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Settanta anni dopo la CED: l'Europa tra difesa e unità mancata

30 agosto 2024

Editoriale del Presidente Quagliariello per Il Giornale  – 30 agosto 2024

Disarmati da 70 anni. La lezione più difficile

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Il 2024 ha visto ricordare gli anniversari delle morti di Matteotti, De Gasperi, Togliatti e Berlinguer. In marzo c’è stata la ricorrenza dei 150 anni della nascita di Einaudi. Tra tutti questi anniversari, quello più denso di significato attuale riguarda, però, una sconfitta. Il 30 agosto 1954 moriva la CED, la Comunità Europea di Difesa, bocciata dal voto del Parlamento francese. Alcide De Gasperi, per quel progetto, combatté fino all’ultimo giorno della sua vita. Ed esso rappresenta ancor oggi l’ipotesi più compiuta di unità europea.

L’Europa, allora, aveva da poco mosso i suoi primi passi. Era accaduto con il varo della CECA, la Comunità del Carbone e dell’Acciaio: soluzione pragmatica per sciogliere il nodo della «questione tedesca».

La Germania, infatti, dalla comunità internazionale, era ritenuta responsabile dei conflitti armati del Novecento. Quel progetto sovranazionale consentiva di coinvolgerla – e di utilizzare le sue grandi risorse – nella ricostruzione del dopoguerra, senza correre il rischio di resuscitare il suo istinto egemonico.

L’Europa, dunque, nacque dal!’ esigenza di diluire, annacquare, sminuzzare il potere, per non ricadere nel «vizio assurdo» alimentato dal mito dello Stato sovrano. Lo scoppio della Guerra di Corea provocò un’improvvisa riclassificazione del progetto. Il mondo rischiava di scivolare verso un nuovo conflitto armato e l’Europa fu chiamata a dare il suo contributo, anche sul piano militare. Neppure gli americani erano, allora, in grado di tergiversare. L’ipotesi dalla quale si era partiti con la CECA doveva essere revisionata.

Per far vestire la medesima divisa a soldati che fino a pochi anni prima erano stati nemici, era necessario creare un nucleo di potere politico condiviso. Fare in modo che la sovranità alla quale gli Stati avrebbero rinunciato fosse recepita da una istituzione sovraordinata, governata da regole chiare e accettate fino   in fondo da governanti e cittadini. Nacque così il progetto dell’esercito continentale.

La conversione, allora, non sarebbe stata complessa, in quanto la costruzione dell’edificio europeo era appena iniziata. Il contesto internazionale, però, cambiò repentinamente. Nel 1953 la Guerra di Corea si concluse senza vincitori né vinti. Morì Stalin, simbolo dello scontro cruento tra i blocchi. Si avviò, persino, una «piccola distensione». E, circostanza tra tutte più rilevante, il mondo iniziò a comprendere le potenzialità contenitive dell’equilibrio nucleare. Si ritenne, perciò, di poter fare a meno dell’accelerazione verso l’Europa politicamente sovrana e responsabile, che la CED avrebbe implicato. Fu ritenuto più agevole – in fondo più conveniente – proseguire nella costruzione di un organismo articolato e complesso, nei cui meandri il potere, anziché mostrarsi per quel che è, potesse mimetizzarsi. Da allora in poi, e sempre di più, l’Europa iniziò a somigliare a una chiesa barocca ricca di superfetazioni e ghirigori, anziché scegliere le linee ascensionali delle cattedrali gotiche.

Sono trascorsi settant’anni. In pochi hanno immaginato, nel frattempo, che la guerra potesse tornare a bussare alle porte dell’Europa e che il vento isolazionista tornasse a soffiare forte sull’America. Sono ancora di meno, poi, quelli che hanno previsto un Vecchio Continente sfidato contemporaneamente sul versante dell’economia, dell’energia e delle armi. Oggi, un potere più coeso ed evidente servirebbe come il pane. L’obiettivo, però, è difficile da conseguire, perché per settant’anni si è andati in tutt’altra direzione.

La frontiera dell’unità passa di nuovo dalla difesa comune. È il simbolo dell’inversione della rotta. Nel mondo di oggi, ancora più che in quello di ieri, nessuna nazione europea può sostenere il costo di una difesa autonoma. Tornano attuali le parole che pronunziò Einaudi, quando la sconfitta di cui corre l’anniversario si palesò all’orizzonte: «Il problema non è fra l’indipendenza e l’unione; è fra l’esistere uniti e lo scomparire».