Lanterna dedica una riflessione sul ruolo dei think tank liberali. Tra questi prende in esame i casi di AEI, FAES, e Fondazione Magna Carta.
C’è stato un frangente, a cavallo degli anni Duemila, in cui sembrava che la liberal-democrazia sarebbe diventata egemone. Era convinzione diffusa che, dopo la caduta del Muro di Berlino, la supremazia dell’impianto ideale dell’Occidente avrebbe lentamente influenzato anche Paesi non democratici e regimi illiberali, destinati a una sorta di ‘mutazione genetica’. Questo periodo di ottimismo – con il senno di poi caricato di eccessive speranze – è stato contraddistinto dal ruolo guida degli Stati Uniti, l’unica superpotenza uscita vincitrice dopo la Guerra Fredda.
La ‘Fine della Storia’, per citare il titolo del celebre saggio di Fukuyama, a dire la verità, tuttavia, non è arrivata. Anzi, da lì a poco sarebbero cominciate una serie di crisi che hanno messo a dura prova il mondo libero. È bene soffermarsi sui risvolti culturali che quel frangente ha imposto nelle democrazie occidentali. Il liberalismo ha trovato terreno fertile attraverso numerosi ‘incubatori’ di idee sia negli Stati Uniti e in Europa Centro-Settentrionale, sia in Paesi dove quelle idee sono rimaste minoritarie dal punto di vista politico, come in Italia.
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