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A guardare i volti di Macron e di Orban a Milano e il lieve incresparsi della loro fronte quando pronunciavano il nome di Macron, un esperto di prossemica direbbe che volevano comunicare: «è lui il nostro nemico», come del resto hanno sostenuto, pur senza usare questo termine. Non sappiamo che volto avesse il presidente francese nel momento in cui ha detto «sì, sono i miei oppositori» ma la sostanza è che i duellanti si siano riconosciuti. Per non far apparire tutto una bega tra personalità e rispettivi ego e neppure una questione di rivalità nazionali, pur esistenti, bisogna capire che ciò che li separa è un’idea antitetica di Europa. Quella di Macron è un‘Europa federale, sovranazionale, erede della tradizione europeista del centro-sinistra francese e del popolarismo « avanzato » tedesco. Quella incarnata da Salvini e da Orban è invece un’altra idea di Europa: quella delle nazioni, che considera tanto pericoloso quanto impossibile realizzare l’unità dei popoli europei sotto un’unica entità statuale, che guarda all’Europa come un’alleanza tra nazioni in grado di condividere tra loro solo alcune sfere di sovranità. Non è anti-europeismo: a meno di non definire tali figure come De Gaulle, Thatcher o anche Adenauer, che queste posizioni sostenevano. Dietro Macron c’è un’Europa “progressista”, convinta che lo sforzo volontaristico della politica debba sospingere, anche forzandola, sempre più avanti l’umanità. Mentre dietro Salvini e Orban c’è un’Europa conservatrice, legata invece alle preservazione delle tradizioni, dei costumi, profondamente ostile a un’idea di progresso che metta in pericolo l’identità occidentale, a cominciare dalla religione cristiana. Limitarsi però a Orban e a Salvini sarebbe riduttivo; sposano queste sensibilità leader del Ppe come Kurz, il ministro degli esteri tedesco Seehofer, il presidente dei neogollisti Wauquiez, più il fronte frettolosamente chiamato sovranista, da Le Pen all’Afd alla Fpo, fino ai «nordici», danesi e svedesi: questi ultimi indicati come primo partito nelle elezioni parlamentari della prossima settimana. E’ questo il punto di divisione, che taglia in due e sempre più taglierà la politica non sono italiana ma europea. Un primo campo di battaglia vedrà i due eserciti fronteggiarsi il prossimo maggio alle Europee. Ma sarà dopo il risultato elettorale che inizieranno i giochi veri. E qui ci si accorgerà quanto questo nuovo bipolarismo sia destinato a frantumare le famiglie politiche europee. I socialisti probabilmente raccoglieranno polvere e dovranno accodarsi al progetto progressista-macroniano. Anche il Ppe però sarà diviso in due, tra federalisti e nazionalisti, tra progressisti e conservatori, come lo sono già anche i singoli partiti del Ppe, a cominciare dalla Cdu. La Merkel appartiene certo al campo «progressista»: ma difficilmente vorrà farsi portatrice d’acqua del macronismo. Sempre che, di fronte a una disfatta della Spd alle Europee, resti Cancelliera a lungo. O Macron o Orban/Salvini, tertium non datur. Eppure un tertium c’è, i 5 stelle. Sono loro quelli destinati a pagare questo nuovo bipolarismo. Unici nel panorama europeo, i cui soggetti antiestablishment omologhi sono di destra o di estrema sinistra, i grillini per certi aspetti paiono vicini all’Europa delle nazioni ma per molti altri ne sono lontani. O meglio, su molti dossier non si sono mai espressi, et pour cause. La grande risorsa della creatura di Casaleggio (padre e figlio) e di Grillo sta infatti nel suo essere trasversale, da catch-all-party: anche oggi a parole sono più anti Ue della Lega (è Di Maio e non Salvini a non voler pagare i contributi) ma nei fatti molto più accomodanti. Senza considerare il rapporto un po’ indecifrabile che sembra legare il premier Conte e Macron, che infatti nelle sue intemerate tende sempre a distinguere Lega e 5 stelle. Essi dovranno decidere in che campo stare, se non durante la campagna elettorale, nelle settimane successive: e saranno certamente corteggiati da tutti se dovessero, come sembra, eleggere al Parlamento europeo una nutrita truppa. La loro scelta dipenderà certo dalla durata del governo; difficile penderanno nel campo macroniano, se Conte dovesse continuare oltre le Europee, probabile che invece finiscano lì se il governo dovesse cadere. Sarà anche per questo che dalle parti dell’Eliseo si lavora per una rapida fine dell’esperimento giallo-verde? E non è strano, a essere maligni, che l’escalation anti Serraj sia cominciata dopo che i duellanti, Macron e Salvini, si sono riconosciuti? In ogni caso sembra essere tornata, dopo anni di tecnocrazia mascherata da politica, la grande Politica, quella che non ha paura di usare le parole «Destino» ed «Eroi».

 

Marco Gervasoni, Professore ordinario di Storia comparata dei partiti politici, Università del Molise e LUISS Guido Carli di Roma