Rassegna stampa
Antonio Polito, La storica dozzina (di romanzi), Corriere della Sera, 24 ottobre
L’Occidentale, La Storia d’Italia di Quagliariello in dodici romanzi, 23 ottobre
Vittorio Macioce, L’identità italiana in dodici romanzi, Il Giornale, 22 ottobre
La Gazzetta del Mezzogiorno, Tra letteratura e storia, il saggio di Quagliariello, 22 ottobre
HuffPost, Si può imparare la storia d’Italia leggendo dodici romanzi. La playlist di Gaetano Quagliariello, 21 ottobre
Gaetano Quagliariello, Quagliariello, i dodici romanzi che fecero (e spiegano) l’Italia, Il Quotidiano del Sud, 20 ottobre
Rileggere l’Italia: la storia attraverso dodici romanzi
Nel suo libro Storia d’Italia in dodici romanzi (Rubbettino, 2024), il Presidente della Fondazione Magna Carta, Prof. Gaetano Quagliariello, propone una rilettura della storia del nostro Paese attraverso le opere di autori noti e meno noti per esplorare episodi cruciali della storia italiana, spaziando dall’Unità fino agli anni di piombo. Il libro non è un classico trattato accademico, ma un tentativo di raccontare il Paese attraverso la narrativa.
Il Prof. Quagliariello mette in evidenza come i romanzi, tra i quali Il Gattopardo, La Storia, Il partigiano Johnny e Todo modo, possano rappresentare un prisma attraverso il quale osservare le trasformazioni sociali e politiche dell’Italia. Senza voler offrire una visione definitiva, il testo mostra come la letteratura sia capace di mettere in luce dettagli che i resoconti storici tendono a trascurare, rivelando illusioni, delusioni e compromessi.
Il libro si distingue per un tono colloquiale, quasi intimo, che cerca di avvicinare il lettore alla storia attraverso la forza evocativa delle narrazioni, pur lasciando trasparire una certa amarezza nei confronti delle dinamiche politiche italiane, spesso segnate da trasformismo e disillusione. In questo modo, l’autore invita a riflettere su come la narrativa possa diventare un utile strumento per comprendere meglio il nostro passato, senza però offrire risposte facili o risolutive.
L’opera si rivolge a chi desidera approfondire la storia d’Italia da una prospettiva diversa, utilizzando la narrativa per far emergere le complessità di un Paese che, tra speranze e delusioni, continua a interrogarsi sulla propria identità.
Leggi un estratto
Il Gattopardo
Il Gattopardo può considerarsi un classico del pensiero conservatore: universo quest’ultimo caratterizzato da una ricchezza ideale e psicologica che è difficile racchiudere in un compiuto sistema d’idee, mentre è più agevole da rappresentare narrando un’esperienza di vita. Un universo variegato che poggia però su una idea di fondo: la necessità di adattare un patrimonio originario immutabile al cangiante spirito dei tempi. Tomasi di Lampedusa esprime questo concetto attraverso la notissima formula: «Se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi».
[…] Don Fabrizio, aristocratico per nascita, per cultura e per carattere è la personificazione di questa fine. Intersecando la storia sua e della sua famiglia con quella delle vicende che portarono all’Unità, Tomasi di Lampedusa descrive il lento ma inesorabile degrado di questi attributi della nobiltà e spiega le ragioni per le quali essi non avrebbero trovato ospitalità nel nuovo tempo che si apriva. Decade il legame, vecchio di secoli, tra l’aristocrazia e il censo. Don Fabrizio se ne rende perfettamente conto e proprio per questo accetta la prospettiva del matrimonio del suo nipote prediletto – Tancredi – con Angelica, la figlia del sindaco di Donnafugata, don Calogero Sedara. Comprende, cioè, come non sia più possibile chiudersi nell’ambito puramente aristocratico, perché farlo avrebbe condotto a una ineluttabile rovina economica. La ricchezza ormai si trovava in altre mani, certamente più ruvide ma proprio per questo più rapaci. Il venir meno del legame tra nobiltà e ricchezza corrompe inevitabilmente il concetto stesso di aristocrazia per nascita: quel diritto di sangue che nessuno fino ad allora aveva osato mettere in dubbio. […] Don Calogero, in quanto sindaco, era uno dei più importanti fautori del movimento unitario e quindi rivoluzionario. Né l’Unità né la rivoluzione gli avrebbero però impedito d’aspirare a conquistarsi un posto nell’aristocrazia del censo e persino in quella che deriva dal sangue.
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