Privacy Policy Cookie Policy

Gaetano Quagliariello: "La crisi dei partiti, l'Italia esposta. Così Napolitano diventò un presidente interventista"

22 settembre 2023

Intervista al Presidente Quagliariello realizzata da Alberto Gentili per Huffington Post il 22 settembre 2023. 

Gaetano Quagliariello ha incrociato spesso nella sua attività politica Giorgio Napolitano. Anzi, è stato uno degli esponenti del centrodestra più vicini all’ex presidente della Repubblica appena scomparso. Non a caso Quagliariello, 63 anni, professore di Storia contemporanea e storia delle istituzioni politiche alla Luiss e presidente della fondazione Magna Carta, si definisce “il ministro delle Riforme in quello che si può tranquillamente definire il governo Letta – Napolitano”. L’esecutivo voluto nel 2013 dall’ex presidente e guidato da Enrico Letta.

Qual è secondo lei, che gli è stato spesso accanto, il maggior lascito politico?

Napolitano, oltre a essere il primo comunista a essere andato negli Stati Uniti nel 1978, il primo comunista nominato ministro dell’Interno nel 1996, il primo comunista a essere eletto presidente della Repubblica e il primo capo dello Stato a essere rieletto, è sicuramente il post comunista che ha maggiormente influenzato quella fase politica denominata Seconda Repubblica. E che, fondamentalmente, coincide con il periodo in cui la Repubblica italiana si è liberata dall’obbligo di fare i conti con il comunismo. Indubbiamente, è una figura storica di primissimo piano.

Favorì il transito dei post comunisti dalla Prima alla Seconda Repubblica?

Direi che questo ruolo di traghettatore lo ebbe essenzialmente Achille Occhetto attraverso il passaggio dal Pci al Pds. Nelle dinamiche di partito, Napolitano è stato il capo dei riformisti e, come tale, il leader dell’opposizione interna a Enrico Berlinguer, ma nel Partito ha avuto meno importanza di quanta ne ha avuta fuori. Il ruolo di Napolitano diviene primario in un altro tempo della transizione, più maturo, quando riesce nell’impresa di traghettare la cultura del comunismo riformista all’interno delle istituzioni della Seconda Repubblica. Direi che la sua influenza ha scavalcato le dinamiche di partito per approdare direttamente alle istituzioni. Per essere più chiari: Napolitano ha portato la cultura istituzionale maturata all’interno del Pci nella Prima Repubblica all’interno della Seconda. Questa è stata la sua funzione storica.

Dunque, aveva ragione Henry Kissinger, quando diceva che Napolitano era il suo comunista preferito?

Attenzione: durante la Guerra Fredda, Napolitano è stato comunista fino in fondo. Non rivelo nulla nel dire che fu tra quanti approvarono nel ‘56 l’invasione dell’Ungheria. Ma, incredibilmente, questo filo-sovietismo dei riformisti era un tributo pagato al realismo e alla laicità della politica. Finché il mondo era diviso in due, bisognava giocare quella partita. Nel Pci, insomma, il grado di riformismo non si misurava col metro della fedeltà all’Urss: Ingrao era molto meno filo-sovietico dei riformisti, ma molto meno laico e liberale. Per questo, quando è finita la Guerra Fredda e quella cultura si è liberata di un “vincolo obbligatorio” essa è entrata in circolo più facilmente, ha avuto più facilità penetrare nelle vene di una nuova stagione politica rispetto, ad esempio, al berlinguerismo…

[CLICCA per continuare a leggere su Huffington post]