Pubblichiamo un ricordo del grande economista e filosofo Adam Smith, nel trecentesimo anniversario della sua nascita, scritto da Kurt R. Leube, professore emerito in Storia del pensiero economico alla Stanford University. Il testo è apparso sul sito dell’ECAEF (The European Center of Austrian Economics Foundation). Un saggio pieno di aneddoti in cui si ricorda, tra le altre cose, che Smith, reputato il padre del “capitalismo”, in realtà non usò mai la parola “capitalismo” nei suoi scritti. Una delle tante “trappole semantiche” usate dalla cultura di massa per distorcere la visione di uno dei più grandi pensatori economici della storia, che nei suoi primi libri, come ricorda Leube, scrisse di etica, morale e carità. Un teorizzatore infaticabile dei vantaggi del libero mercato, in opposizione al mercantilismo economico allora dominante, nonché alla regolamentazione dei prezzi e salari, per cui si può ritenere Smith tra i primi propositori di quello che oggi chiameremo il “Jobs Act”.
“Non c’è un’arte che un governo impara tanto velocemente da un altro, quanto quella di svuotare le tasche della gente”
Adam Smith
Oggi la fama di Adam Smith risiede nella sua spiegazione di come la cura dei propri interessi nel libero mercato porti al benessere economico. Può sorprendere chi vuole ridurre Smith a un sostenitore del capitalismo sfrenato che la sua opera più importante si concentri sull’etica, la morale e la carità. Tra i maggiori rappresentanti dell’Illuminismo scozzese, Smith è conosciuto per la sua opera principale, “Indagine sulla natura e le cause della Ricchezza delle nazioni” (1776), sulla quale si fonda l’economia classica. Al tempo in cui le nazioni assolutiste si accaparravano le riserve di metallo prezioso nel mondo e cercavano di aumentare la propria ricchezza con politiche di esportazione proibizioniste, Smith sviluppa una nuova teoria sulla ricchezza di un Paese: non sono l’oro o l’argento ma la forza lavoro di un Paese la vera fonte del benessere. Perciò, Smith sosteneva che il commercio con l’estero doveva essere il più libero possibile, e concludeva che più il mercato è grande, più alto sarà il grado di divisione del lavoro e dunque la produttività. Smith enfatizzava il ruolo della divisione del lavoro, del libero mercato e dello Stato, e dibatté riguardo il problema centrale dell’economia: la teoria del valore (la sua teoria del valore-lavoro influenzò persino Karl Marx). Ad ogni modo, 104 anni dopo, la teoria del valore-lavoro fu superata dalla “teoria dell’utilità marginale” di Carl Menger. Il contributo fondamentale di Smith risiede nella sua spiegazione del desiderio umano di cercare il guadagno e sull’impatto positivo che questo produce. Promosse rigorosamente l’abolizione di qualsiasi controllo dei prezzi e dei salari, delle tasse dovute alle corporazioni, dei privilegi e dei monopoli e si schierò fermamente a favore del libero mercato. La sua idea era un ordine economico dinamico, guidato dalla ‘naturale’ inclinazione umana per l’acquisizione e la proprietà e la competizione fra i produttori, che avrebbe condotto alla ‘Ricchezza delle Nazioni’.
- Figlio unico di madre vedova
È il 2023 e prima che ci si dimentichi di uno dei maggiori studiosi di tutti i tempi, dobbiamo brevemente ricordare la vita e il lavoro di Adam Smith, nato nei primi di giugno di 300 anni fa. I registri ecclesiastici mostrano che fu battezzato a Kirkcaldy il 5 giugno 1723. Definito da molti come il “Padre del moderno capitalismo”, Smith non utilizzò mai il termine capitalismo, dal momento che la parola sarebbe entrata nell’uso comune non prima del tardo Ottocento. Poiché suo padre morì prima che lui nascesse, Adam Smith venne allevato da figlio unico da sua madre e trascorse la sua infanzia a Kirkcaldy, una cittadina a nord di Edimburgo. Sua madre era completamente dedita a suo figlio e gli rese possibile ricevere un’educazione completa. Leggenda vuole che fu rapito a soli quattro anni, ma fu presto restituito all’amorevole madre. Dopo i suoi anni alla scuola primaria di Kirkcaldy, Smith si trasferì a Glasgow ed entrò all’università alla tenera età di 14 anni. Dopo soli tre anni di studio e sotto la forte influenza di Francis Hutcheson, un filosofo irlandese, si laureò all’università di Glasgow nel 1740. Insieme all’impatto intellettuale di Hutcheson su Smith, l’improvvisa ripresa economica e la rapida e crescente prosperità della città – dovuta ad alcune ‘deregolamentazioni’ del mercato e delle spedizioni – lasciarono un’impronta duratura nel pensiero dell’economista.
- L’amicizia con David Hume
Grazie a un’allettante borsa di studio, Smith poté continuare i suoi studi a Oxford fra il 1740 e il 1746. Lì è occupato degli scrittori e dei pensatori classici dell’antichità e della letteratura francese. Purtroppo, la deficienza di vitamina C (scorbuto) lo portò ad avere seri problemi di salute che lo costrinsero a tornare a Kirkcardy nel 1746, dove rimase indebolito e disoccupato per circa due anni. Fu solo grazie agli sforzi della sua influente madre che nel 1748 poté entrare a far parte dei ranghi più bassi del corpo docente all’Università di Edimburgo per acquisire l’esperienza necessaria ad ambire alla posizione di professore. I suoi corsi di retorica, letteratura inglese, legge e soprattutto di filosofia vennero accolti favorevolmente e presto si guadagnò una certa fama.
Mentre era a Edimburgo fece la conoscenza del filosofo scozzese David Hume, col quale sviluppò un’amicizia proficua e duratura. Nonostante la scarsità di pubblicazioni di rilievo, nel 1750 Adam Smith fu nominato professore di logica all’università di Glasgow e di lì a poco venne anche promosso alla cattedra di Filosofia morale, una posizione che mantenne fino al 1764.
Nel 1759 Smith pubblicò il suo lavoro più importante, “La teoria dei sentimenti morali”, che egli sviluppò attraverso le sue lezioni in materia di morale ed etica. In questo libro Smith definiva la compassione come il vettore principale di ogni giudizio morale, come l’approvazione o il rifiuto di ogni azione umana. Dal momento che la natura umana è alla base dell’azione morale, in questo caso Smith seguì il suo amico David Hume e così si pose in contrasto rispetto a filosofi individualisti come Thomas Hobbes o Bernhard de Mandeville, i quali individuavano nel proprio ego la motivazione della moralità. Questo libro gettò le basi della notorietà internazionale di Smith come filosofo morale.
- Il tutor privato del duca
Nel 1764 si ritirò dall’insegnamento universitario e fu nominato tutor privato del giovane duca di Buccleugh, accompagnandolo nei suoi viaggi in Europa, specialmente in Francia e Svizzera. Durante questi due anni di viaggio, i due non solo ebbero l’occasione di incontrare molti filosofi dell’Illuminismo come Voltaire o Jean le Ron d’Alambert, ma intrattennero anche dei rapporti con alcuni fisiocratici come Anne Robert, Jacques Turgot e Françoise Quesnay.
Ritornato in Inghilterra nel 1766, Adam Smith venne premiato col prestigioso titolo di ‘Fellow of the Royal Society’ a Londra. A dispetto della sua posizione, si ritirò a Kirkcaldy e si godé la cospicua pensione guadagnata al servizio del duca. In quell’anno iniziò a lavorare alla sua opera più importante, “Indagine sulla natura e le cause della ricchezza delle nazioni”. Questo celebre trattato economico apparve nel 1776, nello stesso anno in cui fu firmata la Dichiarazione d’Indipendenza Americana e in cui venne a mancare il suo caro amico e rappresentante dell’Illuminismo scozzese David Hume.
“La Ricchezza delle Nazioni” non è solo uno studio di economia, ma un’indagine sulla psicologia umana, sulla vita, sul welfare, sulle istituzioni politiche, sulla legge e sulla moralità. Sebbene alcune delle più decisive intuizioni rispetto alle problematiche sul valore e il denaro fossero già state elaborate una generazione prima di Smith, “La Ricchezza delle Nazioni” rappresenta un’enorme conquista. Le basi della sua teoria economica si fondano sulla sua filosofia morale, nella quale l’empatia e la cura dei propri interessi sono il motore per il miglioramento della situazione di ognuno. Secondo Smith, l’interesse personale promuove inconsapevolmente il benessere altrui. Egli comprese che l’armonia sociale sarebbe emersa naturalmente quando gli esseri umani avrebbero cominciato a cercare i mezzi e i modi per vivere e lavorare l’uno accanto all’altro. In questo senso, la libertà e l’interesse personale non produrrebbero caos, bensì – come guidati da una ‘mano invisibile’ – ordine e mercati sincronizzati. E quando le persone concludono grossi affari fra loro, le risorse della nazione verrebbero automaticamente destinate verso quello che la gente reputa essere più importante. Un ordine sociale prospero cresce spontaneamente in quanto prodotto della natura umana e non artificiale. Per Smith, tuttavia, occorrono comunque quattro forze che controllino le volontà del singolo. Per prima la compassione, che aiuta a trovare e osservare le norme morali. La seconda sono le regole naturali dell’etica, regole alle quali si aderisce e che si seguono volontariamente. Un sistema di leggi positive, il rispetto del quale è rinforzato da uno Stato nel suo quarto prerequisito. E, da ultimo, la competizione evolutiva del libero mercato. Sulla base di queste condizioni, è possibile uno scambio volontario di beni e di idee che a loro volta renderanno possibile una specializzazione nella produzione. Gli individui non devono più autoprodurre tutti i beni di cui hanno bisogno ogni giorno, ma possono limitare gli sforzi della produzione dei beni medesimi a quelli che realizzano meglio e dunque facilitare lo scambio degli altri beni di cui hanno bisogno. La specializzazione incrementa la produttività e permette la libertà di acquisizione e la competitività. Dal momento che si tratta di uno scambio benefico per entrambe le parti, questo fa aumentare la nostra prosperità.
Smith si oppose con veemenza al mercantilismo – la pratica di mantenere artificialmente un surplus commerciale sulla base dell’idea sbagliata che così facendo la ricchezza aumenti. Smith dimostrò che il vasto edificio ‘mercantilista’ del suo tempo era irrazionale e sostenne piuttosto che il vantaggio primario di uno scambio era che questo apriva nuovi mercati per un surplus di beni e reperiva alcuni di queste materie prime dall’estero a un costo inferiore rispetto a quello domestico. Questa argomentazione spianò la strada alle teorie di David Ricardo e John Stuart Mill sul libero mercato per via di un vantaggio comparativo per la generazione successiva. La ricchezza di una nazione non risiede nella quantità d’oro e d’argento detenuto dalla Tesoreria di Stato, quanto piuttosto in termini moderni nel suo PIL, il totale della sua produzione e dei suoi commerci. La trattazione di Smith non gettò solo le basi teoriche della libertà individuale ed economica, del libero scambio e dei mercati, e della divisione del lavoro. “La Ricchezza delle Nazioni” influenzò profondamente anche i legislatori, i politici e gli accademici del tempo. Fra i numerosi ammiratori del lavoro di Smith vi era anche Karl Marx.
- Di nuovo con la madre
Nel 1778 Adam Smith fu nominato Commissario del Controlli Doganali della Scozia e andò a vivere con sua madre fino al 1784. Vale la pena ricordare che, anche se nella “Ricchezza delle Nazioni” difese il contrabbando come attività legittima rispetto alla legislazione ‘innaturale’, usò questa posizione solo per rinforzare le leggi contro il contrabbando stesso.
In aggiunta alle sue attività professionali, Smith si dedicò allo studio della filosofia e fondò la Royal Society di Edimburgo. Divenne uno dei maggiori rappresentanti dell’Illuminismo scozzese, che fu caratterizzato fra le altre da precise osservazioni.
Oggi la fama di Smith risiede nella sua spiegazione su come l’interesse personale razionale in un’economia di libero mercato porta al benessere economico. Chi riduce Smith a un difensore del capitalismo selvaggio potrebbe restare sorpreso dal fatto che la sua prima grande opera si concentrava sull’etica, sulla morale e sulla carità.
Adam Smith non si sposò mai e morì a Edimburgo il 17 luglio 1790.
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