*Riflessione pubblicata sul quotidiano online L’Occidentale
Il virus sta cambiando i rapporti e le alleanze internazionali. Ogni giorno che passa affiorano dalla Cina informazioni preoccupanti: laboratori dove ricerche pericolose sono condotte con standard di sicurezza insufficienti, avvisi sull’epidemia forniti con colpevole ritardo (soprattutto a gennaio, al momento dello scatenarsi), dati sui caratteri del virus occultati o rilasciati col contagocce, notizie sull’origine imprecise se non false, numeri sui contagiati manipolati al ribasso. Alcuni giornalisti e studiosi ipotizzano che a Wuhan fossero in corso esperimenti molto azzardati. In Florida è stata avviata una class action contro Pechino che ha “insabbiato i fatti allo scopo di tutelare il proprio interesse economico” e anche in altri Stati americani sono pronte a partire azioni per ottenere risarcimenti. L’India ha depositato all’Onu una richiesta di azione legale accusando la Cina di crimini contro l’umanità. Tutto ciò modifica la percezione politica riguardo alla Cina: da fabbrica del mondo utile per l’economia, anche se con ambizioni esagerate, a soggetto non responsabile, pericoloso per la sicurezza.
Gli Stati Uniti sono molto attivi, con spirito bipartisan (in prima fila i grandi media anti-Trump), nel diffondere rivelazioni sulla scorrettezza (eufemismo) di Pechino nella gestione dell’emergenza e sempre più ne fanno un tema politico con l’intento di compattare la diffidenza verso la Cina. Il Regno Unito, che pure ha notevoli interessi a Hong Kong, mette a capo del MI5 Ken McCallum, uno specialista molto attento ai pericoli dello spionaggio industriale cinese, e si ritrae dall’opzione Huawei per il 5G. Macron, che aveva costruito un solido rapporto con Xi, ha virato da qualche tempo verso Washington per rafforzarsi in Africa, dove la Cina è sempre più potente, e anche per avvantaggiarsi su Merkel che non riesce a superare il contrasto – ideale ancor prima che strategico – con Trump. Anche la Russia, a cui il virus arriva attraverso la lunga e porosa frontiera cinese, sembra tentare qualche mossa di avvicinamento verso gli Stati Uniti forse temendo di sbilanciarsi troppo verso un quasi-alleato aggressivo e molto spregiudicato.
I riflessi in Europa sono significativi. Nell’Unione, devastata dalla strage sanitaria e rattrappita dalla Brexit, si vede un rapido declino dei capisaldi strategici in stile tedesco: l’export non è più una guida sicura in epoca di recessione; si complica l’oscillazione opportunista tra la Cina, alleata sulle politiche economiche, e gli Stati Uniti che garantiscono sicurezza; non è più automatica la tradizionale linea dell’austerità. La Germania, come sempre, lascia andare in consunzione i problemi e prende tempo: mantiene il rapporto privilegiato con Pechino, cerca di puntellare gli Stati deboli Ue, mostra efficienza nel dare risposta al virus, spera che Trump perda le elezioni. Macron sfoggia attivismo, manovra per allineare dietro a sé gli Stati che più soffrono il peso del debito, sogna la leadership continentale per continuare a proiettare potenza nel mondo (anche se la Francia da tempo non ne ha più i mezzi). Tutto ciò produce stallo e pericoli: l’Europa si scopre fragile e ripiegata su sé stessa mentre la ripresa, che richiede visione comune e cooperazione, è immersa in problemi che rischiano di attizzare conflitti. L’alleanza con gli Stati Uniti si sta logorando, la sponda con la Cina – che pure gode del sostegno vaticano in vista di un epocale accordo – diventa ogni giorno più pericolosa.
In modo speciale è a repentaglio l’Italia paralizzata da decennali problemi di bilancio e inceppata dallo sfaldamento dell’ossatura istituzionale (pletora di organismi, contraddizioni interne, timori giudiziari e alla fine inerzia operativa): l’incertezza sulla scena europea, i flirt cinesi, una certa negligenza atlantica possono, in un contesto così difficile, rivelarsi drammatici. E’ l’ora di scelte chiare in continuità con la tradizione atlantica, è l’ora di una guida più sicura.