Editoriale del Presidente Quagliariello per La Gazzetta del Mezzogiorno – 19 luglio 2024
La società calda del Meridione e il futuro dell’AI
Lo scorso anno gli investimenti nel mercato dell’Intelligenza artificiale in Italia sono raddoppiati, raggiungendo 760 milioni di euro. Riuscire, però, a quantificare con precisione le aziende che stanno cavalcando l’onda è un esercizio complicato, come contare i chicchi di riso in una pentola.
Va considerato, in primo luogo, che non c’è una sola Intelligenza artificiale. Le macchine in grado di spostare un pacco da un punto all’altro di un magazzino, o gli “algoritmi di raccomandazione” che ci suggeriscono un film meglio dei nostri amici, esistono da tempo. La IA “generativa”, invece, in grado di partecipare a una riunione in videoconferenza prendendo appunti in modo autonomo – solo per fare un esempio – rappresenta per molti di noi una grande novità.
Per disegnare la mappa delle aziende che usano le tecnologie emergenti, inoltre, vanno tenuti in conto il posizionamento geografico le dimensioni delle imprese. Secondo ISTAT/EUROSTAT, nel 2023 il 5% delle imprese con almeno 10 addetti ha utilizzato almeno una delle tecnologie di IA, contro l’8% della media europea. Nel nord la percentuale si attesta al 6%, mentre nel sud scende al 4,7%. Il dato, di per sé significativo, va letto assieme a quello del dimensionamento delle imprese. L’Osservatorio sulla IA del Politecnico di Milano ci informa che, mentre 6 grandi aziende italiane su 10 hanno avviato progetti di intelligenza artificiale, in particolare nei settori dell’informatica e delle telecomunicazioni, le Piccole e Medie Imprese inseguono affannosamente, con percentuali assai più modeste.
Per interpretare questi ritardi va tenuto nel debito conto che la maggioranza degli italiani teme l’intelligenza artificiale: percezione che, per quanto diffusa, nel Sud è particolarmente avvertita. Questa paura non è una novità. All’inizio della Rivoluzione industriale, i luddisti sabotavano i telai meccanici giudicandoli colpevoli dei bassi salari e della disoccupazione. Finché le “macchine intelligenti” di allora aprirono la strada al progresso economico, allo sviluppo e alla crescita. Oggi viviamo una situazione simile. In Italia, ben presto, non mancherà il lavoro ma i lavoratori, per colpa del combinato disposto tra crollo delle nascite, invecchiamento della popolazione, fuga dei cervelli e propensione all’assistenzialismo. Nei prossimi quindici anni si stima che perderemo più di 4 milioni di persone in età lavorativa e l’IA potrebbe rivelarsi determinante per garantire la tenuta della produttività, contribuendo a rendere sostenibile il nostro costoso sistema previdenziale e di welfare. Proprio su questi temi la Fondazione Magna Carta e Microsoft Italia hanno per tempo avviato una ricerca.
Già da ora si può anticipare una conclusione: le Pmi meridionali, per non restare al palo, devono investire maggiormente in ricerca e stringere alleanze con quella parte della pubblica amministrazione che sta recuperando il ritardo nella digitalizzazione, con le università e le start up innovative, per creare nuove competenze e favorire il trasferimento tecnologico verso i territori.
La sfida identitaria che il Mezzogiorno deve far propria, semmai, è quella di ‘umanizzare’ l’intelligenza artificiale. Dopo il Covid si è compreso che il freddo efficientismo produttivista non è in grado di rispondere ai bisogni e alla paure di un mondo sempre più complesso. La “società calda” meridionale – per le sue relazioni umane profonde, i legami comunitari e la capacità di ascolto -, può ambire a divenire l’epicentro di un nuovo umanesimo tecnologico. Al Sud creatività imprenditoriale e competenza tecnologica possono coniugarsi meglio che altrove, dimostrando che in un’epoca nella quale tutto sembra automatico, replicabile e standardizzato, esistono modelli innovativi basati su un’idea di crescita e benessere sostenibile. Dove le macchine continueranno ad essere messe al servizio delle persone, e non viceversa.
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