Riportiamo l’intervista rilasciata dal Presidente Quagliariello il 1 luglio 2024.
Gaetano Quagliariello: “Le Pen può aiutare Meloni a indebolire l’asse franco-tedesco”
di Alessandro De Angelis
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“Alla lunga però fra le due può nascere una competizione su chi sia leader della destra europea. Per entrambe il problema strategico è decidere quando smettere di essere leader di un’area per esserlo di una nazione. Attenzione perché Macron ha ancora margini di gioco”.
Professor Gaetano Quagliariello, grande esperto di storia della Francia. Dia un titolo: è la fine della Quinta Repubblica?
Della Quinta Repubblica no ma è senz’altro la fine delle Quinte Repubbliche che fin qui abbiamo conosciuto. È saltata l’esclusione degli eredi di Vichy, che è quell’elemento di “disciplina repubblicana” attorno a cui si è strutturato il sistema politico francese. Ed è stato superato anche un altro tornante politico istituzionale: il quinquennato, nato per far coincidere la durata della presidenza della Repubblica e del Parlamento, con lo scioglimento anticipato ha provocato un disallineamento, con la conseguenza, in caso di vittoria di Marine Le Pen, di una inedita coabitazione.
Ci si è chiesti se la mossa di Macron di sciogliere il Parlamento fosse un’astuzia, le urne hanno risposto che è stato un azzardo. È così?
Resta il fatto che era senza alternativa. Secondo me era perfettamente consapevole dei rischi, ma in Francia le vere elezioni che contano sono quelle per l’Eliseo. E l’alternativa era farsi crivellare di colpi per tre anni.
Si è fatto crivellare ora. Si può dire che il macronismo – un’idea di liberalismo tecnocratico e antipolitico che scompaginasse i poli – è finito definitivamente?
La vocazione maggioritaria di quel progetto, senza dubbio, è finita. Il futuro politico di Macron dipende invece molto dalla tenuta o meno del Fronte popolare. È uno schieramento emergenziale creato in tre settimane, con programmi diversi e differenze paragonabili a quelle che c’erano nel secondo governo Prodi tra i centristi e i troskisti. La domanda è: reggerà e Mélenchon è destinato a diventare il prossimo candidato alle presidenziali, oppure tutto è destinato a rompersi? In questo caso Macron potrebbe avere, di nuovo, dei margini di gioco.
Un tempo c’era la Francia dei valori repubblicani e la Francia della nostalgia, oggi due France che si contrappongono, ognuna delle quali si presenta come la vera Francia repubblicana, accusando gli altri di essere i barbari. Che significa questo?
La Quinta repubblica è sempre stata polarizzata, ma all’interno del bipolarismo classico tra gollisiti e socialisti, entrambi i partiti pivot avevano dei “nemici” alla loro estrema, e il centro era la terra di conquista che determinava la vittoria. Questo schema è saltato con l’epifania di Macron, che ha occupato il centro con l’intento di renderlo egemone. Ora il bipolarismo si è ripresenta ma, mi sia perdonato il gioco di parole, molto più polarizzato: né la destra né la sinistra hanno nemici alle loro spalle. Siamo cioè davanti a una possibile evoluzione dello schema classico che domenica vedremo se uscirà confermata anche dal secondo turno.
Si riferisce all’incognita legata alle desistenze?
Sarà fondamentale capire come avverranno, visto che, anche a causa dell’aumento dell’affluenza, si è passati dalle dieci triangolazioni della volta scorsa a 297 collegi in cui, appunto, i candidati sono tre. Però, al di là degli accordi politici, c’è un tema che riguarda l’elettorato. Gli elettori di Macron, che non hanno problemi a votare socialisti e comunisti, ne hanno invece tanti con Mélenchon. E viceversa. Non a caso il leader di France Insoumise ha aperto il suo discorso post-elettorale attaccando proprio il presidente.
E Marine Le Pen, nel suo commento dopo l’uscita dei dati, ha chiesto una vasta mobilitazione popolare per fermare la sinistra antisemita e anti-Repubblicana di Mélenchon. Punta all’elettorato di Macron?
Tenuto conto della sua provenienza, la circostanza può persino apparire paradossale. Non c’è dubbio che Marine abbia fatto quella dichiarazione per gettare zizzania tra i suoi avversari di domenica prossima.
Dà per acquisito che gli elettori gollisti voteranno Le Pen al secondo turno?
È un’altra variabile importante. I candidati gollisti hanno passato lo sbarramento che consente il passaggio al secondo turno in pochissimi collegi. Ma il partito ha preso il 6,6 per cento; in molti casi possono essere decisivi. Questi elettori non voteranno certamente per l’estrema sinistra ma non sappiamo quanti andranno a votare per Le Pen e quanti, invece, si asterranno. Io credo che l’astensione sarà un elemento molto importante. Voglio dire: le desistenze si faranno e rappresentano una versione della disciplina repubblicana a scarto ridotto, “a geometria variabile”. Ma poi c’è l’elettorato per il quale non vale alcun tipo di automatismo.
Come si spiega il voto a Marine Le Pen: è solo rivolta delle periferie, ceto medio deluso dalla sinistra globalista, arrabbiati della Francia rurale e anziani nostalgici di un mondo antico? O c’è di più?
La polarizzazione del voto – quello per la Le Pen ma anche quello per la France Insumise – è frutto delle mancate risposte alla crisi da parte delle forze più moderate. Bisogna partire da qui. Mi rendo conto che non sia facile e non getto la croce addosso a nessuno ma se si leggono i discorsi di Macron, ad esempio sull’Europa, e li si confronta con quanto si è effettivamente realizzato, il piatto piange. E piange soprattutto laddove le fragilità sono più forti.
Diamo una lettura italiana del voto. Giorgia Meloni può festeggiare l’indebolimento di Macron. Ha puntato anche su questo per il suo negoziato europeo, giusto?
Nel breve periodo l’aiuta, perché il voto francese è la seconda tappa di quel processo di indebolimento dell’asse franco tedesco, emerso dal voto europeo. A proposito di tornanti storici, la polarizzazione si è impossessata della vecchia Europa: Francia, Italia, Germania, ognuno ha le sue storie nazionali ma il film è analogo. In questo senso il quadro spinge per un’ipotesi più comprensiva nella trattativa europea. Logica dice che si cercherà di dialogare con quelle parti che, come nel caso di Giorgia Meloni, vengono da schieramenti antieuropeisti ma hanno dimostrato la volontà di convertirsi senza rinnegare.
Però Marine Le Pen rappresenta anche una sfida, tutta politica, per Giorgia Meloni.
Questo rimanda a un ragionamento di medio periodo. Si potrebbe stabilire un elemento di competizione per chi ha la preminenza nella destra in Europa, ma non è ancora chiaro su che terreno si svilupperà la competizione. Rispetto a quando l’una era al governo e l’altra puntava all’Eliseo ma aveva le mani libere, si potrebbe creare una situazione in cui entrambe sono al governo. Lì si vedrà quale strada sceglie Marine Le Pen: se diventare il capo degli “estremisti” o tentare un percorso, simile a quello di Giorgia Meloni, di semi-integrazione, magari cercando una sponda nei gollisti.
La famosa “romanizzazione dei barbari”.
I principi di un’eventuale romanizzazione li potremo vedere già, nel caso, al momento della formazione del governo. I lepenisti hanno dichiarato: se non abbiamo la maggioranza assoluta, non governeremo. Affermazione che si spiega con l’idea di mobilitare l’elettorato in vista del secondo turno. Ma se mancheranno pochi seggi, davvero manterranno questo proposito a costo di lasciare il paese privo di un governo? Oppure proveranno una alleanza con i gollisti, che comunque entreranno in Parlamento con 35-40 seggi? In questo caso avremo schema destra-centro un po’ più simile a quello italiano.
Se invece sceglie la linea della sfida da destra?
Se Marine Le Pen punta invece sull’idea di essere il capo della destra estrema, va a toccare, letta in chiave italiana, i tasti su cui la premier italiana è più sensibile. Sia culturalmente, perché tutto il suo impianto si fonda sul rifiuto, anche retorico, della discontinuità; sia politicamente, perché questo rappresenterebbe una sponda a Salvini e a chi gioca sullo schema dello scavalcamento a destra.
Finora Giorgia Meloni, in Europa, si è comportata più da leader dei Conservatori, con un occhio agli schieramenti politici, che da premier. Non pensa che, su questo schema, Le Pen è più forte e che a Giorgia Meloni converrebbe rappresentare più l’interesse dell’Italia che l’Ecr?
Più quel mondo che è stato, diciamo così, sovranista entra nelle dinamiche del governo, più si manifesta la contraddizione tra logica di schieramento e logica nazionale. Il problema è tattico ma anche strategico. È chiaro che arriva il momento nel quale, se s’intende fare un salto di qualità e non fermarsi a essere protagonista di una sola fase, bisognerà chiarire il punto di caduta. Questo vale per chiunque ambisca a rappresentare Paesi della portata di Italia e Francia.
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