Riportiamo di seguito l’editoriale del Presidente Gaetano Quagliariello pubblicato l’20 marzo 2024 su La Gazzetta del Mezzogiorno.
Il piano di resilienza e le fragilità della spesa negli enti locali
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Per comprendere come le cose stiano effettivamente andando, ci viene da ultimo in soccorso la relazione della Sezione Centrale di Controllo della Corte dei Conti sull’attuazione del Pnrr.
Valutare l’utilizzo fin qui fatto delle risorse messe a disposizione dal Pnrr, implica alcune premesse. L’Europa, con quel Piano, ha previsto condizioni di favore per alcuni Paesi attraverso il contributo di tutti i cittadini dell’Unione, determinando in tal modo un inedito vincolo di solidarietà, al quale dovrà corrispondere una responsabilità altrettanto importante da parte dei beneficiati. L’Italia è stato il Paese che ha più fruito del Pnrr (con oltre 195 miliardi tra prestiti e sussidi), in virtù dell’impatto del Covid-19 e nella prospettiva di porre rimedio a storiche debolezze di inclusione e coesione, con un particolare riferimento alla realtà del suo Mezzogiorno. È perciò importante che il Paese si riveli all’altezza del compito e, in tal senso, non possiamo mai scordare che gran parte di quei soldi sono prestiti erogati a condizioni di favore. Essi andranno restituiti e, dunque, per poter essere considerati “debito buono”, devono produrre sviluppo e un correlato miglioramento dei saldi di bilancio.
Per comprendere come le cose stiano effettivamente andando, ci viene da ultimo in soccorso la relazione della Sezione Centrale di Controllo della Corte dei Conti sull’attuazione del Pnrr. Il documento dice l’essenziale. Fin qui è stato speso meno di ciò che si attendeva e per questo l’erogazione di una consistente massa di denaro è slittata agli anni a venire. La prospettiva preoccupa per la fragilità organizzativa e amministrativa di quegli enti dai quali dipenderà, in ultima analisi, il successo o l’insuccesso del Piano. E la preoccupazione – non è difficile divinarlo – riguarda in particolare il Sud. Anche perché alcuni interventi di centralizzazione della spesa – primo fra tutti l’unificazione della Zona Economica Speciale – rischiano di causare ulteriori rallentamenti e persino di compromettere quanto di buono era stato realizzato.
Queste informazioni, poste in correlazione con quelle forniteci dal “Pnrr Lab” dell’Università Bocconi, consentono alcune diagnosi provvisorie. Il rischio di dispersione degli investimenti e la ristrettezza dei tempi a disposizione, interagendo con alcune dinamiche sociali epocali (prima fra tutte la concentrazione del capitale umano), determinano una marcata verticalizzazione degli investimenti. Non casualmente questi si sono fin qui concentrati sulle infrastrutture, in particolare su quelle ferroviarie.
La scelta presenta, però, dei limiti strutturali, in quanto senza l’adeguato coinvolgimento degli enti locali – in particolare quelli di dimensioni medie e piccole – buona parte degli obiettivi del Pnrr non potranno essere raggiunti.
Per quel che concerne il Mezzogiorno, il governo si è fin qui mostrato comprensibilmente preoccupato che la debolezza amministrativa di questa parte del Paese possa determinare investimenti clientelari e/o improduttivi. Ha perciò scelto la strada di una maggiore centralizzazione, che nella stagione dell’”autonomia differenziata” gli fa correre il rischio di essere (o almeno di apparire) un po’ schizofrenico. Ora, però, si trova ad affrontare un problema di efficienza ancor più che di coerenza. Se, infatti, vorrà provare a utilizzare il tempo residuo nella direzione che la Corte indica, non potrà determinare ulteriori rallentamenti delle erogazioni perché, in tal caso, l’accumulo del ritardo diverrebbe irrecuperabile. È necessaria una strategia che non si limiti a una concezione dello Stato a geometria variabile, per la quale ciò che vale per il nord (autonomia) è l’esatto contrario di ciò che si pratica per il sud (centralismo). Occorre rendere subito operative a livello centrale strutture sussidiarie in grado di supportare gli enti meridionali nel dare realizzazione a ciò che il Piano consente e prevede.
Il rischio sennò è che il Pnrr, che avrebbe dovuto riparare a storiche fragilità, finisca invece con il favorire le aree più dinamiche del Paese aumentando le disparità. L’Italia, in tal caso, ne uscirebbe sconfitta due volte: di fronte all’Europa e di fronte a sé stessa.
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