Per gentile concessione dell’autore, Giuseppe De Lucia Lumeno, pubblichiamo stralci del volume “In virus veritas”. Una riflessione economico finanziaria della crisi, delle storture del sistema europeo e delle possibili conseguenze.
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Il rallentamento e poi il fermo della produzione a seguito delle misure di contenimento del virus covid-19 e il conseguente lockdown, ormai imposto a livello globale anche dai governi più tiepidi verso il blocco, ha determinato il crollo globale del sistema finanziario e bancario internazionale, determinando uno shock che ha fatto nascere paure, ma non ha suscitato consistenti reazioni da parte delle vittime, poiché queste non costituivano un gruppo sociale e politico reale, e per il fatto che gli interessi dei salariati non erano più unificati come non lo erano quelli dei dirigenti, tra cui esistevano anche, lo si è ricordato, divisioni e conflitti.
La maggioranza ritiene che il concorso deciso degli Stati è indispensabile per impedire una catastrofe sistemica. […] Può spiegarsi così uno dei fenomeni più sorprendenti dell’epoca che viviamo, il silenzio assordante delle vittime, quando la situazione economica si appresta a provocare reazioni pesanti che i sindacati avrebbero, per loro collocazione, potuto trasformare in protesta politica. Niente di ciò è stato percepito nella maggior parte dei Paesi. […] Nella maggioranza dei Paesi, in effetti, ora non cogliamo più gli elementi di base che avevano giocato un ruolo così importante nelle società industriali. La riduzione dell’importanza dei sindacati – in particolare – è manifesta quasi dappertutto.
[…] Non viviamo più in una società in cui le classi sociali si contendono la ripartizione dei prodotti della produzione. Lo Stato agisce meno come un arbitro tra gli attori sociali in conflitto che come un mediatore tra l’economia nazionale e i suoi avversari che intervengono sui mercati internazionali. Sono pochi gli attori politico-economici che occupano ancora un posto importante nella società. Dal canto suo, lo Stato del 2020 non ha quasi niente in comune con il suo omologo del 1936 e del New Deal.
[…] Queste osservazioni sulla debolezza degli attori nella società ci fanno procedere verso conclusioni opposte a quelle presentate in generale: il capitalismo ha subito e continua subire una crisi grave ma potrebbe uscirne indebolito non sappiamo ancora in quale misura, e lo stesso capitalismo finanziario potrebbe risollevarsi più o meno rapidamente e recuperare le pesantissime perdite accumulate in poche settimane. Ad essere in rovina sono gli attori, i modi di dominio, i conflitti tradizionali e gli interventi dello Stato nel senso classico del termine; in breve, la società capitalistica classica. Sarebbe un nonsenso credere che una società capitalista sia tale in quanto completamente dominata dall’economia capitalista e dagli interessi dei suoi dirigenti.
Per un sociologo, una società capitalista non è solo una società la cui economia è capitalista, dato che oggi la Cina dei successori di Mao come la Russia di Putin e di Medvedev sono economie capitaliste.
Una società capitalista è ritenuta tale nella misura in cui gli attori economici in conflitto si contendono il controllo delle risorse disponibili in una cultura accettata da tutti e in condizioni che permettono allo Stato di intervenire. Intervento cui lo Stato è spinto dalle vittime della gestione economica imposta dai dirigenti capitalisti.
[…] Gli Stati fanno così appello direttamente a finalità non economiche, tanto sociali che ecologiste. I conflitti principali non s’iscrivono più all’interno del sistema di produzione ma oppongono ad una economia globalizzata dei diritti che devono essere direttamente umani, e non solamente sociali.
Se occorre parlare della sostituzione di attori sociali da parte di attori morali, e sperare in una società ricostruita, il potere dominante degli attori sarà limitato sia dal potere di iniziativa dei dirigenti industriali, e di quelli che resistono alla logica non umana dell’economia globalizzata, e sia da interventi di Stati preoccupati di cancellare l’irrazionalità delle manovre speculative e l’aumento delle disuguaglianze sociali e della disoccupazione. La contraddizione, così spesso richiamata, tra un economismo puro e la preoccupazione degli ecologisti di salvare la vita sul pianeta deve essere considerata della stessa natura di quella che opponeva padroni delle imprese e operai nella società industriale.
[…] Mai però come in questo momento quelle che un tempo erano definite le forze del mercato mostrano tutti i loro limiti; tanto che il motore a questo punto non può non definirsi in una vera e propria fase di “grippaggio”. I danni potrebbero essere lievi in caso di intervento rapido, ma anche gravi e di difficile soluzione.
In un istante, abbiamo scoperto fino a che punto c’eravamo allontanati dai problemi della produzione, e privati dei vantaggi del capitalismo associati alle grandi scoperte tecnologiche e scientifiche che permettono a molti di vivere meglio e più a lungo e a quelli che sono stati spinti fuori dalla vita sociale attiva di essere comunque protetti.
Vitale, creatrice, attraversata da tensioni e conflitti, questa società è divenuta quasi irreale, tanto è spessa la coltre delle menzogne e dei segreti che ci ha rinchiuso nel mondo dell’immediato. In questo mondo, l’essere umano è diventato incapace di essere quello che vorrebbe essere e di difendere i suoi diritti fondamentali.