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Le prospettive europee all'indomani del voto

10 giugno 2024

Riportiamo l’intervista rilasciata all’HuffPost dal Presidente Quagliariello il 10 giugno 2024

Gaetano Quagliariello: “Ora Putin può brindare”

Intervista col fondatore di Magna Carta: “Il voto antirusso si è rafforzato a est, ma la crisi di Francia e Germania, grandi sostenitrici di Zelensky, non è da poco in un’Europa che non si decide a contare di più”. Chiacchierata ampia su Macron, Scholz, Meloni, Salvini, Schlein, sul nuovo bipolarismo italiano, sulla Ue in cui tutto ora è possibile

Gaetano Quagliariello è presidente della Fondazione Magna Carta e docente di Storia Contemporanea alla Luiss di Roma. Il suo ultimo libro è “L’Europa e la Sovranità. Riflessioni italo-francesi (1897-2023)” scritto insieme a Maria Elena Cavallaro e Dominque Reynié, per Rubbettino.

L’Europa si sposta a destra ma all’Europarlamento la maggioranza Ursula – Ppe, S&D, Renew – regge. Von der Leyen ha già fatto appello a stabilità e responsabilità: abbiamo vinto al centro, pronti ad allargare. È saltato l’asse franco-tedesco di Scholz e Macron. Meloni, con il polacco Tusk, è tra i pochi premier di grandi Paesi ad aver vinto. Che succede?

Partiamo da una considerazione generale: queste Europee hanno fatto emergere una dissimmetria che viene da lontano. L’Europarlamento non è riuscito a diventare ciò che immaginava Altiero Spinelli: un organismo che dà la fiducia ai governi e ha il potere legislativo. Si vota sostanzialmente per eleggere una quota di deputati comuni, il che ha un significato limitato per l’Europa ma un’importanza enorme nell’ambito interno degli Stati membri. Ecco perché con il quadro europeo stabile e le coalizioni confermate, dappertutto i giornali parlano di terremoto e in particolare dei casi Francia e Germania. Dovremmo riflettere su come risolvere questi problemi di ingegneria costituzionale dell’Ue.

Lei conosce bene il sistema politico francese. Macron, a sorpresa, ha indetto le elezioni per il 30 giugno facendo appello al “fronte repubblicano” contro Le Pen e Bardella al 32,5%. È stato un azzardo da pokerista o, grazie a doppio turno e resurrezione dei socialisti, potrà evitare tre anni di logoramento?

È stato un azzardo ma non aveva alternative. Di fronte c’era il logoramento fino alle presidenziali del 2027. Macron ha fatto stato un calcolo non a breve ma a medio termine: può sì vincere al secondo turno ma mette in conto anche la coabitazione con un governo di estrema destra. Alle politiche il “fronte repubblicano” è più difficile che alle presidenziali perché lo creano gli elettori nelle urne e non i partiti nelle liste: lo sbarramento a livello di collegio può portare a duelli come a sfide tripolari o quadripolari. In ogni caso, l’eventuale prima coabitazione del quinquennato rappresenterebbe il fallimento della Quinta Repubblica. La riforma ha accorciato il mandato presidenziale (da 7 a 5 anni, ndr) per farlo coincidere con quello parlamentare sperando in maggiore stabilità.

La Spd tedesca è al minimo storico, e la “coalizione semaforo” insieme – Spd, Verdi e Liberali – somma i voti della Cdu. D’altra parte, si può dire che i voti non populisti esprimono due terzi dell’elettorato e che Afd e rossobruni superano di poco il 20%. Che cosa rischia il Cancelliere Scholz?

In Germania si è squagliato proprio Scholz, ed era chiaro già da prima del voto. Questo dato significa parecchio: per la sinistra europea la Spd non è un partito qualsiasi, è l’ammiraglia. E la Germania esprime una tendenza: la crescita dei partiti di estrema destra è stata portata avanti in buona parte dalla guerra. Ad eccezione dell’Europa dell’Est, su cui va fatto un discorso a parte. I frangiflutti rispetto a questa crescita generale sono i partiti di centro, con l’eccezione dell’Italia dove la barriera all’estrema destra è un partito di destra. Meloni è diventata il caposaldo dello schieramento che guarda a Occidente ed è ostile a Putin.

In Polonia ha vinto l’europeista Donald Tusk. In Ungheria il filorusso Viktor Orbán si è fermato al 43,8%, perdendo 8 punti rispetto al 2019, con la sorpresa del suo avversario Peter Magyar al 31%.

Credo che nei prossimi giorni si analizzerà meglio il peso della guerra e del timore di Putin nelle scelte dei Paesi ex-sovietici. Chi conosce la Polonia sa che il risultato del suo voto è importante e sorprendente. E Varsavia, dopo Francia e Germania, è un Paese cruciale. Mentre l’appello di Orbán si è rivelato un boomerang: gli ungheresi sono andati a votare, ma contro di lui.

In Italia vincono FdI e Pd. Siamo tornati a un bipolarismo di fatto?

Parto da una premessa. Alle Europee c’è sempre stato chi prendeva oltre un terzo dei voti: prima il Pdl, poi Matteo Renzi, nel 2019 Matteo Salvini. Stavolta il cannibale non è stato un partito bensì l’astensione: sei punti in meno di partecipazione, e senza il traino delle amministrative il dato sarebbe stato più drammatico. Il disinteresse è causato da un voto derubricato a grande sondaggio, e i leader a mio avviso non hanno fatto bene a candidarsi.

Eppure Meloni “detta Giorgia” ed Elly Schlein hanno polarizzato il duello e macinato preferenze, soprattutto la premier, e punti, soprattutto il Pd. Una prova generale di premierato?

Per quanto riguarda il premierato, dovremo prima capire in cosa consisterebbe. I risultati di Meloni e Schlein sono stati eccellenti, rendendo marchiano l’errore di Matteo Renzi e Carlo Calenda: dividersi al centro è stato un suicidio. In questo senso il bipolarismo ha funzionato. Queste elezioni hanno mostrato che il centro uscito dalla porta rientra dalla finestra.

Bipolarismo ma eterno ritorno del centro ago della bilancia?

Nell’opposizione, con il M5S crollato al 10%, si apre una nuova partita: che deriva prenderà Giuseppe Conte? Si rassegnerà al ruolo di junior partner del Pd o tornerà a una strategia di estremizzazione per recuperare consensi? Se sceglierà la seconda strada, il Pd dovrà guardare al centro. E a destra Meloni ha un problema speculare a Schlein.

Umberto Bossi ha fatto sapere a urne aperte che non avrebbe votato il partito da lui fondato bensì il suo ex capogruppo Marco Reguzzoni candidato con Forza Italia. Che fine farà la “Lega per Vannacci premier”?

Mi ha sorpreso la poca rilevanza data dai media alla scelta di Bossi. È come se un bel giorno Togliatti avesse detto che votava socialista o De Gasperi che votava comunista. Bossi è il fondatore della Lega che però oggi corrisponde all’Afd o al RN di Marine Le Pen. Non ha più niente dell’originario Partito del Nord. Bisogna capire se questa deriva continuerà.

Pare di sì. Salvini ha appena annunciato che “la scelta nazionale è il futuro”.

Il punto è se la posizione di Salvini sulla guerra diventerà incompatibile con la linea di Meloni. A quel punto, per mantenere la centralità politica, la premier dovrà rafforzarsi sul versante di Forza Italia. Antonio Tajani sa benissimo che il suo 10% può essere interpretato in due modi. Come frutto di un appello alla nostalgia, essersi ripreso quanto era stato smarrito, e dunque soglia massima raggiungibile. Oppure come punto di partenza di una grande costituente al centro che recuperi anche la crisi di Renzi e Calenda. Ma significherebbe non dare per scontata questa coalizione, soprattutto se Salvini vira ancora più a destra.

Lei metteva in risalto il voto anti-russo dell’Est europeo. Ma i principali sostenitori di Zelensky in Europa, Macron e Sholz, sono stati travolti. Davvero Mosca non può brindare?

Sì, può brindare. È vero che nel risultato complessivo la coalizione pro Ucraina si è rafforzata, ma la crisi di Parigi e Berlino non è cosa da poco. Torna attuale la domanda di Henry Kissinger, che voleva sapere quale numero di telefono chiamare per parlare con l’Europa. Vedremo però che posizione assumerà Le Pen, considerando che la Cdu su quel fronte non è meno determinata della Spd. Ma forse l’Europa, oltre alla giusta linea di difendere Kiev, dovrebbe saper dimostrare di contare di più. Alla lunga, se il sostegno di Bruxelles si rivela poco determinante le opinioni pubbliche si stancano.

Von der Leyen si sente favorita per la presidenza della Commissione. Antonio Costa ha reclamato il vertice del Consiglio per un socialista. La virata a destra dell’Europa si sentirà dopo sui singoli dossier – come Green Deal e migranti – dove l’influenza dell’estrema destra sarà ben maggiore dell’ultima legislatura?

Non c’è dubbio che, al di là di una piccola perdita di voti, la sinistra tiene nell’Europarlamento mentre appare poco competitiva nella maggioranza dei Paesi. Lo spostamento a destra c’è, Von der Leyen sa che l’attuale coalizione non basta e ha già strizzato l’occhio a Meloni. La proposta di ripartire dai Paesi a favore dell’Ucraina è un’evidente apertura.

Che difficilmente, però, Meloni potrà cogliere oltre un’astensione sul suo nome. A meno di rompere subito il fronte alla destra del Ppe…

Stiamo all’oggi. La partita è appena iniziata, sarà lunga e niente è scontato.