È tardivo ipotizzare oggi un’assemblea costituente. Non è più necessario – né lo è mai stato – rovesciare dalle fondamenta la Costituzione. Basta ormai qualche importante integrazione per migliorare le Istituzioni. D’altronde le migliori costituzioni sono quelle perfezionatesi con piccoli e mirati interventi. Gli aspetti da correggere sono due. Il primo è il federalismo che è arduo da sistemare per gli errori compiuti dalle sinistre con la riforma del Titolo V. È auspicabile che, a seguito di un serio lavoro estivo, la Cdl migliori la proposta pendente al Senato.
L’altro, il premierato, è già nei fatti, è accettato dagli italiani ed è praticato dalla quasi totalità dei partiti. E ciò si spiega: è il prodotto di un referendum e della conseguente legge elettorale Mattarella. Eppure, a causa della nostra faziosità ed incapacità di condividere il bene comune, molti si oppongono al suo consolidamento confermando il nostro tradizionale autolesionismo. Bassanini, ad esempio, si è schierato contro questa forma di governo, dimenticando che essa era propugnata dai Ds da un decennio e che essa è ben funzionante in molte democrazie.
Più subdolo è il rischio causato da chi chiede il ritorno al proporzionale, seppure corretto con uno sbarramento elevato come in Germania, poiché il maggioritario non è riuscito a ridurre il numero dei partiti. Va detto però che solo un illuso poteva supporre che la Mattarella avrebbe portato tale effetto.
Essa ha condotto al solo risultato voluto: il bipolarismo, ossia un’alternanza stabile tra i due poli. Di talché gli elettori hanno potuto finalmente votare consapevolmente. E ciò sebbene si sia disatteso il referendum introducendo un maggioritario edulcorato. Ma forse è stato un bene. Si è in tal modo rispettata la tendenza pluripartitica degli italiani evitando forzature. Si sarebbe, altrimenti, rischiato di creare un assetto artificioso, con i partiti forzati ad un regime di semiclandestinità.
Questo pericolo, tuttavia, è ben più presente qualora si introduca un’elevata soglia di sbarramento per poter tornare al proporzionale. Questa sì, sarebbe una strozzatura destinata, come tutte quelle in contrasto con il modo di essere della società, ad essere bypassata.
È noto che la legge non può da sola ribaltare, come un colpo di bacchetta magica, prassi politiche che fanno parte della nostra essenza (individualismo antiautoritario). Né essa potrebbe, senza traumi, forzare l’elettorato nei 3-4 partiti della Germania. In quello Stato il caso volle che la clausola di sbarramento venisse introdotta subito, prima della moltiplicazione dei partiti. Accettiamo dunque con saggezza un sistema che si attaglia alla nostra società politica ed il nuovo premierato nostrano. Respingiamo il ritorno al proporzionale che ne bloccherebbe l’assestamento facendoci ricadere in un pantano perfino peggiore della I Repubblica.
Né ci si illuda di ricostruire col proporzionale un centro forte. La centralità della Dc fu un irripetibile monopolio conquistato grazie all’esclusione, nel 1948, della sinistra e della destra dall’arco costituzionale. Oggi, un centro – cattolico o meno – non può costituire un’alternativa alla contrapposizione ormai consolidata tra riformismo liberale e riformismo socialista. Ben più importante, per la moderazione dei contrasti, è il ruolo che possono avere i centristi schierati nei due poli.
Il Tempo, 3 settembre 2004