristiano dovrebbe essere naturaliter bipolarista – consapevole che mediamente gli toccherà di scegliere il meno peggio –, la offre il recente magistero pontificio sui «principi non negoziabili»[4]. Insegnamento che appunto definisce in politica una polarità alternativa, non derogabile per la coscienza cristiana (e non solo), anzi unico criterio legittimo di discernimento politico, che mal si concilia con improbabili «terzi poli» cristiani e maggioranze variabili in clima neo-proporzionalista. Proseguo, ricordando la replica del professor Pietro De Marco, a margine delle elezioni del 2008, a chi lamentava un’assenza cattolica nel governo di centrodestra: «l’automatismo che in Italia identifica i cattolici con gli eredi della Democrazia Cristiana […] implica un rischio di cecità diagnostica del presente». Infine, sottolineo che più del «nome» cattolico rileva il contenuto cattolico. Ed allora, dopo episodi come quello del tentativo di salvare la vita alla povera Eluana Englaro con un decreto approvato all’unanimità dal consiglio dei ministri presieduto dall’on. Berlusconi, cui si opposero in un rinnovato patto Molotov-von Ribbentrop i presidenti Napolitano e Fini, mi viene in mente un’altra parola di Gesù. «Chi non è contro di noi, è per noi» (Mc. 9, 40).
Egli si riferiva a chi, pur non facendo parte del Suo seguito, cacciava gli stessi demoni che cacciava Lui. Forse, tra costoro, va annoverato al tempo nostro anche chi, pur non facendo parte della Comunità di sant’Egidio, s’adopera, magari in modo muscolare, senza tiepidezza ma con caloroso fattivo impegno, a combattere i demoni dell’aborto, dell’eutanasia, dell’eugenetica prenatale, del «matrimonio» omosessuale, ed altre amenità del genere sulle quali da sempre, invece, i cattolici con l’aggettivo negoziano.
[1] A. Del Noce, «Repubblica della cultura» e realtà politica, in L’Europa, V, 17, 15-11-1971, pp. 33-34, ora in Idem, Fascismo e Antifascismo. Errori della cultura, Mondadori (Leonardo), Milano 1995, p. 176.
[2] Ibid., p. 173.
[3] Un esempio tra i tanti è in questa nota de L’Osservatore romano del 6 dicembre 2005: «Qualcuno, cattolico secondo i suoi personali parametri, nei giorni scorsi ha ritenuto di sorvolare su precedenti interventi dell’Osservatore Romano in tema di coppie di fatto, liquidandoli come una ventennale e perciò obsoleta ripetizione di concetti. Forse sarebbe più utile a quelli che già ben più di vent’anni fa amavano definirsi “cattocomunisti” se L’Osservatore Romano si prestasse alla mutevolezza delle loro argomentazioni rinnegando il progetto originario di Dio sul matrimonio e sulla famiglia. Si chiamino coppie di fatto, Pacs, unioni civili e via così in un vuoto esercizio di fantasia, la realtà è una sola: si cammina ostinatamente verso lo scardinamento della famiglia,deformandone l’autentica concezione e la sola ragione d’essere».
[4] Mi sembra utile riportare di seguito la parte dell’intervento pontificio ad essi relativa, forse più citato che letto integralmente, che acquista particolare rilievo se si considera che esso fu rivolto alla vigilia di elezioni «bipolari» a uomini politici. «Per quanto riguarda la Chiesa cattolica, l’interesse principale dei suoi interventi nell’arena pubblica è la tutela e la promozione della dignità della persona e quindi essa richiama consapevolmente una particolare attenzione su principi che non sono negoziabili. Fra questi ultimi, oggi emergono particolarmente i seguenti:
– tutela della vita in tutte le sue fasi, dal primo momento del concepimento fino alla morte naturale;
– riconoscimento e promozione della struttura naturale della famiglia, quale unione fra un uomo e una donna basata sul matrimonio, e sua difesa dai tentativi di renderla giuridicamente equivalente a forme radicalmente diverse di unione che, in realtà, la danneggiano e contribuiscono alla sua destabilizzazione, oscurando il suo carattere particolare e il suo insostituibile ruolo sociale;
– tutela del diritto dei genitori di educare i propri figli.
Questi principi non sono verità di fede anche se ricevono ulteriore luce e conferma dalla fede. Essi sono iscritti nella natura umana stessa e quindi sono comuni a tutta l’umanità. L’azione della Chiesa nel promuoverli non ha dunque carattere confessionale, ma è rivolta a tutte le persone, prescindendo dalla loro affiliazione religiosa. Al contrario, tale azione è tanto più necessaria quanto più questi principi vengono negati o mal compresi perché ciò costituisce un’offesa contro la verità della persona umana, una ferita grave inflitta alla giustizia stessa (B. XVI, Discorso ad una delegazione del PPE, 30 marzo 2006).