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Le incognite sul PNRR e il rilancio del Sud

11 febbraio 2024

Riportiamo di seguito l’editoriale del Presidente Gaetano Quagliariello pubblicato l’11 febbraio 2024 su La Gazzetta del Mezzogiorno.

Nell’anno appena trascorso il divario tra le regioni del Sud e quelle del Nord è tornato ad allargarsi. La crescita stimata da Svimez nel 2023 è dello 0,4%, la metà di quella del settentrione. La previsione per il 2024 è lo 0,6%. Se così fosse, ci troveremmo di fronte a una pericolosa inversione di tendenza. Il Sud, infatti, dopo la pandemia aveva agganciato la ripresa con una crescita del Pil di oltre 10 punti percentuali, trainata dalle politiche espansive della Ue, dai risultati del terziario e del settore delle costruzioni. Un semplice rimbalzo, provocato dalle perdite del 2020? Non propriamente.

Il Covid-19 ha messo in crisi il modello di sviluppo accentrato e intensivo del Nord e fatto emergere le potenzialità di una società più flessibile, calda, sostenibile anche sotto il profilo antropologico. Affinché tale dinamica non si limitasse ad alimentare un ideale romantico, destinato a esaurirsi nello spazio di un’emergenza, vi era bisogno di investire sulle potenzialità che la crisi sanitaria ha fatto emergere, coniugandole con le risorse che l’innovazione ci mette a disposizione.

Era necessario, cioè, agire sui problemi strutturali che storicamente compromettono le possibilità di uno sviluppo lineare nel Mezzogiorno (la contrazione delle risorse pubbliche, la mancanza di un forte piano industriale, la dispersione delle realtà più produttive, la vulnerabilità di un settore cruciale come il turismo, la precarietà del lavoro e la lista potrebbe vieppiù allungarsi) e, insieme, prevenire quella che si presenta in prospettiva come la più seria tra le sue nuove piaghe: la dispersione di capitale sociale e di risorse intellettuali, come risultato del combinato disposto tra crisi demografica e fuga dei cervelli. Ne abbiamo già parlato su queste pagine e, vista la portata del problema, torniamo ad insistere.

In realtà, lo strumento per centrare l’obiettivo storico esisteva e, quel che è più importante, non è venuto meno. Risiede nei fondi stanziati dal Piano nazionale di ripresa e resilienza che, insieme ai fondi europei e nazionali per lo Sviluppo e la coesione, rappresentano una leva potenzialmente in grado di modernizzare la società meridionale senza snaturarla.
Facciamo un po’ di conti: la Commissione europea, per il Pnrr, ha versato all’Italia 102 miliardi ai quali dovrebbero aggiungersene altri 12 della quinta rata. Per la «clausola del 40%» una parte ingente delle risorse complessive del Pnrr è destinata al Sud e se ad esse si sommano quelle del fondo complementare e di React EU si giunge a una stima potenziale di quasi cento miliardi.

Fin qui il governo ha dato l’impressione di voler accentrare questa leva finanziaria, per non disperdere l’ingente massa di denaro in mille rivoli incapaci di incidere su cause strutturali, limitandosi ad alimentare spesa improduttiva sganciata dalle dinamiche dello sviluppo. La Zes unica per tutto il Mezzogiorno e l’accorpamento dei fondi sono andati in questa direzione. Volendo enfatizzare, si potrebbero persino ritrovare motivi di continuità con le scelte che, al tempo del Piano Marshall, fece il partito del rigore, guidato da De Gasperi e Einaudi, contro quello della spesa pubblica. Allora, però, i risultati, alla fine, si videro. Il rigore fu propedeutico al varo di «riforme strutturali» tra le più importanti per il Sud. Basterà citare Patti agrari e Cassa del Mezzogiorno.

Oggi, almeno fin qui, manca la visione. Si sono visti soltanto la cassazione di investimenti per il Meridione pari a 7,6 miliardi di euro (quasi la metà del valore complessivo delle misure destinate all’Italia che il Governo ha definanziato giudicandole interventi critici) e la drastica riduzione del fondo perequativo, passato da 4,4 miliardi di euro a 800 milioni. Anche questi interventi potrebbero essere iscritti alla voce «rigore» ma urge che ci venga chiaramente detto a che punto siamo: qual è lo stato di avanzamento dei lavori del Pnrr? Quante risorse sono state effettivamente messe a gara nel Sud? Qual è la percentuale dei target previsti dal Pnrr che sono stati raggiunti? Cosa vi sarà scritto nel decreto sul «nuovo Pnrr» ad oggi ancora incagliato? Quali saranno le fonti alternative di finanziamento per le misure destinate al meridione che sono state stralciate dal Piano?

Oggi queste risposte non possono più essere eluse, se non vogliamo smarrire un’occasione storica e, delusi, alla fine ammettere: «Pensavo fosse il Pnrr, invece era un calesse».