Editoriale del Presidente Quagliariello del 15 settembre 2023 pubblicato da La Gazzetta del Mezzogiorno.
La Fiera del Levante non è quella che era una volta. Per questo, la sua inaugurazione non può neppure avvicinare i fasti del passato. Affermarlo non è disfattismo. Vi sono, infatti, ragioni di fondo che spiegano questo dato di fatto. Nell’epoca di internet una fiera – qualunque fiera e in qualunque posto del globo essa si collochi – è cosa diversa da quel che era quando gli scambi e i commerci viaggiavano soprattutto sulle gambe delle persone. Per continuare ad renderla attrattiva, bisogna perciò avere la capacità di ripensarla. Pesano poi le novità intervenute nell’ambito della comunicazione. Quando l’inaugurazione della fiera era un imperdibile appuntamento dell’agenda politica nazionale, i discorsi dei politici esprimevano una visione e avevano sostanza programmatica. Allora la lunghezza delle allocuzioni non era sinonimo di pesantezza. Oggi, per trasmettere qualcosa all’auditorio, tutto dev’essere più veloce ed emozionale. Una formula sintetica o addirittura uno slogan, sono più efficaci di un’analisi rigorosa. Questi mutamenti, d’altro canto, aiutano a comprendere quelli intervenuti al livello della sociologia delle classi dirigenti. Un tempo alla caducità dei governi corrispondeva la stabilità della classe politica: un “cavallo di razza” poteva cambiare di ruolo ma assai difficilmente spariva dall’agone. Un suo impegno, per tanto, si proiettava con naturalezza sul lungo periodo. Oggi i governi sono più longevi ma le carriere politiche spesso effimere: possono nascere e morire nel volgere di una breve stagione. Sicché, gli impegni degli uomini politici che veramente contano sono quelli che riguardano l’immediato: pochi, maledetti e subito!
Tutte queste novità, che aiutano a capire perché “la fiera non è più la fiera”, debbono ritenersi “epocali”. Alcune possono non piacerci ma, non di meno, con esse ci si deve confrontare. Nessuna persona realistica, infatti, può fare a meno di considerare come siano cambiati gli strumenti dell’economia, o quel che è avvenuto nel campo della comunicazione e della sociologia della classi dirigenti. C’è, invece, qualcosa che non si è modificato ed è l’esistenza di un problema nazionale che riguarda il Mezzogiorno, comunemente indicato come “questione meridionale”. Se esso lo si considera sotto l’aspetto dei numeri, si dovrà rilevare come il divario tra il sud e il resto del Paese sia rimasto pressoché invariato. Se lo si considera sotto l’aspetto strategico, la sua importanza, addirittura, si è accresciuta. In tempo di globalizzazione, infatti, i cambiamenti di condizione economica sono più rapidi e maggiormente legati allo sviluppo di quei territori che presentano differenziali di crescita più ampi.
La Fiera, alle sue origini, era stata pensata come il contrappeso della campionaria di Milano. Mentre la rassegna meneghina guardava soprattutto al nord dell’Europa, quella barese si sarebbe rivolta verso i Balcani e il mondo Mediterraneo, per far pesare la peculiare posizione geopolitica del Paese e, in questo contesto, costruire un’occasione di confronto non banale su idee, strategie e proposte per ovviare sl divario tra le due parti del Paese. La banalizzazione odierna, dunque, induce a pensare che la perdita secca non sia il ridimensionamento della Fiera del Levante ma la relativizzazione della questione meridionale ad essa connessa.
E’ veramente difficile accettare che quell’impegno non conti più e che non si provi a rinnovarlo e a riformularlo. E’ difficile accettare, ad esempio, che all’inaugurazione della Fiera avvenuta alla vigilia del varo della riforma dell’autonomia differenziata, nessuno abbia avvertito il bisogno di spendere una sola parola su quel provvedimento, che per il sud potrebbe rivelarsi decisivo. Un tempo non sarebbe stato possibile: non perché la Fiera era più importante ma perché non sarebbe stato consentito considerare il Mezzogiorno così marginale.
Il fatto che questo silenzio si espanda allorquando nel Paese pullulano festival su ogni scibile del sapere – dall’economia alla filosofia, passando per la storia – accresce il disappunto ma suscita anche, con naturalezza, una proposta semplice e puntuale: perché non immaginare anche un festival del meridionalismo? Esso potrebbe svolgersi in contemporanea con la Fiera del Levante, magari al suo interno. Sarebbe un modo per ridare all’appuntamento parte dello smalto perduto, per aiutare i politici ad assumersi le loro responsabilità e per concedere a coloro i quali non hanno smesso di pensare al sud come a una opportunità di sentirsi un po’ meno stranieri in patria.
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