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Una fondazione che intende proporre una sintesi tra il pensiero liberale e quello conservatore, per rispettare la propria ragione sociale, deve provare a edificare delle tradizioni. Nulla di strano, dunque, se Magna Carta ci prova. Quel che stupisce, nel caso della Summer School, è che questa tradizione si possa esser sedimentata già alla seconda edizione. Eppure, quando sabato si è inaugurata a Frascati questa nuova esperienza di formazione politica, il clima che si respirava era proprio quello di un’iniziativa con alle spalle già un lungo passato. Forse è perché la preparazione di eventi di questo tipo, in realtà, tra il concepimento, la definizione del programma, la pubblicazione del bando, la selezione degli studenti dura tutto un anno. O forse è perché il corpo docente dello scorso anno è stato riconfermato con pochissimi innesti, e si è presentato all’appuntamento con la precisione di un orologio svizzero. O forse, infine, perché molti degli allievi della precedente edizione sono tornati anche quest’anno, a prestare il loro contributo volontario in qualità di tutor. Per tutte queste ragioni, in ogni caso, l’effetto è stato quello di un gruppo di amici che si è dato un appuntamento al finire dell’estate, prima della ripresa. E che magicamente si ritrova, ancora una volta…

La lettura inaugurale quest’anno è stata affidata a Marcello Dell’Utri. Una scelta fatta dagli organizzatori in tempi non sospetti, quando l’indicazione del Senatore azzurro aveva il senso di un atto di riconoscenza per il lavoro di formazione culturale svolto in più di un decennio attraverso i Circoli del Buon Governo. Poi sono giunti altri circoli. E l’inaugurazione si è inevitabilmente caricata di significati impropri. Cosicché, della bella conferenza su “politica e cultura”, svolta sul filo di una realistica nostalgia da parte di chi sa che il rapporto tra i due termini nel corso del Novecento è stato foriero di tanti guai ma che la sua fine ha lasciato un vuoto che attende ancora di essere riempito, sui quotidiani del giorno dopo non è passato nulla. Ha avuto spazio, invece, una considerazione numerica sui Circoli della Libertà (che non possono effettivamente raggiungere la sbandierata “quota 5.000”), ispirata allo stesso realismo di cui sopra. E la circostanza, in realtà, sull’effettivo rapporto oggi vigente tra politica e cultura dice ancora di più di ciò che Dell’Utri è riuscito a comunicare all’attento auditorio.

Il giorno dopo: partenza in salita. Molti docenti ammalati e alcuni costretti a dare forfait. Ma, come si dice in gergo cestistico, Magna Carta ha la panchina lunga. Per questo, nel primo giorno di lezione tutto è andato bene. Tra le assenze forzate, quella di Fiamma Nirenstein, che ieri ha perso il papà. Ha pregato di scusarsi con i ragazzi e di comunicare loro il suo dispiacere per non poterci essere. Non è stato un atto di affettata cortesia. E’ stata anche prova di consapevolezza del fatto che per chi voglia insegnare qualcosa, l’impegno più inderogabile è quello che si assume con il proprio allievo. E, probabilmente, è stato un modo d’onorare suo padre.

Perché Alberto Nirenstein, lungo tutto un secolo, è stato anche l’interprete di una grande lezione di caparbietà, di coerenza e di libertà. Nato agli esordi della Grande Guerra, pioniere sionista già negli anni Trenta, vide la sua esistenza travolta dal secondo conflitto mondiale nel corso del quale perse tutta la sua famiglia sterminata dalla Shoah. Giunse in Italia sbarcando ad Anzio con le truppe di liberazione. S’innamorò e si stabilì a Firenze. Ma d’allora iniziò una discreta quanto caparbia opera di ricerca e documentazione sullo sterminio degli ebrei. Si deve a lui il primo libro sulla rivolta del ghetto di Varsavia dal quale tanti altri ne sarebbero discesi. E proprio per quest’incessante opera di ricerca, tornato in Polonia, venne arrestato. Si fece quattro anni di carcere e fu liberato solo nel 1953. Anche di lui, dunque, si potrebbe metaforicamente dire “prigioniero di Hitler e Stalin”, rimasto però sempre libero grazie al suo coraggio e a una coerente determinazione: doti che in vita nessuno gli ha mai riconosciuto, perché uomo schivo che non ha fatto collezione d’onoreficenze. Gli studenti della Summer School gli hanno tributato un lungo applauso.

E l’ospite principale del pomeriggio, Jacques Tarnero, ha consentito che si stabilisse con naturalezza un tratto di continuità tra quell’applauso e i lavori in sessione plenaria. E’ stata presentata la sua bella rivista “Le meilleur de monde” e si è proiettato il film documentario da lui curato “Decriptage”, consacrato allo smascheramento delle false ricostruzioni dei media francesi sul conflitto israelo-palestinese. Il dibattito è stato vivace, anche più che vivace: gli studenti di quest’anno pare abbiano ancor meno timori reverenziali dei loro predecessori. Ma quel che ancora una volta ha stupito è stato constatare quanto in profondità abbia scavato il solco l’11 settembre 2001. Quella data è all’origine di tanti percorsi intellettuali, di tante riconsiderazioni, di tanti tentativi di comprendere. Ad ogni occasione si scopre che, in qualche parte del mondo, c’è qualcuno che ha compiuto un pezzo di strada analogo a quello che Magna Carta prova a percorrere. E ai nostri occhi risulta ancora più chiaro dov’è l’origine vera di questo tentativo di formazione culturale che vorremmo avesse già sedimentato una tradizione.

(Intervento pubblicato su “L’Occidentale” del 3 settembre 2007)