Dopo lo scontro sui temi della fecondazione artificiale e le polemiche in materia di eutanasia, la questione della tutela giuridica delle unioni civili, etero e omosessuali, viene sciattamente interpretata come l’ennesimo capitolo della contrapposizione tra laici e cattolici. A un osservatore esterno potrebbe sembrare che il nostro Paese sia ancora fermo alla breccia di Porta Pia.
Nella comunicazione del Governo e delle forze politiche della sinistra, i cosiddetti Pacs sono presentati come l’ultima tappa di una strategia tesa ad affermare diritti civili ingiustamente compressi da un assetto sociale e istituzionale tradizionalista quando non addirittura oscurantista. Le cose, in realtà, non stanno così.
La nostra impressione è che la cultura di sinistra orfana del costruttivismo sociale proprio dell’ideologia socialista stia affannosamente cercando di sostituirlo con un confuso costruttivismo antropologico. Un approccio del genere, però, al di là delle innumerevoli obiezioni di merito che possono essere avanzate, ripropone il rischio di una spaccatura nella politica e nell’opinione pubblica che, inevitabilmente, allontana il traguardo di un confronto tra forze alternative fondato sul riconoscimento di principi di civiltà condivisi.
Forza Italia, ha storicamente rappresentato il primo tentativo di annullare la valenza politica della contrapposizione tra credenti e non credenti. Essa, anche per questo, nell’attuale fase politica ha il dovere di rilanciare la collaborazione tra laici e cattolici al cospetto delle questioni etiche che sempre più numerose affollano l’agenda della politica. E di giungere unita ad affrontare la sfida ideologica che surrettiziamente la sinistra sta cercando di imporre al Paese.
In difesa della famiglia tradizionale.
In premessa, vogliamo ribadire quali sono le ragioni profonde che giustificano il ruolo, e la conseguente tutela giuridica, della famiglia nelle società contemporanee. Le unioni familiari rappresentano la prima cellula di organizzazione sociale conosciuta dal genere umano, di gran lunga precedente l’affermazione del modello statuale. La sua disciplina e tutela si è evoluta storicamente ma due esigenze imprescindibili non sono mai venute meno: assicurare una procreazione socialmente ordinata indispensabile per la stessa sopravvivenza di un’organizzazione sociale; tutelare i soggetti più deboli del nucleo familiare (i figli minori e, almeno per una lunga fase della nostra storia, il coniuge debole). E’ appena il caso di ricordare come molti degli istituti del diritto familiare – successione necessaria, pensioni di reversibilità, assegno di mantenimento in caso di divorzio o di separazione – sono giustificati proprio dalle suddette esigenze. In una fase storica caratterizzata da forti elementi di disgregazione sociale, da insidiose sfide sul piano culturale, da dinamiche demografiche che indeboliscono la tenuta anche economica dei nostri modelli sociali, è necessario innanzitutto riaffermare le ragioni della centralità dell’istituto familiare nel nostro sistema, aggiornandone semmai forme e contenuti della sua tutela.
Ciò consiglia, per quanto concerne il tema delle unioni civili, di spostare il fuoco dell’attenzione dalla dimensione ideologico simbolica a quella empirica e concreta. Più che discutere in astratto sull’opportunità di un riconoscimento giuridico di situazioni di fatto, già oggi pienamente legittime senza bisogno della benedizione dello Stato, si deve stabilire se le ragioni che a giudizio dei sostenitori dei Pacs ne renderebbero necessario il riconoscimento pubblicistico debbano o meno considerarsi effettive.
Il rispetto invece di libertà fittizie.
A tal fine occorre preliminarmente sgombrare il campo da un equivoco diffuso quanto insidioso. A ben vedere il tema della tutela giuridica delle unioni di fatto riguarda essenzialmente le unioni omosessuali. Ciò per il semplice ma dirimente motivo che una coppia eterosessuale che voglia ottenere un riconoscimento giuridico pubblicistico, ed i connessi diritti e doveri, non ha altro da fare che sposarsi. Un uomo e una donna che, anziché contrarre matrimonio, decidono di convivere esercitano una propria incomprimibile facoltà e prevedere che gli stessi possano essere sottoposti a un regime di tutela rischia di tradursi in una perdita secca di libertà individuale. Né si pongono esigenze specifiche di tutela dei figli nati da unioni di fatto, giacché il nostro ordinamento appronta per questi un regime giuridico del tutto uguale a quello riservato ai figli nati in un matrimonio.
Per quanto concerne, invece, il fenomeno delle coppie omosessuali, in premessa va laicamente riconosciuto come per esse non si pongano le medesime esigenze sociali che hanno storicamente determinato l’evoluzione del diritto di famiglia. Basti pensare agli specifici istituti giuridici che vengono normalmente associati al riconoscimento dei Pacs: la pensione di reversibilità si è, ad esempio, affermata come strumento di tutela del coniuge (normalmente la moglie) che dedicando tutte, o comunque la gran parte delle proprie energie lavorative al lavoro domestico e all’allevamento della prole non ha avuto la possibilità di accumulare contributi previdenziali sufficienti a garantirgli un’esistenza dignitosa durante la vecchiaia nel caso di scomparsa dell’altro coniuge. Analoga ratio possiamo riscontrare con riferimento al diritto agli alimenti in caso di separazione o divorzio o alla successione necessaria.
Nessuna di queste situazioni trova una qualunque forma di corrispondenza nel caso delle coppie omosessuali. Ciò, naturalmente, non significa avallare odiose posizioni discriminatorie. Queste non meritano alcuna condiscendenza e, piuttosto, richiamano a un impegno attivo in difesa del più rigoroso rispetto della libertà personale. In questo impegno siamo certi di trovarci accanto alla parte meno ideologizzata della comunità omosessuale, pienamente consapevole dei rischi insiti nell’inseguire goffamente l’obiettivo di un riconoscimento statuale della propria diversità.
Una proposta alternativa ai Pacs.
Ciò non equivale in alcun modo a negare che vi possa essere lo spazio concreto per un intervento riformatore che affronti alcune situazioni nelle quali l’attuale ordinamento non riesce a dare risposte efficaci a concrete esigenze di quanti non siano uniti in un vincolo matrimoniale. Per affrontare queste situazioni può essere opportuno favorire la posizione dei soggetti non sposati riconoscendo la rilevanza giuridica delle dichiarazioni e dei comportamenti attivi di fiduciari, semmai prevedendone il ruolo con riferimento non solo a rapporti di convivenza ma anche a vincoli di carattere affettivo. Si pensi, ad esempio, alla materia delle dichiarazioni di volontà rispetto ai trattamenti sanitari, quando il soggetto interessato non è in grado di esprimere esso stesso la propria volontà o, più generalmente, all’assunzione di alcune decisioni in situazioni estreme.
Con riferimento alla materia ereditaria, i problemi sembrano essere minori. In realtà il principio di libertà testamentaria offre già una tutela adeguata. L’esistenza di una quota di beni indisponibile, riservata ai figli o al coniuge, non confligge con l’esistenza di vincoli derivanti da convivenze di fatto. Qualche problema può al massimo derivare dalla previsione di una quota di legittima in favore degli ascendenti (genitori e nonni) in caso di assenza di figli. Se il problema si riduce a questo, però, è ben sufficiente un intervento limitato a tale profilo specifico. Sempre che non s’intenda rimettere in discussione la successione necessaria in quanto tale. Non è, infatti, da escludere che una scelta del genere potrebbe rafforzare la tenuta dei vincoli familiari, chiarendo come questi abbiano un significato morale ed affettivo, prima ancora che patrimoniale.
Contro lo zapaterismo nessun trasversalismo.
In conclusione: si tratta di proporre e porre in atto questi interventi mirati che, uniti ad altri che possono andare nella medesima direzione, rappresentino una risposta laica e liberale per affrontare i problemi posti dalla diversificazione dei modelli di vita. Forza Italia assieme alle altre forze politiche moderate e liberali devono presentarsi unite alla sfida con una propria proposta, senza cedere alla tentazione di inseguire la sinistra, orfana del socialismo, sul terreno della sua nuova ideologia: quell’individualismo libertario che trova nello “zapaterismo” la sua più matura incarnazione.
Lo ribadiamo: in questa materia la contrapposizione non è fra laici e cattolici, fra modernisti e tradizionalisti, ma tra quanti credono che la libertà sia fondata innanzitutto sulla responsabilità individuale e coloro che, invece, credono che libertà equivalga alla soddisfazione – per mezzo dello Stato – di ogni desiderio. Noi, per storia e per ragione facciamo parte, senza distinguo, del primo partito.
da Il Giornale