Ieri è morto Andrea Augello. Con lui ho condiviso un pezzo di strada e con lui anche Magna Carta, in diverse occasioni, ha incrociato i percorsi. Da ultimo è accaduto il 29 novembre del 2021, meno di due anni fa, quando si svolse la presentazione di un suo bellissimo libro, C’era una volta mio fratello, nel quale Andrea ripercorre la vicenda umana e politica di Toni Augello, suo fratello maggiore.
Fu quella una delle prime occasioni nelle quali ci si ritrovava senza distanziamento ma Andrea, per l’avanzare della malattia, potette prendervi parte solo da remoto. A presentare il volume fummo Goffredo Bettini, Francesco Storace ed io e a decidere “la formazione” fu ovviamente Andrea. La circostanza aiuta a comprendere qualcosa di lui e di qual era la sua concezione della lotta politica. Storace era stato il Presidente della Regione la cui vittoria aveva rappresentato – per Andrea, per il fratello e per una intera generazione di giovani della destra romana – l’epilogo di una vicenda che era passata attraverso una lunga fase di minorità e tante sconfitte. Bettini era l’avversario di sempre, col quale sul “campo di battaglia” era sorto e si era col tempo sedimentato un sentimento di stima, persino di amicizia, che non aveva mai concesso nulla alle rispettive diversità. Io ero “l’altro”, quello che si incontra lungo la strada, col quale si scopre di avere una concezione della politica, e in fondo della vita, per ampi tratti coincidente; col quale ci si stupisce un pò di riuscire a spingersi “oltre” l’ordinario confronto: di riuscire a dare qualcosa e persino ad apprendere qualcosa.
Prima che si ammalasse avevamo concepito il progetto di scrivere insieme una biografia di Arnaldo di Crollalanza, il ministro fascista dei lavori pubblici che fu anche l’ultimo edificatore di città di fondazione. Mi disse: “Io conosco la sua struttura culturale, tu conosci bene la sua città, Bari: il luogo dove questa si tradusse in opere imperiture. Potrebbe venire fuori una bella cosa”. Andrea era così: chissà quante idee e quanti progetti avrà concepito fino alla fine, pur avendone ben chiara l’imminenza e non avendola mai celata a sé stesso e agli altri.
Non aveva nulla a che fare col pensiero politico che Magna Carta tenta di rappresentare; aveva, però, la stessa concezione della dignità politica e del rapporto di questa con le idee e con l’intelligenza che la Fondazione prova a tener viva. Anche per questo ha sempre preferito un avversario leale a un alleato meschino. Ci mancherà ma, soprattutto, mancherà alla politica italiana perché di essa ha rappresentato per tutta l’esistenza – non lunga ma intensa -, con passione indomita, la faccia più nobile. C’è solo da augurarsi che la sua assenza dagli scranni del Senato e dal dibattito pubblico non ne renda un pò più evidente e dolorosa l’eclissi.
Gaetano Quagliariello, Presidente Fondazione Magna Carta
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