Il classico di René Rémond ci ha insegnato come la destra francese sia in realtà composta da tre correnti, alle quali corrispondono anche tre sensibilità: quella legittimista, quella bonapartista e quella orleanista. Chi poi conosce un po’ di storia, sa che mentre il legittimismo e il bonapartismo possono considerarsi delle sensibilità di massa, man mano incarnatesi in movimenti e fenomeni storici che qualche volta hanno vinto qualche volta hanno perso ma quasi sempre hanno diviso il Paese, l’orleanismo è stato una tendenza élitaria che ha considerato più la capacità che la quantità. Per questo, il suo successo in epoca di suffragio universale è stato raro.
Ecco, Valery Giscard d’Estaing, terzo Presidente della V Repubblica morto a 94 anni di Covid, è stato l’eccezione che conferma la regola. Giscard è stato, infatti, un orleanista di successo, nonostante l’elezione diretta. Egli utilizzò magistralmente la scia del suo predecessore Georges Pompidou – orleanista anch’esso ma sotto mentite spoglie perché uno dei padri del partito gollista – e della sua capacità d’interpretare il gollismo come partito di destra liberale anziché movimento della nazione. E, a sua volta, fu in grado di riunire sotto insegne comuni le differenti espressioni politiche del moderatismo francese. L’Udf – il partito che lui fondò, noto anche come il partito dei “giscardiani” – riunì in un contenitore federativo Repubblicani, Democratici Sociali, Popolari, Socialdemocratici, Radicali di destra. L’alleanza con i gollisti gli valse la vittoria alle presidenziali e così divenne il primo Presidente della V Repubblica non gollista.
A lungo quella elezione incarnò uno snodo del funzionamento del sistema politico francese perché giunse a consacrare una sorta di quadriglia bipolare nella quale a destra danzavano gollisti e giscardiani mentre dall’altra parte si muovevano socialisti e comunisti. Ci sarebbero voluti decenni per smontare quel meccanismo. Anche se Giscard fallì la riconferma, a causa di un crescente dissidio con Chirac, allora astro nascente del gollismo.
Giscard d’Estaing, nondimeno, restò attivo in politica svolgendovi ruoli importanti soprattutto in chiave europea. Tra l’altro, fu uno dei protagonisti della Convenzione e non è certo lesa maestà (sebbene orleanista) sostenere che, in quella occasione, dimenticò di mettere in atto la propensione inclusiva che gli era valso il successo in patria. Fallì, tra l’altro, la capacità di tenere insieme la laicité e les racines chretiennes, che era stata una delle chiavi del successo del suo Udf. Anche per questo la Convenzione fu un fallimento.
Mettendo in correlazione questi due momenti “alti” della biografia giscardiana, se ne può, forse, persino ricavare un insegnamento di scienza politica che vale innanzitutto per la Francia ma non solo per essa. Infatti, la correlazione ci insegna che chiunque voglia ridurre la destra alla sua componente moderata e orleanista va incontro a una sconfitta annunziata e, al più, si troverà ad inveire contro il destino cinico e baro che ha negato alla “ragione” di trionfare. D’altro canto, chiunque voglia escludere la componente liberale dalla vicenda della destra, rischia di privarla di quel valore aggiunto che può farla prevalere. Soprattutto laddove vige un meccanismo maggioritario o di elezione diretta.