Carissimi,
lasciatemi prima di tutto esprimere la mia soddisfazione, come presidente onorario di Magna Carta, per il lavoro svolto insieme ad EIN, il network ufficiale delle Fondazioni del Gruppo PPE. Alla crisi che il nostro continente sta attraversando in quest’ultimo periodo, si è detto più volte che è necessario rispondere con “più Europa”: ecco, incontri come questo – che rappresentano peraltro solo una parte dell’attività che stiamo svolgendo – traducono una volontà concreta di mettere insieme le energie e il patrimonio di idee che esistono a livello europeo affinché se ne possano derivare proposte e soluzioni che possono contribuire a rilanciare l’Europa, rinsaldandone le basi ideali e politiche su cui si fonda.
Ciò premesso, vorrei ringraziare tutti i presenti insieme agli illustri ospiti che con i loro interventi animeranno il dibattito in queste due giornate di lavori. Un saluto particolare, vorrei rivolgerlo al Presidente di EIN, Jaime Major Oreja, che oggi purtroppo non è qui con noi per motivi di salute e al quale auguriamo una pronta guarigione; un grande ringraziamento va anche al Direttore di EIN, Guillermo Casal Martinez, e ai suoi collaboratori, la Dott.ssa Gabriella Tassinari e Michael Valbuena, per aver reso possibile la realizzazione di questo evento; e, ovviamente, ci tengo a ringraziare il Presidente dei Deputati del Pdl al Parlamento Europeo, Mario Mauro, e la direttrice della Fondazione Konrad Adenauer, Katja Plate, per il prezioso contributo che daranno al nostro seminario.
Fatte premesse e ringraziamenti, ancor più sentiti che doverosi, vengo subito al cuore del mio intervento introduttivo ai lavori. Lo scopo di questa due-giorni di tavole rotonde è a dir poco ambizioso perché l’obiettivo sarà quello di analizzare temi cruciali come quello della crescita, della riforma del mercato del Lavoro e del sistema pensionistico alla luce delle linee guida indicate dal Consiglio Europeo e, dunque, in un’ottica che mette insieme la prospettiva nazionale e quella sovra-nazionale.
In un momento in cui le misure assunte a livello europeo contribuiscono a mettere in crisi gli equilibri – istituzionali, sociali, economici – è necessario che la politica e i suoi laboratori culturali – le Fondazioni, appunto – facciano proseguire la riflessione su due fronti da cui dipende il futuro delle prossime generazioni: da una parte come riconquistare la crescita e rimettere in moto l’economia, dall’altra come promuovere riforme (specialmente quella del mercato del Lavoro e delle pensioni) in grado di rimettere in equilibrio il sistema, facendo in modo che si possa parlare di crescita sostenibile e di lungo periodo.
Le riflessioni che emergeranno nel corso di queste due giornate si svilupperanno su questi due binari e la sintesi che ne faremo ci permetterà di riannodare i complessi fili di queste questioni aperte, cercando di analizzarle in maniera sinergica e traendone qualche considerazione finale utile alla gestione della difficile fase di crisi economica e politica che stiamo attraversando.
Dobbiamo avere consapevolezza di una circostanza e non temere di confessarcela. Le pressioni dell’Europa verso i Paesi membri per attuare le riforme economiche e i sacrifici richiesti alimentano nella popolazione un sentimento anti-europeo che fornirà, se non affrontato di petto, gli slogan per le future campagne elettorali. I primi segnali di tale deriva sono, d’altro canto, già presenti in alcuni Paesi, penso ad esempio al caso ungherese.
L’Europa ha di fronte a sé un bivio da evitare: quello tra autoritarismo nazionale e tecnocrazia sovranazionale. A noi spetta il difficile compito di rilanciare la democrazia così come era stata immaginata dai Padri fondatori e di restituire spazio alla politica in una Europa che, divisa tra Nord e Sud, a volte pare abbia dimenticato le sue origini ed il proposito di portare a sintesi stato di diritto e centralità della persona. Siamo alle soglie di una nuova fase costituente. Se falliremo questa sfida, avremo perso una enorme opportunità per dare vita al progetto che abbiamo ideato e perseguito negli ultimi cinquant’anni.
Il primo tema sul tavolo degli Stai europei – e, ovviamente, anche su quello italiano – è il tema del Lavoro e delle pensioni: rispondere alle richieste che provengono dall’Europa non significa semplicemente “fare i compiti” e far quadrare i conti o limitarsi a perseguire un equilibrio di bilancio; significa soprattutto interrogarsi sulle basi del nostro sviluppo, a partire dalla concezione della persona umana che si intende promuovere per giungere al modello di Stato che si vuole costruire. Significa compiere delle scelte: scelte di impiego contingente delle poche risorse a disposizione e di indirizzo strutturale per il futuro della nostra società.
I giovani sono i primi destinatari delle nostre scelte. Incrementare il tasso di occupazione giovanile è un dovere a cui non possiamo più sottrarci se vogliamo garantire un futuro all’Europa. Ciò è necessario anche per ricreare un equilibrio tra le generazioni, che non può essere soltanto frutto di una riforma del sistema pensionistico. I due aspetti, riforma del mercato del Lavoro e riforma delle pensioni, infatti, non possono che procedere di pari passo, specialmente di fronte ai dati che nel nostro Paese ci mostrano forti squilibri in termini sia demografici che di popolazione attiva, i quali mettono in crisi l’intera struttura. La disoccupazione giovanile e gli squilibri del nostro sistema pensionistico, con gli effetti dannosi che hanno sulla produttività della nostra economia, sulla domanda di lavoro da parte delle imprese e, non ultimo, sulla coesione sociale, ci obbligano a riflettere e ad agire affinché si trovi una soluzione in grado di eliminare progressivamente le spinte contrastanti che deprimono il nostro sistema economico-sociale.
Dobbiamo dare opportunità “ai figli” e sicurezza ai “padri”, evitando che la trasformazione del confronto generazionale in conflitto di natura comparativa punti a concedere assistenzialismo ai figli e disperazione ai padri che, magari, a 50 si trovano fuori dal mercato del lavoro con la sola chimera di una pensione distante anni luce.
Durante il Consiglio Europeo di Bruxelles dello scorso 30 gennaio si è parlato di una strategia che, a partire dal risanamento dei conti e dalla stabilizzazione dei bilanci, intraprenda un percorso di crescita e di riforme per il prolungamento di questa fase di sviluppo all’insegna dell’equità, della solidarietà e dell’equilibrio tra generazioni. Si è parlato anche, nello specifico, dei meccanismi interni alle economie che vanno riattivati: ottimizzazione del capitale umano a disposizione, priorità al merito, finanziamento al tessuto di piccole e medie imprese che costituiscono – specialmente in Italia – il motore dell’economia, maggiore integrazione a livello di mercato europeo, valorizzazione della concorrenza e del libero scambio.
Si tratta di linee delle quali non si disonosce l’importanza, che spetta però agli Stati europei – sia singolarmente che congiuntamente – elaborare e trasformare in strategie concrete. Ma per farlo è necessario confrontarsi, riflettere su come conciliare le nostre specificità normative ed economiche con i comuni obiettivi dettati dall’Europa e, con ciò, armonizzare le soluzioni politiche. Si tratta di un lavoro difficile ma dal quale dipende, inevitabilmente, il successo o il fallimento del singolo Stato come dell’intera Unione Europea. Come dicevo all’inizio, alla crisi – e alle sue molteplici declinazioni che variano da Paese a Paese – dobbiamo rispondere con “più Europa”, vale a dire con la coesione economica e politica su cui poggiano le basi del progetto europeo per come è stato concepito sin dal suo inizio. Il mio auspicio è che questo seminario possa dare anche soltanto un piccolo contributo in questa direzione. Allora potremo dire di aver fatto una cosa buona.