di Sergio Belardinelli
Sul “Wall Street Journal” del 27 febbraio è apparso un articolo che tutti coloro che si occupano di scuola, specialmente in Italia, dovrebbero leggere. “La libertà di scelta non basta”: questo il titolo dell’articolo, il quale passa in rassegna le principali esperienze pedagogiche americane di questi ultimi quindici, venti anni. La tesi di fondo che lo sostiene può essere riassunta in questo modo: le liberalizzazioni in materia scolastica, ovvero la possibilità offerta alle famiglie americane di scegliere in quale scuola mandare i propri figli, grazie a un sistema di vaucher e altre modalità di finanziamento, hanno prodotto indubbiamente dei vantaggi, specialmente per gli alunni più poveri, ma oggi non bastano più. Soprattutto sembra che la competizione tra scuole non abbia prodotto quel generale miglioramento della scuola pubblica che pure ci si aspettava. E questo per il semplice motivo che non si è prestata la giusta attenzione ai contenuti insegnati e alla qualità degli insegnanti, formati per lo più in ossequio alla stessa ideologia del politicamente corretto. Statistiche alla mano, come mostra in particolare l’esperienza dello stato del Massachusetts, balzato al primo posto tra gli stati americani in fatto di promozione delle capacità linguistiche e aritmetiche degli alunni, sembra che il ritorno a una pedagogia “basata sui contenuti” sia la migliore ricetta per rilanciare il sistema educativo. La competizione tra le scuole è dunque importante, ma più importante ancora sarebbe la chiara definizione della missione che si attribuisce all’educazione e dei contenuti da insegnare. Il Ministro Fioroni direbbe (anche se purtroppo non ha avuto il coraggio di dirlo fino in fondo) che, più delle chiacchiere pedagogiche, contano le tabelline, la grammatica e la geografia.
Considerato che siamo in campagna elettorale e che anche da noi molto si dovrà parlare di scuola e di educazione (almeno si spera), quale insegnamento trarre da queste esperienze americane?
Intanto mi sembra importante evitare che le discussioni sulla pur necessaria liberalizzazione del nostro sistema educativo ci faccia perdere di vista la qualità dell’insegnamento. Voglio dire che garantire alle famiglie la libertà di scegliere in quale scuola mandare i loro figli con adeguati finanziamenti pubblici è di sicuro molto importante, ma più importante ancora è la battaglia culturale che occorre condurre affinché le nostre scuole non diventino per questo centri ideologici in conflitto tra loro o rimangano invece quei luoghi di sperimentazione e di parcheggio, avvolti dai fumi di una pedagogia sempre più autoreferenziale e incomprensibile, che abbiamo sotto gli occhi.
Non ha senso una scuola dove l’evoluzionismo venga insegnato in alternativa al creazionismo o viceversa. Io, cattolico, preferisco senz’altro per i miei figli un professore ateo e materialista, che però è competente, appassionato e rispettoso delle mie idee, a un professore cattolico come me, ma incompetente, disamorato di ciò che insegna e magari fanatico. Il pluralismo scolastico non deve diventare quindi un pluralismo ideologico. Ma non deve essere neanche osteggiato in nome di ideologie tanto pervasive quanto fasulle, tipo quella egualitaria che domina nelle nostre scuole. A scuola si debbono imparare dei contenuti, grazie a insegnanti competenti capaci di creare relazioni educative degne del nome, sotto il legittimo controllo dello stato. Punto.
Di qui anche la necessità di operare su tutti i fronti una radicale semplificazione. Dalla formazione degli insegnanti, ai curricula scolastici, alla libertà di scelta delle famiglie, alla valutazione degli alunni, degli insegnanti e delle scuole, ai rapporti scuola-famiglia: tutto dovrebbe essere riconsiderato e semplificato. E mi sembra che ricondurre l’insegnamento ai contenuti potrebbe essere un buon punto di partenza, dietro al quale far seguire nuovi criteri di valutazione incentrati sul merito (quanto sarebbe bello ritornare al semplice voto!!!), una considerazione della scuola che configuri per tutti –alunni, genitori e insegnanti- una maggiore libertà di scelta ma anche una maggiore responsabilità, e infine -perché no?- criteri di valutazione anche per scuole e insegnanti, dai quali far dipendere una parte almeno dei finanziamenti e degli stipendi (così come sono, troppo bassi). Ne va in ultimo dei nostri figli. Pertanto speriamo che anche in campagna elettorale questa consapevolezza si faccia sentire.
(da L’Occidentale)