Mentre alla Camera dei deputati si è iniziato a discutere di riforma della Costituzione, al Senato è cominciato ‘esame di un provvedimento con il quale dare attuazione alla Costituzione. Paradossi del bicameralismo, si dirà. Il provvedimento legislativo alla valutazione dei senatori è quello di delega al Governo per la riforma del’ordinamento giudiziario; una legge già promessa nella settima disposizione transitoria e finale della Costituzione, mai attuata, che afferma: “Fino a quando non sia emanata la nuova legge sul’ordinamento giudiziario in conformità con la Costituzione, continuano ad osservarsi le norme sul’ordinamento vigente”.
Prima di vedere se la legge al’esame parlamentare è, oppure no, “in conformità con la Costituzione”, occorre dire qualche cosa sulla situazione attuale. Senza riaprire vecchi dibattiti sui difficili rapporti tra giustizia e politica, oppure sulla crisi del modello di separazione dei poteri con ‘uno, il giudiziario, che ha di fatto invaso gli altri, il legislativo e ‘esecutivo; rompendo così la sua naturale vocazione al’indipendenza, che è determinata dal’autonomia.
Per adesso, il problema dei problemi è rappresentato dal metodo di nomina e di inquadramento dei nuovi magistrati: ai quali viene richiesta una cultura giuridica da mandarini, che si esercita su temi di esame ad alta tensione teorica, senza una selezione psicologica, senza un periodo di preparazione specifica, senza un controllo del comportamento, come avviene in altri Paesi. Manca una scuola nazionale per ‘avvio alla magistratura, come è quella francese a frequenza biennale di Bordeaux, al termine della quale ‘aspirante viene immesso nei ruoli; manca il criterio selettivo che vige in Gran Bretagna, dove è richiesto un previo esercizio meritevole di dieci anni di avvocatura. In Italia, invece, un neo laureato diventa magistrato appena superato ‘esame, e dopo un tirocinio di alcuni mesi si trova in possesso della qualifica e del potere di un sostituto procuratore. Almeno trascorresse un certo periodo di anni in un collegio giudicante, in compagnia di colleghi più anziani ed esperti di lui, prima di avventurarsi in inchieste e indagini giudiziarie!
E a questo punto si presenta il dilemma, che appassiona e agita ‘ambiente giudiziario. L’Italia è ‘unico Paese al mondo, in cui il pubblico ministero gode delle stesse garanzie e prerogative del giudice, è intercambiabile con ‘altro nella progressione della carriera, è sottratto a qualunque controllo dei suoi atti, a cui è invece soggetto negli altri sistemi giudiziari. Se non si vuole ricondurre il procuratore della Repubblica sotto la sorveglianza del ministro della Giustizia, se lo si vuole lasciare in piena facoltà di svolgere la sua funzione giudiziaria, venga almeno stabilita una gerarchia di funzioni al’interno stesso del’ordinamento; il procuratore generale della Corte di cassazione si veda attribuito un potere di vigilanza, che è attualmente limitato solo alla facoltà conferitagli di deferire un magistrato dinanzi alla sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura.
I magistrati corpo separato rispetto alla società civile? Non è così nel’esperienza storica, antica e presente. Non era corpo separato quello dei magistrati della Repubblica romana, creatori del diritto; non è un corpo separato quello dei giudici e dei pubblici accusatori negli Stati Uniti: essi provengono dal mondo del’avvocatura e a esso poi fanno ritorno. In Italia, la consapevolezza del proprio ruolo privilegiato può degenerare in protervia sociale, la ristrettezza di un ambiente professionale chiuso al mondo esterno può alimentare uno spirito di narcisismo sociale, per cui il magistrato giudica se stesso senza essere giudicato da altri.
La legge delega sul’ordinamento giudiziario ora al’esame del Senato non prefigura un ordinamento giudiziario diverso e contrastante con quello previsto in Costituzione. Anche perché ‘ordinamento giudiziario vigente è quello previsto dal regio decreto 30 gennaio 1941, n.12. E quando il costituente volle raccomandare, nella disposizione transitoria e finale già ricordata, che la legge sul’ordinamento giudiziario venisse scritta in conformità con la Costituzione stessa, non poteva soltanto che dire una cosa ovvia: che tutte le leggi devono essere in conformità con la Costituzione, ovvero non devono violare i principi costituzionali. Allora, ridurre i poteri del Csm in fatto di organizzazione della formazione dei magistrati non può essere ritenuto incostituzionale, anche perché questa attribuzione in Costituzione nemmeno c’è. Anzi: prevedere una Scuola dove anche i membri del Csm, insieme ad altri soggetti rappresentanti del mondo degli operatori del diritto, gestiscano ‘organizzazione della stessa, a me pare un metodo democratico e pluralistico di organizzare la formazione dei magistrati, facendoli uscire dal chiuso del loro mondo. Introdurre concorsi per la progressione in carriera e abolire ‘avanzamento per mera anzianità, così come oggi avviene per i magistrati, non altera affatto la fisionomia costituzionale della magistratura, semmai gli restituisce quella corretta spinta propulsiva al’aggiornamento e alla preparazione che ogni magistrato dovrebbe sentire come proprio dovere professionale. Distinguere, sia pure in forma lieve, la funzione giudicante da quella requirente, infine, si inscrive in un disegno non tanto e non solo costituzionale ma direi addirittura del costituzionalismo. Improntato, cioè, ad una separazione dei poteri anche al’interno di un potere stesso.
Secondo Giorgio Federico Hegel, il più profondo pensatore di filosofia del diritto del’età moderna, ‘amministrazione della giustizia appartiene alla sfera della società civile, non a quella dello Stato, cioè della società politica. Iniziare un percorso verso questo traguardo, sia pure con qualche difficoltà e problemi, è oggi troppo importante e non più davvero rinviabile.
Il Riformista, 22 settembre 2004