L’Unione Europea brussellina, socialista e popolare era economicamente e politicamente incapace di affrontare la “emergenza rom”, pertanto si è preferito ridurre la questione al principio “i rom non si deportano”, mentre serviva una UE pragmatica per risolvere il problema, magari riaffidando ai rom alcune delle attività artigianali tipiche di quella cultura, quelle che in Italia hanno, ad esempio, i sinti.
Così non è stato, ed ecco perché è scattata la bomba mediatica dell’emergenza razzismo.
Bruxelles non ha la capacità culturale né i mezzi per gestire un qualsiasi problema sociale supernazionale. Val più la pragmatica che una vita burocratica. Intanto la Francia è finita sotto scacco, con litigate da Colosseo tra francesi, inglesi, tedeschi, mentre il gesuitismo del 2000, formato dalla stampa e dalla tv mainstream, levavano in alto gli scudi dei diritti civili, con i conseguenti anatemi. Più concretamente, il Regno Unito di Blair aveva previsto il disastro ben prima dell’ingresso della Romania nella UE, mentre le “democrazie scandinave” hanno risolto il problema nella più assoluta discrezione, aiutate dalla loro collocazione geografica e dalla loro capacità di rendere invisibile la durezza del loro operato.
Non si tratta di “questione razziale”, ma questa rischia di aggallare se continuerà il culto acritico per il Sacro Graal dei Diritti senza Doveri, ottimo viatico per peggiorare la qualità della vita dei rom e quella delle aree metropolitane europee, facendo salire – allora sì – la febbre razzista.
Fenomeni di massa producono reazioni di massa: si pensi alle migrazioni dei meridionali italiani al Nord, in Svizzera, verso Germania e Belgio. Oggi il sud Europa deve gestire in mezzo alla crisi economica l’arrivo di nuovi emigrati dal sud del Mediterraneo e dall’est. L’apertura della UE alla Romania ha avviato un’altra ondata cui nessuno aveva pensato.
Nell’Italia del boom economico la gestione urbanistica dell’emigrazione dal sud fu tamponata insieme male e bene. Bene, perché si diede il via a un grande piano di costruzione di case a prezzi popolari nelle periferie, e con ciò si risolse il fenomeno degli affitti esosi o negati ai “meridionali”. Male, perché i quartieri nati a inizio anni ’60 resero peggiori le architetture e le vite dei residenti di tutte le nostre città. Pasolini, uno dei pochi ad accorgersi del fenomeno (“Uccellacci e uccellini” e molti altri film mostrano il gelo beckettiano delle nuove case delle mille via Gluck) aveva insieme ragione e torto.
Ma oggi né l’Europa né le singole nazioni hanno mezzi né spazi né intelligenza per ripartire con un piano di urbanizzazione gestito da Bruxelles per tutti i 27 paesi. Aggiungo che ciò è una fortuna. Ma il problema non può essere risolto volgendo il capo da un’altra parte, sciacquandosi le mani nel lavello dei Diritti, e insieme lasciando che Sarkozy, chi abita nelle periferie e chi abita nelle baracche risolvano da loro ogni nodo.
Sarkozy ha sbagliato parlando di “rom” in una circolare interna e cercando di recuperare consensi facendo leva sulla pancia dreyfusarda e incivile della patria dei diritti civili (c’è un legame diretto tra i diritti civili nati con le ghigliottine e l’antisemitismo nato in Francia prima ancora che in Germania o Russia?). Il presidente francese doveva essere più duttile, ponendo la questione in termini di legalità (avrebbe avuto l’alibi, perché la libera circolazione di uomini e merci in Europa riguarda solo chi lavora). La stampa progressisteggiante franco-belga ha posto la questione in termini di lotta politica, e lui ha aggiunto del suo agli errori di partenza. Affrontare il tema in termini concreti avrebbe invece depoliticizzato la questione, dando più forza agli aspetti sociali e alla ricerca di una soluzione.
Per quanto riguarda gli aspetti legali si deve parlare di responsabilità individuale: chiunque sia privo di documenti in regola oppure abbia violato le leggi va punito con la reclusione (ma ciò è un problema, se si tratta di decine di migliaia di persone), oppure riconsegnato al paese di origine. Deve valere il Principio della responsabilità individuale: se qualcuno viola le leggi, va perseguito individualmente e non perché appartiene a una comunità etnica particolare.
Per quanto riguarda gli aspetti sociali, emergono i limiti della UE. Siamo di fronte a un’emergenza che tocca la sicurezza, il riemergere di tensioni razziste etc. Proprio in questi casi la UE dovrebbe considerarsi obbligata a intervenire, creando una gestione internazionale dell’emergenza, trovando fondi per abbattere le baraccopoli, sostituendole con abitazioni più dignitose (e controllabili). La UE avrebbe dovuto da tempo prevedere il problema e trovare col governo romeno un modo per diluire l’ondata migratoria, evitando che diventasse un’alluvione. La Commissione doveva creare un team operativo, col compito di evitare la rinascita del tumore razzista, ma insieme individuando le tipologie di lavoro da affidare ai rom, per evitare la crescita di furti nelle aree metropolitane. Anche se i finiani in versione ossimora (“liberale”, “cattocom”, “centrista” etc.) propongono una visione irenica e da università del Sacro Cuore dell’operato delle istituzioni europee [vedere qui], resta il fatto che né la “riunione di Cordoba” né la “proclamazione dell’anno europeo contro la povertà” sono state utili per risolvere il problema delle periferie urbane e migliorare le condizioni degli stessi rom.
La borghesia progressista del ‘900 scriveva libri splendidi a proposito dei nomadi, come Rapsodie gitane dello svizzero Blaise Cendrars (Adelphi). Ma allora i “gitani” avevano più lavori e mansioni da svolgere. Scriveva Cendrars: “I gitani sono: domatori di belve, addestratori, toreri, castratori, ladri di bestiame, ammaestratori di cavalli, sensali di cavalli, veterinari, guaritori, avvelenatori, incantatori di uccelli, predoni, vasai, cestai, fabbri, fonditori di metalli, falsari, ladri, finanzieri occulti, contrabbandieri, straccivendoli…”. Si tratta di distinguere il grano (i lavori legali) dalla pula (i lavori illegali).
Si deve considerare con serietà il fenomeno delle periferie urbane, destinate nel prossimo futuro ad accrescere i loro problemi, visto che sono un big bang di immigrati di diversa provenienza, ai quali si aggiungono giovani “locali” senza casa e i ceti impoveriti, espulsi dal centro città o dai quartieri residenziali. Chi pensa solo ai diritti, e non anche ai doveri, dovrebbe invece immaginare la qualità della vita là dove si vive tra furti e il caos del multiculturalismo senza integrazione e quindi disintegrante.
I gruppi parlamentari europei dovrebbero prefigurare l’urbanistica del XXI secolo, legando lo sviluppo urbano a quello sociale: distribuire nel territorio e qualificare scuole e lavoro. Sussidi solo per chi sta alle regole. Case per tutti, ma anche legalità e tranquillità per tutti.
Due considerazioni secondarie: Obama fa bene a preoccuparsi della crescita del cancro razzista in Europa, a 65 anni dai lager. Sta all’Europa spiegare agli americani che non si tratta di tensioni etniche, ma di problemi sociali di difficile soluzione. Obama dovrebbe pensare alla ruvidezza con la quale il suo governo continua a gestire l’emigrazione clandestina dal Messico e dall’America latina.
Infine: Fini e il Pd guardano sempre a Sarkozy come a un modello da imitare anche a Roma?