La morte di Cesare
di Pialuisa Bianco
L’esito principale della torsione populistica esaltata dall’idolatria dell’algoritmo è l’uccisione della leadership. Sopravvalutando l’anelito partecipativo stile Facebook la politica attuale a tutte le latitudini del modello occidentale rievoca il paradigma della morte di Cesare. Tra tutte le ricostruzioni storiche della quale calza a pennello la scena shakespeariana: i congiurati assiepati attorno al cadavere del dittatore si agitano e si disperdono in tutte le direzioni non sapendo che cosa fare. Così si agitano, si disperdono e si riaggregano senza sapere che cosa fare i multipli partecipanti della scena politica attuale. Se così stanno le cose la vera questione è: può esistere una politica degna del nome senza leadership? è ancora possibile nel contesto attuale una leadership appropriata? Ed è sufficiente a ricostruirla appellarsi a una forma di presidenzialismo che metta l’esecutivo al riparo da simili tempeste? Se la forma presidenzialista fosse sufficiente non vedremmo analogo spaesamento e inefficienza in sistemi di antica tradizione presidenziale come la Francia o gli Stati Uniti. Infatti, non è il presidenzialismo che garantisce una leadership efficace, sono la tempra, il carattere e la cultura del leader a dare forma e contenuto al ruolo presidenziale. E come possono essere coltivate tempra, carattere, coraggio inseguendo ogni minuscolo sussulto del proprio elettorato sondato capillarmente attraverso un algoritmo? Come guadagnare una visione di lungo periodo, essenziale alla leadership, se gli input sono pescati nel breve?
Credo che i quesiti posti dal prof. Quagliariello, quesiti che si incentrano sulla riqualificazione della politica, o sulla sua “moderazione”, possano essere così sintetizzati. Il termine “moderato” è infatti usato da Quagliariello in un’accezione sapienziale, è sinonimo di razionale, prudenziale e tuttavia determinato, cioè lungimirante. Si contrappone al caos, segnalando l’illusione che maneggiare una gran quantità di dati sia sufficiente a dominarlo. Si contrappone al pressapochismo disancorato dalla realtà. Ma se questa mia è una interpretazione plausibile allora non si tratta semplicemente di disegnare un nuovo partito (l’ennesimo), o di dotare uno esistente di un obiettivo lungimirante e pervasivo (ad esempio riforme istituzionali cogenti) nella speranza di disperderne le pulsioni populiste o di “costituzionalizzarle”, ma di ricostruire un vivaio e sperare che le piante germoglino. “Vaste programme “direbbe qualcuno. Invece è il minimo. In altre parole un futuribile partito che faccia aggio sulla “moderazione” della politica ha bisogno di riqualificare le fondamenta, di affinare i propri strumenti cognitivi per essere in grado di affrontare senza illusioni o pregiudizi le circostanze storiche che hanno reso obsolete molte ricette politiche tradizionali ( sia a destra che a sinistra) e diventare capaci di rispondere alle sollecitazioni dell’attuale società guidandola, non solo ascoltandola passivamente. Solo così lo spaesamento indotto dalla morte di Cesare (cioè la metaforica morte di un modello politico in cui sia stata decapitata la essenziale funzione di leadership) potrà essere superato.
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La riflessione del direttore di Longitude, Pialuisa Bianco, si inserisce nel dibattito che si sta sviluppando a seguito del seminario “A Cesare e a Dio”, svolto a Bucine (Arezzo) il 2 e il 3 dicembre, avviato dal Presidente della Fondazione Magna Carta, Gaetano Quagliariello.
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