Editoriale del Presidente Quagliariello per La Gazzetta del Mezzogiorno- 30 settembre 2024
Il Mezzogiorno è in salute ma per correre davvero si punti sul capitale umano
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La buona fase economica che sta attraversando il Meridione, da ultimo, è stata attestata sia da un rapporto del Governatore di Banca d’Italia sia dal Presidente del Consiglio nella sua relazione a Confindustria. Sulle colonne di questo giornale avevamo per tempo analizzato il «bicchiere mezzo pieno». Affinché i risultati positivi di questi anni diventino strutturali, e non cambino repentinamente di segno con il mutar delle contingenze esterne, è necessario saper guardare anche al «bicchiere mezzo vuoto».
Tra i tanti problemi irrisolti, che le buone performance economiche non debbono indurre a nascondere sotto il tappeto, ce ne è uno cruciale. Lo si può definire «capitale umano». La conquista della continuità ha bisogno di giovani leve in grado di fronteggiare i problemi dei tempi che si annunciano. Queste, però, scarseggiano. Non solo a causa dell’inverno demografico, che sta colpendo anche i territori del Sud dove fino a poco tempo fa era sempre estate. Ancor più grave appare la situazione della formazione, destinata a divenire nei prossimi anni una sfida cruciale, in quanto pubblica amministrazione e imprese avranno sempre più bisogno di adeguarsi alla rivoluzione tecnologica in atto.
Il Mezzogiorno, in questo campo, non sta convergendo, come invece i dati economici sembrano attestare. Il divario con il Nord tende addirittura ad aumentare. Gli ultimi dati Invalsi mostrano che in Italia il tasso di dispersione scolastica è sceso al 9,4%, in linea con il target europeo. Al Sud, però, l’abbandono resta ancora insopportabilmente alto. Se poi ci si riferisce alla dispersione implicita -gli studenti che, pur avendo completato gli studi, non possiedono le competenze per affrontare il mondo del lavoro – il confronto diviene impietoso: circa il 3 % al Nord, più del 9% al Sud.
Questo dato chiama in causa la formazione professionale. E le note si fanno ancor più dolenti. Secondo l’Inapp, in Lombardia, Lazio, Piemonte e Veneto si concentrato quattro quinti dei percorsi professionalizzanti completati. Le aziende del Sud, per di più, sono restie a sfruttare gli incentivi per l’apprendistato, con tassi di adesione del 24 %, rispetto al 55-59% del Centro- Nord. Insomma: in molte parti del Mezzogiorno il sistema è inefficiente. In altre è addirittura marcio. In Puglia, ad esempio, chi avrà la pazienza di leggere gli atti giudiziari sulla compravendita dei voti, scoprirà che lo scandalo investe a pieno la formazione professionale, utilizzata al fine di alimentare clientele e cooptare adepti per quella pratica criminale.
La situazione migliora quando si analizza la realtà degli studi superiori. Al Sud persiste una rete liceale di livello buono, in qualche caso ottimo. Non mancano le università d’eccellenza. Anche in quest’ambito, però, si prospettano grandi problemi. Nei prossimi anni, infatti, si avvertiranno sempre di più gli effetti del calo demografico. Gli studenti scarseggeranno. Il sistema scolastico, e ancor più quello universitario, saranno chiamati a varare strategie inedite. Se vorranno sopravvivere nella configurazione odierna, dovranno divenire più attrattivi e, per questo, internazionalizzarsi. Secondo la Crui, prima della pandemia, al Nord il 60% dei dottorati era offerto anche in lingua inglese, mentre al Sud si arrivava a malapena al 12%. I master seguono la stessa tendenza: solo il 9% di quelli in inglese è allocato al Sud. Non ci si può, perciò, stupire se sono le università del Nord ad ospitare gran parte degli studenti stranieri iscritti in Italia. Si spiega anche la c.d. retention: il fenomeno per il quale molti studenti che iniziano i loro studi al Sud, si trasferiscono poi altrove in cerca di migliori opportunità accademiche e professionali. Negli ultimi dieci anni il Mezzogiorno ha perso un milione e mezzo di giovani: una risorsa inestimabile.
Ora il Sud è chiamato a competere. Prima che la gara inizi, però, avrebbe bisogno di gambe efficienti perché ogni sfida si basa innanzitutto sulle gambe e sulle teste di donne e uomini: anche al tempo dell’intelligenza artificiale. Per fornirgliele, urge una strategia sussidiaria che mobiliti, insieme, politica, imprese e sistema formativo. E solo dopo si dovrebbe poter parlare di autonomia e di differenziazione.
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