Riportiamo l’intervista rilasciata all’HuffPost dal Presidente Quagliariello il 22 maggio 2024
Intervista a Gaetano Quagliariello: “Prepariamoci al gran duello Meloni-LePen”
Professor Gaetano Quagliariello, possiamo dire che, dopo essersi ricollocata sull’Ucraina riconoscendo le ragioni di Kiev, Marine Le Pen molla i neonazisti dell’Afd pensando all’Eliseo?
La situazione francese fa pensare esattamente a questo. Ad oggi, Marine Le Pen è la grande favorita alla prossima corsa all’Eliseo e ho la sensazione che questo dato di fatto emergerà ancora più chiaramente dopo le Europee. Il suo partito sarà di gran lunga il primo, ci sarà un vero e proprio abisso col secondo e, anche se improbabile, è anche possibile che Macron arrivi terzo perché l’accordo tra Raphaël Glucksmann, leader del partito ecologista e pro-europeo Place publique, e i socialisti sta funzionando.
Praticamente un terremoto.
Nel caso, si aprirebbe una vera e propria crisi di sistema. Aggiungo che, in questo momento, nel campo moderato una vera candidatura ancora non c’è. C’è Edouard Philippe, che ha più possibilità, e l’attuale presidente del Consiglio, il giovane Gabriel Attal. Due mezzi “anti-Le Pen” che non ne fanno uno.
Dentro questa mossa con l’Adf c’è solo un tema di opportunità o anche, diciamo così, una revisione ideologica? Il suo Rassemblement National non è il Front National del padre legato a Vichy, però diciamo che non ha mai assunto la pregiudiziale antifascista.
Il problema non è solo questo. È proprio il cognome Le Pen che evoca un passato che non è passato: non solo Vichy ma anche la ferita dell’Algeria e, infatti, a fronte di questo, è sempre stata difficile una saldatura tra l’elettorato della destra repubblicana e Le Pen. Senza questa mossa la saldatura sarebbe impossibile.
Le Pen mette cioè in conto anche una sfida “da destra”, già rappresentata da Éric Zemmour per andare a occupare un pezzo dello spazio che fu dei gollisti?
Preferisce perdere qualche voto a destra, ma non concedere al suo antagonista il vantaggio del rassemblement repubblicano, che è sempre quello che al secondo turno ha deciso le competizioni. Diciamo che è già proiettata al secondo turno. Non si sa chi sarà il suo antagonista, ma che lei ci sarà è scontato.
Bene, questo in chiave nazionale. In chiave Europea questa mossa potrebbe portare a un rimescolo dei gruppi, e infatti va alla convention di Vox con l’idea di un gruppone di Conservatori, lasciando Afd in Identità e democrazia. Con quali conseguenze?
Questo, in chiave europea, un po’ leva elasticità al gioco delle alleanze, perché se ci fosse bisogno del voto dei Conservatori per fare una maggioranza, ed è possibile – l’altra volta per eleggere Ursula servirono i Cinque stelle – una cosa è prendere quei voti in uno schieramento senza la Le Pen, una cosa è farci i conti. La sua presenza toglie elasticità da entrambi i versanti.
Perché con la Le Pen in maggioranza non ci vai, in quanto i Popolari non la vogliono, ma Giorgia Meloni non può permettersi di stare fuori dai giochi della commissione e di non avere un commissario.
In effetti, il tentativo di Giorgia Meloni di collocarsi con un piede dentro e un piede fuori, al quale lei ha già in un’occasione accennato, con il riposizionamento della Le Pen potrebbe risultare un po’ più difficile. D’altra parte, i numeri sono i numeri…
Qui siamo al cuore della partita che riguarda Giorgia Meloni. Si tende ad accomunare Marine Le Pen alla premier italiana, ma forse la questione è un po’ più complessa. Si può dire che l’una è ciò che l’altra era?
Così così: diciamo che l’etichetta “sovranismo” e la capacità di toccare alcune pulsioni elettorali anti-establishment e, in una fase anti-europeiste, ha coperto differenze profonde. Rispetto alla storia di Francia e d’Italia, il partito cui origina l’una e l’altra non sono la stessa cosa. L’Msi ha fatto un percorso, An, eccetera, il cognome Le Pen rispetto al collaborazionismo e all’Algeria ha molto ingessato l’evoluzione. Ricorrerei, mutuandola dalla letteratura scientifica, alla differenza tra destra ed estrema destra.
Ora, oltre alla storia, c’è di mezzo il governo. La premier italiana si muove in un quadro di compatibilità sui vincoli economici europei, ed è al governo, l’altra è più libera. Una vota il patto di stabilità, l’altra può criticare.
E questo è il vero punto dell’oggi che, se vuole, configura anche una “sfida” a destra tra le due. E non è questione di poco conto: una, sui fondamentali, deve mostrare un’etica della responsabilità, l’altra può seguire quella della “convenienza”. In definitiva Marine Le Pen ha fatto un rapido dietrofront sull’Ucraina e si è smarcata dalle Liaisons dangereuses, ma può utilizzare tutto l’armamentario polemico con l’Ue che l’altra, realisticamente, ha dismesso recuperando, col suo elettorato, sui temi identitari – famiglia, genere – e un racconto di sé come anti-sistema pur avendo aderito nei fatti al sistema.
Però, poi, andando oltre questa distinzione, l’anti-europeismo classico, quello della fase dell’“euro come moneta criminale” è stato dismesso da entrambe.
Diciamoci le cose come stanno: il sovranismo, dopo il Covid è rimasto un mito, ma fondamentalmente non c’è nessuno che ti dice “usciamo dall’Euro” di fronte alla prova provata che gli Stati nazionali non ce la fanno da soli. Al massimo si arriva a rinverdire un po’ fuori tempo il vecchio slogan gollista dell’“Europa delle nazioni”. Questa, poi, è fondamentalmente, l’Europa di oggi che prevede il diritto di veto in Consiglio. Sembrano i comunisti europei dopo la Primavera di Praga, quando si definivano tali, ma non ci credeva più nessuno. Il vero gollista del Terzo millennio è Macron…
In che senso?
Perché Macron ha spostato il tema della sovranità dal livello nazionale al livello europeo. E, all’interno di questa nuova dimensione, rivendica una posizione di egemonia della Francia, con una ragione che ha a che fare con la sua potenza storica – l’unico paese nell’Europa continentale che ha il nucleare – e con l’elemento contingente di contesto ovvero che la Germania di Scholz si sta squagliando.
Lei accennava alla competizione Meloni-Le Pen, che si misurerà anche su chi prenderà più voti alle Europee. Diciamo che le è piombata in casa. La premier italiana è sempre particolarmente ossessionata dalla sfida da destra e di conseguenza, dall’apparire come colei che non tradisce ed è coerente con ciò che era.
Io credo che a Giorgia Meloni non faccia piacere questa operazione né abbia fatto piacere la sua presenza al raduno di Vox, infatti non è andata sottraendosi alla photo opportunity. E le ragioni sono due. La prima è che le lega le mani sull’oggi, e pone la necessità di un confronto. Sarebbe stato più comodo se Le Pen fosse rimasta nell’estrema destra con Salvini. In prospettiva, se conquista l’Eliseo, la competizione sarebbe sul ruolo di preminenza in Europa.
Tutto questo però ci racconta che anche dentro le destre più radicali c’è un cambiamento in atto, e la categoria di “anti-sistema” non intercetta. Saranno sporchi, brutti e cattivi, ma non si può parlare di fascismo o di anti-europeismo.
Guardi, il dibattito italiano è fuori dal mondo. Al tempo stesso ideologico e curvato su esigenze domestiche che hanno trasformato queste elezioni in un sondaggio nazionale.
E invece?
Invece a me sembra che, dentro le destre europee, ci sia uno strano processo che non è ancora definito, proprio delle fasi di transizione. Da un lato hai segni di una nuova radicalizzazione, all’interno del corpo sociale ed elettorale che potrebbero essere ancora più forti dopo le presidenziali americane. Dall’altra, per una serie di contingenze, che hanno a che fare col governo e con la prospettiva del governo, c’è un processo di romanizzazione dei barbari. Obtorto collo, i vincoli e le compatibilità esistono e non puoi non farci i conti.
Però quello che manca, in queste esperienze, è quella che una volta si sarebbe chiamata una revisione teorico-politica. Vengono accettati come una dura necessità provando a mantenere vivo tutto l’armamentario precedente e non come fulcro di una nuova missione storico-politica, o sbaglio?
Lei è un inguaribile nostalgico. In tutta Europa le operazioni teorico-politiche interessano a lei, a me, e qualche nostro comune amico….
Stiamo comunque parlando, a livello sistemico, di una sorta di nuovo bipolarismo europeo, segnato dalla crisi del tradizionale bipolarismo europeo?
Ci andrei cauto. Se i popolari dovessero rimanere il primo partito e i socialisti dare segni di ripresa in Francia, ci sarebbe da dire che le famiglie tradizionali non sono al tramonto. Siamo in una ridefinizione del quadro e dei rapporti di forza ma non possiamo dire che stanno sparendo.
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