Anche Fondazione Magna Carta ha partecipato alla presentazione del volume di Antonio Polito “Il Costruttore. Le cinque lezioni di De Gasperi ai politici di oggi” che si è svolta il 22 luglio scorso a Borgo Valsugana, in Trentino. Di seguito, vi riproponiamo il racconto del cammino da Fratta Polesine a Borgo Valsugana, a firma di Antonio Polito, apparso sul Corriere della Sera del 28 luglio scorso.
Articolo di Antonio Polito pubblicato dal Corriere della Sera – 29 luglio 2024
Dalle campagne di Matteotti all’antico confine di De Gasperi. Un piccolo pellegrinaggio laico alle origini della democrazia
di Antonio Polito
Il trekking lungo la strada che unisce le vite di due grandi politici. I cimeli e l’emozione visitando le loro case-museo.
Di solito non camminiamo mai in Italia d’estate. Il nostro piccolo gruppo di… come definirci: escursionisti, amanti del trekking, pellegrini? direi che la parola più giusta è «camminatori», teme il caldo più di ogni altra cosa. Del resto chiunque abbia fatto almeno una volta in vita sua 25 chilometri in un giorno con lo zaino sulle spalle sa che niente è peggio del solleone. E il nostro Paese, magnifico a primavera e splendido d’autunno, sta diventando praticamente tropicale d’estate, mannaggia al climate change. Così l’anno passato ce ne andammo a camminare lungo il Vallo di Adriano, tra Inghilterra e Scozia, e le fresche acquerugiole del nord Europa ci salvarono. Quest’anno era in programmazione il giro del Monte Bianco, tanto per capirci.
Ma poi il senso civico che non si appisola mai, neanche d’estate, il bisogno di dare un senso e uno scopo al camminare, che non è solo diporto ma ricerca di una meta, e una certa propensione al pellegrinaggio anche se laico, ci hanno fatto cambiare idea. E ci siamo messi sulle tracce di Giacomo Matteotti e Alcide De Gasperi.
I due protagonisti degli anniversari politici di quest’anno, 100 anni fa il più orribile delitto fascista, 70 anni fa la scomparsa del più grande statista, avevano molte cose in comune. Per esempio erano nati in due paesi abbastanza vicini, ed entrambi molto vicini al percorso della Via Romea: Fratta Polesine per Giacomo, Pieve Tesino per Alcide. In più, erano quasi coetanei, del 1885 l’uno e del 1881 l’altro; entrambi antifascisti (l’uno martire, l’altro condannato e incarcerato) ed entrambi solidamente anticomunisti. Uno ucciso nel cuore degli anni, quando ancora poteva fare l’Italia. L’altro sopravvissuto al fascismo, e l’Italia la fece davvero. Così alla fine abbiamo deciso di partire e sfidare il caldo; contando anche sul fatto che dopo il Polesine, prima e paludosa parte del viaggio, sarebbe venuta la Valsugana, e le montagne ci avrebbero fatto almeno un po’ d’ombra.
Socialista impellicciato
Percorrendo la piatta campagna che da Rovigo ci porta al piccolo cimitero di Fratta dove giace Matteotti, traversiamo molti dei 63 comuni di questa provincia che nel 1920 elessero, tutti e 63, un sindaco socialista. Cinque mesi dopo non ne era rimasto neanche uno, notte per notte abbattuti dalla violenza squadrista. Giacomo fu eletto consigliere contemporaneamente in ben 12 di questi paesini, perché la legge censitaria del tempo consentiva di candidarsi dovunque si avessero proprietà, e lui possedeva 155 ettari di terra sparsi un po’ ovunque. Era benestante, figlio di un commerciante originario del Trentino che aveva fatto fortuna in Polesine e prestava i soldi a interesse. I fascisti lo chiamavano «il socialista impellicciato».
Eppure i poveri braccianti di quelle campagne, uno dei posti più miseri, malsani e sofferenti d’Italia, accorsero a decine di migliaia quando portarono qui le spoglie del loro paladino. Il feretro era stato messo su un treno a Riano, dove ritrovarono il corpo piegato in due in una fossa troppo piccola, e troppo poco profonda per proteggerlo dagli animali selvatici. Neanche la moglie Velia Titta riuscì a riconoscerlo. Ci volle il dentista, che l’identificò da un dente d’oro. Le autorità proibirono l’esibizione di qualsiasi oggetto di colore rosso al funerale. Anche i garofani.
Nella grande cappella di famiglia che ancora oggi domina il piccolo camposanto con la sua austera incisione, MATTEOTTI, ci siamo messi in fila a capo chino davanti alla bara di marmo nero, omaggio dei minatori italiani in Belgio, ricoperta da un grande tricolore, quasi sopraffatti dall’emozione. Cent’anni dopo l’enormità di questo delitto, vero passaggio tra il regime parlamentare e la dittatura, continua a risuonare come un’eco tra queste quattro mura. Prima di ripartire, abbiamo rifiatato nel piccolo parco di pioppi e tigli che circonda la signorile dimora dei Matteotti, oggi Casa-museo diretta con appassionata competenza da Maria Lodovica Mutterle. Il sindaco, di centrodestra, è venuto a salutarci con la giacca e la fascia tricolore.
Sliding door
Per andare a casa De Gasperi si risale il Brenta, dapprima flaccido e stagnante, poi via via sempre più vivace e rapido. Ci lasciamo a destra il Monte Grappa e l’Altopiano di Asiago, in un ripasso «visivo» delle grandi battaglie della Grande Guerra (caldo a parte, un percorso facile, adatto anche a camminatori alle prime armi, in mezzo alle montagne ma tutto in piano). Quando si cammina, che pure è il modo più lento e rilassato di spostarsi, si finisce per aver sempre fretta. Fretta di arrivare, fretta di evitare l’acquazzone previsto per il pomeriggio, fretta di riposare per la tappa di domani che inevitabilmente si annuncia più dura. Il nostro «capogruppo», il più esperto tra noi, è perciò alquanto inflessibile verso le soste non giustificate; così che quando io al solito dimentico le bacchette in un bar, il più giovane della comitiva offre generosamente la sua prestanza fisica per tornarle a prendere di corsa, senza ulteriori ritardi. Lungo un’interminabile ciclabile, che arriva fino a Trento, finalmente raggiungiamo uno dei più antichi e storici confini d’Italia.
A Primolano finiva infatti il Regno d’Italia, e prima ancora la Repubblica di Venezia; al punto che quelli del comune successivo, Tezze, ne chiamano da sempre gli abitanti «taliani». Era insomma il Brennero del tempo, e perciò scattiamo una foto di gruppo davanti alla targa che ricorda ancora il check-point austriaco. Dormiamo all’Albergo Valsugana, un tempo l’ultima locanda italiana. Alla sera i camminatori sono sempre un po’ su di giri: si scherza, si mangia senza sensi di colpa grazie alle calorie bruciate e annotate dalla app del telefonino, si brinda al successo perché ogni tappa è una conquista quando si va a piedi. Ci frena solo un po’ il cipiglio della signora che gestisce l’albergo, a giudicare dalla severità forse di discendenza austriaca.
De Gasperi era nato dall’altra parte di questo confine, suddito italiano dell’Impero fino al 10 ottobre del 1920, data di annessione del Tirolo del Sud. L’intricata storia di questa regione è illustrata con dovizia di supporti didattici nel Museo-Casa di Pieve Tesino, che consiglio di visitare, anche se in realtà della casa natale di De Gasperi non è rimasto altro che la stanzetta dove è nato, nella dimessa palazzina in cui vivevano i genitori. Gente italiana e devota. Semplice e modesta. Esiste ancora l’«attestato di povertà» con cui Alcide fu ammesso all’università.
A Borgo Valsugana cerchiamo la casa in cui lo statista morì, il 19 agosto del 1954, ma è chiusa al pubblico. Il giovane Carlo Odorizzi, direttore della Fondazione Trentina, ci racconta che fu invece distrutto dai tedeschi in ritirata l’altro edificio della famiglia, dal quale De Gasperi venne strappato dalle camicie nere nel 1926, per essere condotto a un processo-farsa a Vicenza. La Provvidenza gli risparmiò quella volta la bastonatura che aveva ucciso Matteotti. Sliding door di un tempo in cui la storia era fatta dal manganello.
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