di Marco Travaglio
Del nuovo governo si sa soltanto che partirà dal programma compilato in dieci giorni dai climi “saggi” di Napolitano. E, siccome Berlusconi sarà della partita, si occuperà parecchio di giustizia, materia su cui si sono saggiamente sbizzarriti Violante (Dc), Onida (Sel), Quagliariello (Pdl) e Mauro (Scelta civica). I giornali hanno parlato di “libro dei sogni”. Ma era meglio dire incubi. La premessa è già tutta un programma: evitare “i conflitti ricorrenti tra politica e giustizia”. Quali, non è dato sapere: dalle cronache risultano ricorrenti indagini e processi su politici che commettono reati. Se un politico ruba o tresca con la mafia, c’è un conflitto fra lui e il pm che indaga? E come evitare che pm indaghino su politici? Dicendo ai politici di non delinquere o ai pm di non indagare?
I saggi preferiscono la seconda opzione. 1) Azione penale: “Contenere il fenomeno di iniziative che tendono a intervenire in sostanziale assenza di vere, oggettive e già acquisite notizie di reato”. Traduzione: il pm deve attendere che le notizie di reato gliele portino le forze di polizia, tutte dipendenti dal governo, cioè dai politici che magari hanno commesso il reato. Così sarà molto più improbabile scoprire i reati dei politici e dei loro amici, e si processeranno solo i poveracci.
2) Intercettazioni: “Particolare attenzione per gli strumenti investigativi più invasivi… come le intercettazioni delle conversazioni per le quali dev’essere resa cogente la loro qualità di mezzo per la ricerca della prova, e non di strumento di ricerca del reato… Occorre porre limiti alla loro divulgazione”. Torna, col solito pretesto della privacy (già ampiamente tutelata dalla legge Rodotà del ’96), il bavaglio alla stampa. Ma anche una forte limitazione a uno strumento fondamentale per le indagini. E lo scopo, spudoratamente dichiarato, è quello di coprire i reati sommersi tipici dei colletti bianchi. Altrimenti deplorare la “ricerca del reato”, contrapposta alla “ricerca della prova”, è un non-sense: a nessun giudice verrebbe in mente di intercettare qualcuno se non è sospettato di qualcosa (la legge richiede gravi indizi di reato). Accade però che, intercettando un indiziato per un reato, se ne scoprano altri, suoi o altrui. Oggi quella prova vale, domani “saggiamente” non più. Resta da capire come i punti 1 e 2 siano compatibili con l’auspicio di “una maggiore efficacia preventiva e repressiva nella vita politica, amministrativa ed economica”.
3) Tempi lunghi: “Rispetto effettivo dei tempi di ragionevole durata dei processi, oggi carente”. La ragione della “carenza”, secondo i saggi, non sono – come qualche ingenuo potrebbe pensare – la prescrizione, le manovre dilatorie degli avvocati vip per agguantarla, gli infiniti gradi di giudizio e le notifiche a imputati e parti civili spesso introvabili (anziché agli avvocati). Bensì la lunghezza delle indagini preliminari, la cui durata va “contenuta” per legge. Forse lorsignori non sanno che le indagini possono durare al massimo 18 mesi (24 per mafia e terrorismo). Che è proprio il minimo, specie per i delitti che richiedono lunghe rogatorie e perizie. Accorciarli ancora significa archiviare quasi rutti i fascicoli per corruzione o frode fiscale. Ma i saggi una ne fanno e cento ne pensano.
4) “Introduzione di forme di ricorso individuale alla Corte costituzionale per violazione dei diritti fondamentali”. Cioè: per sveltire i processi, oggi impostati su sei fasi di giudizio (indagini, deposito atti, udienza preliminare, tribunale, appello e Cassazione), se ne aggiunge una settima: il ricorso alla Consulta contro le condanne definitive. 5) Ideona: se un pm troppo attivo contro i potenti finisce sotto processo disciplinare, a giudicarlo in appello non sarà più il Csm (organo di autogoverno, dunque formato per due terzi da toghe), ma “una Corte composta per un terzo da magistrati, per un terzo da eletti dal Parlamento e per un terzo da persone scelte dal Presidente della Repubblica” (organo di etero-governo, per due terzi politico: un plotone di esecuzione).
Ultima delizia: sul conflitto d’interessi si partirà da “proposte che non possano essere identificate come mosse da spirito di parte”. Ci siamo capiti.
(tratto da L’Espresso del 26 aprile)