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Perché "lavorare meno" non è la soluzione

11 gennaio 2025

Editoriale del Presidente Gaetano Quagliariello pubblicato su Il Giornale – 11 gennaio 2025

L’idea di “lavorare meno” è un suicidio sociale

“Basta lavorare e basta – argomentano questi giovani – noi vogliamo vivere”. E la loro parola d’ordine, per questo, è divenuta: “Lavorare meno, vivere di più”

La rivoluzione digitale in atto sta cambiando il mondo. E, in particolare, sta cambiando il mondo del lavoro. L’avvento di nuove tecnologie e dell’intelligenza artificiale modifica compiti, funzioni, comportamenti nell’impresa e nella pubblica amministrazione. La sfida della formazione e della riqualificazione saranno, per questo, quelle decisive per i prossimi decenni. Chi saprà affrontarle, guadagnerà un vantaggio decisivo. Paesi, università, istituzioni culturali dovrebbero prepararsi per tempo. Complice l’inverno demografico, infatti, la disoccupazione per mancanza di offerta è destinata a scomparire. Resisterà soltanto la disoccupazione per mancanza di competenze idonee. Alla quale si può e si deve ovviare attraverso un adeguato investimento formativo.

Il cambiamento del lavoro, però, non dipende solo dall’innovazione tecnologica. Si innesta su dinamiche storiche profonde, che chiamano in causa le identità culturali e le tradizioni dei popoli; gli atteggiamenti diffusisi e il modo di concepire la vita. Se guardiamo in direzione della Germania e della sua crisi, lo possiamo comprendere meglio. Qui, infatti, una nuova generazione appare impegnata a smentire, addirittura, Max Weber e un suo paradigma: quello che associava l’etica protestante allo sviluppo capitalistico. È in atto, infatti, una sorta di rivolta contro i padri e la loro visione del mondo: «Basta lavorare e basta – argomentano questi giovani – noi vogliamo vivere». E la loro parola d’ordine, per questo, è divenuta: «Lavorare meno, vivere di più».

Innovazione tecnologica e cambiamenti culturali, dunque, s’intrecciano. Da un canto, la tecnologia ridefinisce il lavoro; dall’altro le aspirazioni delle nuove generazioni ne determinano l’adozione e l’impatto. Gli esiti, a volte, sono sorprendenti. Così la Germania, in piena recessione nel 2023, si è presa il lusso di collocarsi all’ultimo posto per il numero di ore lavorate tra tutti i Paesi Ocse. Il dato diviene addirittura sconvolgente se lo si compara con quello fatto registrare da Paesi fino a ieri derisi dai «nordici» per la loro pigrizia. Si prenda ad esempio la Grecia. Lì fino a qualche anno fa si andava in pensione a 57 anni; nel 2023, invece, si è lavorato quasi il 40% in più dei tedeschi. E si fanno leggi per consentire, a chi lo voglia, di ampliare, ancor più, il numero di ore da trascorrere al lavoro.

Innovazione tecnologica e cambiamenti culturali, dunque, s’intrecciano. Da un canto, la tecnologia ridefinisce il lavoro; dall’altro le aspirazioni delle nuove generazioni ne determinano l’adozione e l’impatto. Gli esiti, a volte, sono sorprendenti. Così la Germania, in piena recessione nel 2023, si è presa il lusso di collocarsi all’ultimo posto per il numero di ore lavorate tra tutti i Paesi Ocse. Il dato diviene addirittura sconvolgente se lo si compara con quello fatto registrare da Paesi fino a ieri derisi dai «nordici» per la loro pigrizia. Si prenda ad esempio la Grecia. Lì fino a qualche anno fa si andava in pensione a 57 anni; nel 2023, invece, si è lavorato quasi il 40% in più dei tedeschi. E si fanno leggi per consentire, a chi lo voglia, di ampliare, ancor più, il numero di ore da trascorrere al lavoro.

Per far questo, però, non serve rinnegare il capitalismo, le sue regole e le ragioni culturali che lo hanno sostenuto. Meglio porsi l’obiettivo di rinnovarlo, riscoprendone le radici comunitarie che sono parte della sua migliore tradizione.