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Dopo aver letto sui giornali di domenica che il neonato “Comitato per la riforma elettorale” guidato da Franco Bassanini (a proposito, dopo essersi preso Carla Bruni, Sarkozy non potrebbe farci un altro favore?) è stato ufficialmente ricevuto da Franco Marini, dopo aver ponderato le tesi esposte al Presidente incaricato, ho deciso di fondare anch’io un comitato. L’ho chiamato “Astolfo. Per il recupero del senno sulla luna”. E chiederò al più presto che anche “Astolfo” sia consultato.

E’ stato superato ogni limite: del buon senso, del buon gusto e anche della decenza. Se non c’è qualcuno che si preoccupa di riportare nei ranghi della ragionevolezza una pattuglia di ex-comunisti e di loro compagni di strada che, per antico riflesso, ritengono di poter fare qualunque cosa del diritto e delle istituzioni, si rischia davvero di farsi male.

Mettere sul conto di Berlusconi (e non già del fallimento storico della sinistra) il più alto costo possibile in termini di consenso per la “pretesa” di andare alle elezioni senza cambiare prima la legge elettorale, al fine presunto di assicurare stabilità e governabilità, è deprecabile dal punto di vista dello stile, impone una reazione, ma rientra nella fisiologia della lotta politica e delle sue forzature. Così come resta nei confini di ciò che in politica è lecito il tentativo d’occultare i due mesi di sforzi serrati e inutili per giungere a una legge elettorale che potesse assicurare veramente più stabilità e più governabilità; sforzi dai quali  discende oggi l’amara constatazione che tale risultato non può essere raggiunto in questa legislatura e con questo Parlamento.

A questa strategia mediatica, però, da un po’ di giorni si va affiancando il tentativo, tanto strumentale quanto contraddittorio, di piegare il diritto costituzionale a fini di parte, che non sembra volersi fermare neppure di fronte al rischio di coinvolgere in un contenzioso le più alte istituzioni dello Stato.

Il fuoco è stato aperto venerdì da Anna Finocchiaro e Nicola Latorre. I due esponenti del Pd all’unisono hanno sostenuto che le motivazioni della sentenza di ammissibilità dei referendum paventano il rischio di avere “Camere illegittime se si vota subito”. La Corte, nella verità dei fatti, non si è mai sognata di affermare l’incostituzionalità né della legge vigente né tanto meno di quella di risulta. Si è limitata a una mera segnalazione di opportunità al Parlamento così come aveva fatto in occasione del referendum elettorale del 1993, affinché consideri gli “aspetti problematici” di una normativa che non stabilisce una soglia dalla quale far scattare il premio di maggioranza rendendo per questo possibile, in teoria, una sproporzione troppo accentuata tra voti conseguiti e seggi conquistati.

Non so, francamente, se la fissazione di una soglia minima sarebbe una buona soluzione al problema evocato. Ho troppo nitido l’esempio storico del 1953 in Italia, quando l’esistenza di quel limite trasformò le elezioni in una competizione volta ad impedire che chiunque potesse raggiungere la soglia indicata (con conseguente proliferazione di liste di disturbo). Ma non è questo il punto. Quel che è più importante, infatti, è notare come l’obiter dictum della Corte ha una valenza ipotetica e teorica. Nella realtà delle cose, nel 2006 entrambe le coalizioni hanno ottenuto più del 49% dei voti limitando perciò il premio a circa il 5%. E nelle elezioni prossime venture è persino possibile che il premio non scatti neppure, in quanto il centro-destra potrebbe superare da solo il 55% dei suffragi. Tutto ciò accade al cospetto di un quadro europeo nel quale è assolutamente normale che un partito con il 35,2% dei voti possa prendere il 55,2% dei seggi (il Labour Party in Gran Bretagna nel 2005) e un altro con il 39,5% possa vedersi attribuire il 54,3% dei membri del Parlamento (l’UMP di Nicolas Sarkozy in Francia nel 2007).

Non si era fatto ancora in tempo a smentire queste sciocchezze che ecco apparire una missiva dell’onorevole Violante con una ipotesi ancora più ardita e inquietante. Se Finocchiaro e Latorre avevano affermato l’incostituzionalità della legislazione di risulta del referendum, Violante, invece, sostiene che esso debba svolgersi prima delle elezioni politiche, anche nel caso in cui il Parlamento dovesse essere sciolto. A tal fine, si spinge fino a ipotizzare che il Comitato promotore dei referendum possa elevare conflitto d’attribuzione tra poteri contro l’eventuale decreto di scioglimento del Capo dello Stato: un’ipotesi eversiva che porterebbe a una sovversione delle basi stesse del nostro ordinamento, portando la democrazia diretta a prevalere sugli istituti della democrazia parlamentare.

Non è stato difficile dimostrare l’assoluta infondatezza di quest’ipotesi dal punto di vista costituzionale. Poi, ci si era un po’ rilassati quando fonti di stampa hanno riferito dell’incontro di un fantomatico “Comitato per la riforma elettorale” con il Presidente incaricato. E, cosa ancor più inquietante, dell’illustrazione a Franco Marini di un preciso piano: “tentare ogni strada per ottenere dall’Alta Corte un giudizio di costituzionalità sulla legge elettorale vigente: ovviamente nella convinzione che il giudizio sarebbe negativo”.

Confesso, non pensavo si potesse giungere a tanto. A questo punto, anche se la cosa è spiacevole, non si può fare a meno di ricordare che nessuno ha ipotizzato nulla di simile quando questa legge elettorale ha consentito alla sinistra, con soli 24mila voti in più alla Camera e addirittura 250mila voti in meno al Senato, di formare un governo, di eleggere un Presidente della Camera, uno del Senato e anche il Presidente della Repubblica in carica che, a differenza degli altri, non decade alla fine di questa legislatura. Se la sinistra allora preferì seguire questa strada, piuttosto che aderire all’invito dell’opposizione di dar vita ad un governo d’unità nazionale (come si sarebbe fatto in tutto il resto del mondo civile), non può scaricare la responsabilità sulla normativa elettorale. Fu una scelta politica assunta in spregio della realtà di fatto e con una buona dose di furore ideologico. Se ha portato ad esiti catastrofici la colpa, dunque, è solo sua.

Nell’aver dimenticato tutto ciò, vi è qualcosa di terribilmente strumentale che rimanda ad altri tempi della politica: quando la parte maggioritaria della sinistra considerava le regole mezzi sovrastrutturali o i socialdemocratici meri mezzi da utilizzare al fine della conquista del potere per poi liquidarli, esattamente come alcuni vorrebbero fare con una normativa che è servita ma oggi non serve più. All’Italia questa marcia indietro non serve. Il Paese ha piuttosto bisogno che i nemici divengano avversari per un tempo più prolungato di qualche settimana. E, per questo, che le tentazioni fatali possano risultare null’altro che brutti e circoscritti episodi. “Astolfo” da parte sua non abbasserà la guardia ma farà tutto il possibile, e fino in fondo, affinché il senno venga infine ritrovato.

(da L’Occidentale)