Mercato e sostenibilità, una sfida che possiamo vincere
Lunedì 9 ottobre la Fondazione Magna Carta ha presentato la sua nuova ricerca sulla sostenibilità nel corso di Futura Expo, l’esposizione nazionale svoltasi a Brescia sulla innovazione e lo sviluppo sostenibile. La ricerca, realizzata con il contributo di Salcef Group, TPE, DCS Costruzioni, raccoglie un set di proposte fiscali e di incentivi per favorire i processi di transizione sostenibile nel mondo imprenditoriale. All’evento hanno partecipato il presidente di Magna Carta, Gaetano Quagliariello, il coordinatore del comitato scientifico di FMC, Raffaele Perna, il presidente di ERG, Edoardo Garrone, il conduttore e giornalista Giancarlo Loquenzi e l’economista Emanuele Canegrati, che insieme a Perna ha contribuito alla stesura della ricerca. L’incontro è stato l’occasione per approfondire le proposte di intervento contenute nella ricerca della fondazione e per avanzare altre idee in materia di sviluppo sostenibile utili alla discussione sulla nuova legge di bilancio.
Le proposte di intervento della fondazione
L’impianto generale della ricerca della fondazione illustrato a Futura Expo da Emanuele Canegrati è legato al principio del level playing field, per cui «tutte le imprese interessate dal processo di regolamentazione sulla sostenibilità debbono trovarsi a giocare secondo le stesse regole, con lo Stato a fare da arbitro». Occorre evitare il rischio che normative come il reporting di sostenibilità europeo generino delle alterazioni nel mercato sfavorendo alcune aziende rispetto ad altre. Canegrati ha quindi spiegato più nel dettaglio quali sono le proposte di intervento della fondazione: credito di imposta per la formazione in materia di sostenibilità, bonus assunzioni di esperti contabili in materia di sostenibilità, esoneri contributivi, voucher per corsi di formazione, incentivi fiscali per le fully sustainable start up e contributi per la riconversione dei processi produttivi delle aziende. «Il governo potrebbe mettere a disposizione delle aziende l’insieme di questi interventi, lasciando che siano poi gli imprenditori a scegliere la soluzione normativa che ritengono più convincente». Certo, la via percorribile nella redigenda legge di bilancio per trovare nuove risorse disponibili è stretta, così come i fondi del PNRR che pure potrebbero servire a raggiungere questi obiettivi sono legati all’attuazione di un programma che presenta delle rigidità derivate dalla non facile negoziazione tra paesi membri, commissione e consiglio europeo; ma è pur vero che, se tutti concordiamo sugli obiettivi della economia sostenibile, cioè vivere in un mondo migliore, ridurre l’inquinamento, contrastare la crisi climatica, allora è necessario trovare strumenti che rendano quella sostenibilità economicamente conveniente per le imprese. Imprese la cui missione continua ad essere quella di creare valore, ricchezza, lavoro.
Un fondo per le aziende sostenibili
Nel corso del suo intervento, il dottor Perna ha sottolineato più volte come i processi del libero mercato affidati alla iniziativa degli imprenditori siano fondamentali per raggiungere l’obiettivo della sostenibilità correggendo i modelli produttivi esistenti. «La trasformazione sostenibile sfida i processi di mercato: se riusciremo a trovare i meccanismi per orientare la sostenibilità verso il mercato vinceremo questa sfida. Del resto, il mercato stesso si caratterizza per il fatto che l’offerta si adegua rapidamente alla domanda. Quando i consumatori esprimono un bisogno, il mercato tende a soddisfarlo producendo determinati beni, prodotti o servizi. Fino a dieci anni fa non c’era una sensibilità così diffusa verso lo sviluppo sostenibile; oggi, mediamente i consumatori sono più attenti al profilo di sostenibilità delle aziende. Questa è una delle spiegazioni per cui il mercato si sta orientando verso un modello produttivo maggiormente sostenibile». In questo contesto, l’importanza del potere pubblico sta nel controllare e regolare i processi di mercato. «Le aziende vendono un bene, un prodotto o un servizio a un soggetto che lo acquista e dà qualcosa in cambio, chiudendo lo scambio. Ma se l’azienda genera un costo, come può essere quello dell’inquinamento», un costo che non viene pagato da chi acquista quel bene, bensì dalla collettività, diventa necessario trovare dei meccanismi in grado di «internalizzare le esternalità negative». Lo Stato, quindi, dovrebbe favorire le imprese che si sono occupate di favorire la collettività, spingendo tutto il sistema imprenditoriale a trovare alternative meno inquinanti e più convenienti dal punto di vista economico. «La convenienza è un motore fondamentale per l’attività delle imprese,» dice Perna, «quindi dobbiamo cercare meccanismi che rendano conveniente per le imprese produrre in modo sostenibile». Il coordinatore del comitato scientifico di FMC propone quindi la istituzione di un «fondo specifico» che andrebbe a implementare due misure: «Un incentivo a favore delle imprese che dimostrino di essersi impegnate sul fronte delle misure da adottare per mitigare gli effetti del riscaldamento globale riducendo le proprie emissioni nocive,» accompagnato da un meccanismo in grado di far corrispondere alle aziende più inquinanti «un costo» che andrebbe a «finanziare quelle virtuose». In questo modo, tutte le aziende verrebbero spinte a muoversi verso una riconversione della produzione, che certamente è costosa ma potrebbe diventare allo stesso tempo conveniente.
Green bond e coinvolgimento delle comunità locali
ERG è una grande industria italiana con oltre ottant’anni di storia che, nel giro di un decennio, è stata in grado di convertire completamente le sue attività passando dalla raffinazione e distribuzione di petrolio a un profilo puro di azienda rinnovabile. Oggi è il primo operatore italiano nell’eolico e nel solare, tra i primi dieci produttori a livello europeo. Nel corso del suo intervento a Futura Expo, il presidente Garrone ha spiegato quali sono gli elementi fondamentali che rendono un’azienda sostenibile. Il primo è la guida normativa legata ai criteri ESG, sulla base degli obiettivi SDGs dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite, a cui dovrebbero ispirarsi gli operatori economici per migliorare le proprie caratteristiche in termini di sostenibilità. Il secondo sono i piani della Unione europea che spingono i Paesi membri a investire nella sostenibilità che non è solo quella energetica ma comprende anche altri obiettivi come gli investimenti digitali o quelli di economia circolare. Il terzo elemento è la misurabilità delle azioni intraprese dalle aziende sin dall’avvio di un ciclo industriale, per cui, attraverso rating qualificati che ne controllano gli obiettivi, le imprese comunicano i loro risultati attraverso i bilanci di sostenibilità. Per essere finanziabile, una azienda deve essere misurabile. Per potersi definire innovativa, per dimostrare di aver trasformato i suoi cicli produttivi, occorrono rating di sostenibilità adeguati. La misurabilità dunque è fondamentale per avere dati utili a favorire la transizione. Il quarto elemento sono le competenze necessarie a realizzare la trasformazione sostenibile. In questo senso, secondo Garrone, occorrono «investimenti nella scuola, nelle università, nella formazione per i nuovi lavori e le specializzazioni in questo campo». Serve anche più orientamento per dare ai giovani quegli elementi utili a fare delle scelte nella loro vita lavorativa. I criteri di sostenibilità, inoltre, andrebbero applicati alla parte variabile delle remunerazioni dei dirigenti e dei dipendenti come un premio per i risultati raggiunti: un modo per stimolare i team verso obiettivi più sfidanti. Il decisore istituzionale, infine, dovrebbe darsi degli obiettivi alti per poi svolgere un ruolo di regolatore; occorre però avere un sistema normativo adeguato. Il nostro sistema industriale in prospettiva può soddisfare la domanda ed ha introdotto meccanismi necessari per accelerare una trasformazione sostenibile e misurabile ma non può essere bloccato da norme obsolete. È necessaria quindi una normativa coerente con gli obiettivi sostenibili che ci si è dati. L’Europa e i Paesi membri, anche alla luce della congiuntura geopolitica internazionale, stanno lavorando su questi aspetti ma occorrerebbe uno sforzo maggior per poter accelerare la transizione, tanto quanto possono fare le industrie nel rendere più sostenibili prodotti e cicli produttivi. Più che pensare a tassare gli extraprofitti, è necessario avere dei piani in grado di stabilizzare o rendere meno vulnerabili i nostri Paesi rispetto a una situazione internazionale che può avere effetti devastanti sui costi della energia. Garrone ha quindi avanzato una serie di proposte concrete in materia di sostenibilità e sviluppo delle energie rinnovabili, a partire da «un meccanismo fiscale che incentivi gli investimenti partecipativi, coinvolgendo le comunità locali nelle zone dove sono previsti parchi eolici o solari». Il presidente ha ricordato le esperienze già realizzate in Francia per offrire alla popolazione l’opportunità di «investire in mini-bond» creati per sostenere gli investimenti. Sarebbe un modo concreto per «legare l’interesse collettivo alla produzione di energie rinnovabili». Un’altra proposta può essere quella di premiare con incentivi le regioni italiane più virtuose, cioè quegli enti locali che grazie alle loro competenze sul fronte amministrativo hanno dimostrato di riuscire a individuare le aree idonee alla realizzazione di nuovi impianti per rinnovabili, gestendo nel modo migliore le relative pratiche autorizzative.
Una nuova visione culturale
Nel corso del suo intervento, Giancarlo Loquenzi ha voluto approfondire il cambiamento avvenuto nella sensibilità degli italiani sul tema della sostenibilità, distinguendo tra cittadini elettori e consumatori: tra i primi c’è spesso «un regresso» sui temi ambientali alimentato dalle forze politiche ostili alla trasformazione sostenibile, quelle forze, cioè, che hanno compreso di poter ottenere dei risultati elettorali scagliandosi contro le politiche green. È avvenuto in Gran Bretagna, in Olanda, nella Baviera tedesca. Dall’altra ci sono i consumatori che invece, pur mostrando attenzione ai temi della sostenibilità, appaiono particolarmente sospettosi sul greenwashing, quella tendenza di una parte del mondo imprenditoriale a ‘incensare’ le proprie politiche ambientali per scopi comunicativi e di branding. Entrando nel merito della ricerca di Fmc, è illuminante, secondo Loquenzi, il rischio di un eccessivo fenomeno di complicazione burocratica del settore della sostenibilità con la conseguenza che le aziende si trovano ad affrontare costi crescenti per assumere personale in grado di affrontare misurazioni, rapporti e analisi richieste dagli enti europei. «Troppa burocrazia mette una zeppa nella transizione ecologica, nella innovazione e modernizzazione del nostro Paese». Loquenzi aggiunge anche un altro elemento di riflessione dal punto di vista geopolitico. Paesi come l’Italia stanno provando a sganciarsi da una eccessiva dipendenza energetica dalla Russia legandosi maggiormente ad aree di approvvigionamento nel Mediterraneo e in Medio Oriente, ma gli scenari di crisi come quello che si è aperto in Israele e che si moltiplicano anche in altre aree del mondo indicano che dobbiamo diventare più indipendenti dal gas e dal petrolio estero. Allo stesso tempo, bisognerebbe smetterla di «impartire lezioni» ai cittadini su cosa devono e cosa non devono fare in materia di ambiente. Loquenzi conclude il suo intervento con un discorso più ampio sulla dimensione culturale, «morale», necessaria a favorire la trasformazione sostenibile. Dobbiamo riaffezionarci al futuro, ritrovare la fiducia di poter risolvere i problemi più che arrenderci davanti alla sfida della complessità. Nei giovani c’è questa spinta, che certo può prendere delle strade controproducenti, come dimostra certo ambientalismo radicale, ma è lì, tra i giovani, tra chi arriva in Europa assetato di futuro che «dobbiamo trovare un aggancio, nuove energie che non possono essere dissipate».
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