Le parole più inaspettate dell’enciclica sulla «speranza» sono forse quelle in cui il papa preannuncia un «mea culpa» di nuovo tipo, che chiama «autocritica del cristianesimo moderno». Quest’espressione non c’era — a quanto risulta — negli scritti del cardinale Ratzinger e mai finora l’aveva proposta da papa.
Sostiene Benedetto nell’enciclica che lungo l’età moderna e specie con la caduta delle ideologie si è avuto un restringimento della «grande speranza» e che di esso sono responsabili sia il mondo secolare sia quello cristiano: «Bisogna che nell’autocritica dell’età moderna confluisca anche un’autocritica del cristianesimo moderno».
L’autocritica del cristianesimo secondo il papa dovrebbe riguardare il fatto che esso — «di fronte ai progressi della scienza nella progressiva strutturazione del mondo» — si è «in gran parte concentrato sull’individuo e la sua salvezza» e «con ciò ha ristretto l’orizzonte della sua speranza e non ha neppure riconosciuto sufficientemente la grandezza del suo compito, anche se resta grande ciò che ha continuato a fare nella formazione dell’uomo e nella cura dei deboli e dei sofferenti ». Il programma del «mea culpa» è dunque sommario ma chiaro. In un altro passo dell’enciclica precisa che la modernità ha rivolto alla scienza le sue aspettative di «redenzione» ottenendo l’effetto di «spostare la fede su un altro livello: quello delle cose solamente private e ultraterrene ». I cristiani si sono mostrati acquiescenti rispetto a tale «spostamento» e la fede ha finito con il diventare «in qualche modo irrilevante per il mondo».
Di più non dice il pensoso autore dell’enciclica, ma è chiaro il suo intento di richiamare i cristiani a «non avere paura» — per dirla con il predecessore — di tornare a presentare la fede cristiana come utile all’umanità oltre che ai singoli e significativa per i destini collettivi nell’aldiquà, oltre che per quelli individuali nell’aldilà.
Il nuovo «mea culpa» che chiama in causa il cristianesimo moderno non dovrebbe dispiacere alla destra cattolica che era stanca delle richieste di perdono di papa Wojtyla riguardanti i tempi antichi; ma dovrebbe incontrare anche il favore dei cattolici già sessantottini insofferenti della pratica «borghese» della fede cristiana, tutta rivolta «al Cielo» e alle virtù «private».
(dal “Corriere della Sera”)