Il concetto di ‘tutela ambientale’ viene spesso interpretato come la difesa dell’ambiente dall’uomo, dall’azione ‘distruttrice’ che nel corso del tempo ha portato il pianeta a ‘soffrire’ per le conseguenze di tale agire. L’era che stiamo vivendo, l’Antropocene, è così definita proprio perché, per la prima volta nella storia del nostro pianeta, il comportamento umano ha prodotto cambiamenti geologici e atmosferici.
Molte volte, in tale discorso, viene posto l’accento sul cambiamento climatico come indicatore dell’incidenza antropica sull’ambiente. Un elemento che però viene troppo spesso sottovalutato è lo squilibrio territoriale che può essere considerato causa e conseguenza dei fenomeni di antropizzazione.
Un’analisi seria della sfida che oggi ci troviamo ad affrontare non può ridursi ad uno scontro tra uomo e natura. Deve prendere come riferimento l’equilibrio tra i due elementi e cercare una sintesi tra i bisogni dell’essere umano e la salvaguardia dell’ambiente.
Il caso italiano
Il disastro avvenuto nelle ultime settimane in Romagna ha portato all’attenzione dell’opinione pubblica un elemento che dovrebbe far riflettere per la sua portata storica. Per lungo tempo, infatti, si è ritenuto ‘normale’ che la popolazione si concentrasse nelle grandi aree urbane, molto spesso costiere, a discapito delle aree interne, che invece avrebbero dovuto rassegnarsi ad una progressiva desertificazione. A tutto ciò si è aggiunto il cambiamento dei processi demografici che sono andati a ‘rafforzare’ il processo appena descritto.
Il progressivo spostamento della popolazione dalle aree interne verso la costa altro non ha fatto che lasciare privi della presenza dell’uomo alcuni territori e concentrare nei centri urbani un numero sempre maggiore di persone.
I fenomeni descritti (concentrazione, desertificazione) hanno avuto ripercussioni anche sul piano politico. Oggi, per esempio, i collegi elettorali si basano su dati di natura demografica: in Italia ci sono collegi che non hanno una ratio sul piano culturale e territoriale, poiché frutto di somme algebriche.
Così facendo si è creato un circolo vizioso pericoloso per i territori più fragili: non avendo un peso politico sufficientemente ampio l’attenzione che viene loro riservata è sempre meno consistente; non essendoci una forte concentrazione umana gli interventi vengono ridotti a favore delle aree maggiormente antropizzate.
A pagare le conseguenze di tutto ciò, però, non sono solo i territori fragili. Anche i territori maggiormente attrattivi si sono spesso ritrovati impreparati ad affrontare le sfide legate all’aumento repentino della popolazione.
Il cambio di paradigma
Il tema dell’antropizzazione delle aree interne sarà determinante nelle politiche di sviluppo dei prossimi anni per due ordini di ragioni: la presenza dell’uomo è imprescindibile per la salvaguardia dei territori; le aree che oggi risultano prossime alla desertificazione potrebbero offrire delle risorse non ancora sfruttate. Per affrontare seriamente la questione si potrebbe pertanto provare a ‘correggere’ gli squilibri descritti con la ridefinizione dei collegi sulla base dell’estensione dei territori. In questo modo ad un criterio ‘qualitativo’ se ne affiancherebbe uno di carattere ‘quantitativo’, in grado di porre sullo stesso piano aree sicuramente differenti, ma con la stessa ‘dignità’ politica.
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