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La rivoluzione interiore, la politica e la ricerca del bello

Cari amici, illustri professori, presenti, io sono molto grato davvero all’amico senatore Gaetano Quagliariello per avere voluto che tenessi la prima reazione all’edizione di quest’anno della scuola di Magna Carta, alla quale ho partecipato – come ricordava l’amico Gaetano – anche gli anni passati con grande giovamento personale per i contatti che ho avuto, per gli scambi di opinioni, per il confronto che c’è stato, momenti davvero fondamentali per ogni organizzazione di carattere politico che si rispetti.

Quest’anno la scuola è diventata ancora più importante e sta dando e darà dei contributi molto importanti alla nascita di una nuova classe politica, di una nuova classe dirigente per il futuro di questo Paese. E voi siete chiamati per primi a porvi questo obiettivo e ad assolvere a questa necessità per il futuro del nostro Paese. Il fatto che voi siate qui, che avete voluto iscrivervi, partecipare a questa scuola, dimostra che voi siete consapevoli di questa necessità. […]

È un grande motivo di gioia, vedere come in questi anni il nostro partito, Forza italia e ora il Popolo della Libertà siano cresciuti e vedano sempre più dei giovani alla testa del partito e alla testa del governo anche, come protagonisti anche del governo. Gaetano ricordava nella sua introduzione la storia di questi anni, direi che sono stati quattordici anni […] di storia tumultuosa. […] Dopo questi anni e soprattutto dopo le elezioni ultime, nelle quali Berlusconi ha riottenuto il consenso della maggioranza del Paese, questo mare in tempesta si è come placato improvvisamente, perché oggi il governo, l’azione del governo è un’azione efficace, i cittadini, la maggioranza degli italiani guardano con soddisfazione, con ammirazione, con fiducia e con speranza all’azione di questo governo, perché il consenso nei confronti di questo governo lo dimostra. i cittadini guardano, credo, con soddisfazione all’azione di questo governo, perché questo governo è stato capace ed è capace di guardare alla realtà del Paese con onestà politica e intellettuale, con realismo, non con gli occhiali e con le lenti delle ideologie o delle vecchie definizioni della politica.

Noi oggi è come se fossimo in un mare che si è improvvisamente placato dopo tanti anni di un mare in burrasca, di un mare tempestoso, sappiamo quello che significa questo, le battaglie che abbiamo sostenuto, le sconfitte, la ripresa, il successo e poi l’insuccesso per 20 mila voti, tutto quello che c’è stato in questi anni. È stato veramente un periodo difficile, tormentato della vita politica nazionale. oggi è come se questo mare si fosse placato improvvisamente, perché i cittadini tutti guardano alla prova di questo governo, sapendo che o ce la fa questo governo o non ci sono altri che possono fare quello che oggi è necessario fare per il futuro del Paese. e sanno che non c’è alternativa al successo di questo governo per il bene del Paese. Quindi c’è come un clima in questo momento – quello che io sento – di sospensione, di attesa.

Io direi che non siamo, però, in un mare placato, io direi che siamo oggi […] in un mare aperto, è come se la nostra nave, che è una nave grande, una nave potente, ben equipaggiata, è come se questa nave fosse in un mare aperto e nel mare aperto io penso che dobbiamo trovare dei punti di riferimento per raggiungere la meta finale di questa nave, di questo cammino, di questa strada che dobbiamo compiere. E i punti di riferimento – come diceva Gaetano – non possono che essere quelli che derivano da un rapporto stretto tra politica e cultura. Se non c’è questo rapporto […] tra politica e cultura, non si troveranno mai i punti di riferimento della nostra azione politica. Se non abbiamo dentro di noi uno stretto rapporto tra la politica e la cultura, noi vagheremo senza punti di riferimento, saremo dei politici magari anche abili, anche esperti, anche efficaci, ma incapaci di guardare al futuro, incapaci di guidare una nave in un mare aperto. […] dopo la scomparsa delle forze politiche della cosiddetta Prima repubblica tra Berlusconi e il popolo non c’era rimasto più nulla, erano rimasti degli spezzoni di classi politiche, ma non c’era quasi nulla, il rapporto era diretto. noi in questi anni abbiamo fatto questo lavoro, abbiamo cercato di riempire questo vuoto, di colmare questo vuoto con una iniziativa culturale, personale, politica che io penso – senza sopravvalutarla – ha dato i suoi frutti.

Abbiamo cercato di riempire questo vuoto con materiale vario, con materiale proveniente da diverse tradizioni politiche, da diverse storie personali, di persone appartenenti al mondo laico, al mondo cattolico che hanno trovato dentro questa casa una casa accogliente, una casa confortevole, una casa da cui si poteva ricominciare un impegno politico. in questi anni è stato fatto molto, ma ancora moltissimo rimane da fare! […]

Bisogna cogliere questo momento irripetibile di una azione di governo efficace per creare le condizioni di una organizzazione politica che possa guardare con fiducia al futuro. e questo lo potete fare soltanto voi. noi possiamo passarvi il testimone, possiamo aiutarvi, ma questo compito spetta essenzialmente a voi. Questo compito è essenzialmente nelle vostre mani.

Come diceva Gaetano, noi veniamo da storie politiche diverse, io vengo dalla storia – come sapete – della sinistra, del Partito Comunista italiano, come cattolico, come aderente ad una tradizione liberal-socialista, ma vengo da una storia particolare, in qualche modo sono anch’io un ex, sono anch’io per metà nel passato e forse per un’altra metà rivolto al futuro grazie a Forza italia, grazie alla possibilità che ho avuto di vivere un’esperienza nuova. Ma io penso che noi dobbiamo passare, trasmettere il testimone a voi che non siete ex di nessuna storia politica particolare, di nessuna ideologia, ma che siete le persone che possono ricevere il testimone della novità politica e di guidare questa nave verso il futuro. […]

Per riprendere la metafora che ho utilizzato dal mare aperto – il mare aperto oggi in italia e nel mondo è rappresentato da quello che noi chiamiamo “la globalizzazione”. La globalizzazione è il mare aperto, in cui noi ci muoviamo, agiamo e ci impegniamo. La globalizzazione è in fondo la traduzione filosofica e culturale dell’estensione mondiale dell’economia – in particolare dell’estensione mondiale dell’economia finanziaria – è la traduzione culturale del dominio della tecnica e della scienza e anche dell’influenza universale del diritto, poi diremo in che modo si esercita questa influenza universale del diritto nell’epoca della globalizzazione. Ciò a mio avviso pone immediatamente il problema – questo è il punto fondamentale che metto al centro della mia relazione – questo pone il problema della democrazia, della libertà – del valore della democrazia oggi nell’epoca della globalizzazione – della libertà, del significato della vita e soprattutto della funzione della politica oggi nell’epoca della globalizzazione.

Quale forza può avere la democrazia, quale ruolo può avere la politica nell’epoca della globalizzazione? Qual è il valore della vita e della dignità della persona e della sua libertà nell’epoca del potere della tecnica e dell’invasione del diritto non come metodo regolativo, ma come assurda enfatizzazione di ogni diritto non fondamentale e come pretesa di soddisfare ogni desiderio individuale. Leggetevi a questo proposito “il traffico dei diritti insaziabili”, un volume edito da Rubbettino, che è molto interessante a questo riguardo. L’ambito e la forza in cui si pongono questi problemi, evidenziano la scomparsa di un orizzonte di speranza oggi, cioè di una tensione verso il futuro e di contro alla scomparsa di un orizzonte di speranza, la solitudine esistenziale dell’uomo del nostro tempo, orfano delle ideologie e in gran parte anche della religione, della secolarizzazione.

Io penso che questa condizione oggi dell’uomo moderno, dell’assenza della speranza e della solitudine esistenziale nell’epoca della globalizzazione siano condizioni che la letteratura, il cinema e l’arte in particolare riflettono in maniera particolare. Quest’estate ho letto due libri a mio parere emblematici del nostro tempo – io vi do in fondo dei suggerimenti per la vostra formazione – ho letto due libri che sono stati, almeno per me, emblematici del nostro tempo, il primo libro è “il Patrimonio” di Philip roth – penultimo romanzo, perché ne sta per uscire un altro – e l’altro è “Sunset Limited” di McCarthy. Questi due libri mi sono sembrati particolarmente emblematici della situazione che ho detto, l’assenza di speranza e l’assoluta solitudine esistenziale dell’uomo contemporaneo. Potrei leggervene alcuni brani, ma affido a voi il fatto di leggervi questi due libri che per me sono particolarmente importanti.

La perdita di speranza che si è rovesciata in speranza del nulla – come si legge nel libro di McCarthy – in questo libro si legge che non c’è più la speranza, addirittura c’è la speranza del nulla, non c’è più nichilismo, ma c’è la speranza del nulla, il nichilimento. La perdita di speranza che le ideologie alimentavano, il venir meno della fede come corpo di valori e soprattutto come regola autonoma di vita influiscono sulla democrazia e sulla politica, in quanto mezzi di crescita civile di una nazione. Per questo mi chiedo da dove si può riprendere il filo di un cambiamento umano della società, da dove si può ripartire per fondare su basi solide una politica, che noi concepiamo come la più alta espressione della carità – per riprendere un’espressione di Paolo Vi – le ideologie non ci servono più.

Su questo credo che possiamo essere d’accordo, le ideologie non ci servono più, poi dirò perché. Gli ideali sì, però. Gli ideali ci servono ancora. Gli ideali sono importanti, sia quelli professati dai laici, i cosiddetti laici, sia quando promuovono e difendono la dignità della persona e la libertà dell’uomo, sia quelli che nascono da una fede autentica. La mia tesi è che bisogna ripartire dai valori, che bisogna ripartire per trovare delle basi solide della democrazia e della politica, che bisogna ripartire dalla coscienza della persona e che bisogna ripartire dalla persona, non dalle ideologie, perché che cosa sono state le ideologie? il male delle ideologie, come è stato definito da Giovanni Paolo II.

Hannah Arendt dava una definizione, secondo me, molto pertinente delle ideologie, […]: “Le ideologie non si interessano mai del miracolo dell’essere, non si interessano mai del miracolo della vita, della realtà. L’ideologia è la logica di un’idea che pretende di conoscere i misteri dell’intero processo storico, pretende di conoscere tutto della storia. Pretende di conoscere i segreti del passato, pretende di conoscere la complessità del presente che viviamo, pretende addirittura di conoscere le incertezze del futuro”. Queste sono le ideologie.

C’è un’altra definizione molto chiara delle ideologie di don Giussani, perché don Giussani diceva che c’è una differenza tra un progetto sull’uomo che nasca da ciò che per cui l’uomo è fatto, cioè le sue esigenze, la sua umanità, il suo cuore, le sue emozioni, da un progetto politico costruito su una concezione dell’uomo inventata dagli intellettuali. e don Giussani infatti diceva che il male dell’ideologia è la violenza dell’immagine – e sull’immagine torneremo, sulla natura dell’immaginazione – diceva don Giussani che il male dell’ideologia è la violenza dell’immagine che si proietta, spingendo le cose, la realtà e la vita secondo un programma stabilito dagli intellettuali, secondo una logica astratta. Violando in questo modo la sacralità della vita e la verità del cuore dell’uomo. Mi sembra una definizione molto precisa dell’ideologia.

Un’altra grande pensatrice, una grande filosofa come Maria Zambrano ha dato un’altra definizione importante dell’ideologia, dicendo che l’ideologia è il nemico mortale del nostro destino, perché per gli uomini purtroppo è più facile costruire inferni o inventare paradisi, piuttosto che pensare al presente, piuttosto che pensare alla realtà presente dell’uomo. infatti Maria Zambrano diceva che l’ideologia è la tendenza dell’uomo – lei diceva soprattutto della cultura maschile, della radice guerriera maschile dell’Europa – la tendenza dell’uomo di romanzare il passato – da qui le ideologie reazionarie in generale – o di fantasticare sul futuro, immaginare un futuro migliore – da qui le ideologie rivoluzionarie o pseudo rivoluzionarie – tutto a scapito del presente. il tempo presente – è un punto fondamentale del mio ragionamento – non è, a mio avviso, un tempo fuggevole, un tempo vuoto, un tempo transitorio, lo è il tempo presente fuggevole e transitorio se non si coglie la sua profondità, la sua densità, la sua intensità, il suo essere l’occasione per le decisioni che ci riguardano oggi per una scelta, per un atto d’amore.

Ho letto delle parole bellissime in un diario di Emilia Vergani, morta in un incidente stradale – la moglie di Giancarlo Cesana, uno dei leader di Comunione e Liberazione – un diario struggente, Emilia Vergani diceva: “L’esperienza è nell’istante ed è ciò che vince il totalitarismo del pensiero e la riduzione dell’affezione ad immaginazione. La lotta contro il pensiero che diventa totalizzante e l’affezione che diventa immaginazione è vinta dall’esperienza di dio minuto per minuto nel presente”.

Anche Alessandra Borghese che ha scritto un libro molto bello qualche anno fa, poneva l’accento sul presente e diceva delle cose, secondo me, molto sorprendenti che io condivido, perché Alessandra Borghese scrive che in fondo è Maria, la madre di dio, di Gesù, che inventa il presente. Cioè l’attimo nel quale ogni cosa si compie, cioè è Maria che è “l’eccomi”, è “il qui ed ora”, è il custode dell’istante, è colei che introduce e fonda nella storia il valore della decisione umana nel presente. e diceva Alessandra borghese che ogni decisione che incarna, ogni decisione che realizzi, ogni decisione che costruisci nel presente, è un atto mariano. non a caso “eva” in ebraico significa “presente”. La donna è ciò che fa nascere il presente, che gli dà corpo e anima, che dà la vita. Mentre Adamo dà nome alle cose, Eva inventa il tempo presente, non quello astratto dei nomi, ma quello della vita.

Per questo – e vengo alla tesi di questa relazione, che come voi sapete è la rivoluzione interiore – è necessaria una rivoluzione. Per afferrare lo spessore di questo concetto vorrei riprendere brevemente il concetto della modernità, perché la modernità è in primo luogo la patria, l’ambiente dell’io, dell’io come individuo per seguire la lezione di Nietzsche dell’unicità dell’io che si staglia di fronte all’omologazione sociale, alla realtà naturale e alle ideologie. Lavorando sulle contrapposizioni, si potrebbe ipotizzare questo schema, abbiamo di fronte l’io e il mondo, così Carlo Hobit lesse la trama della modernità da Cartesio a Hegel.

Per cogliere lo spessore di questa possibile rivoluzione interiore, occorre a mio avviso partire dunque dalla natura dell’io moderno, del soggetto. Soprattutto con Cartesio si impone nella filosofia moderna la radice dell’io, del soggetto individuale, della coscienza, “cogito ergo sum”. nel pensiero di Cartesio tuttavia l’io è radicalmente scisso, l’io è radicalmente diviso tra una parte corporea, materiale, la res extensa e una parte nazionale, la res cogitans. Questo dualismo in fondo permane ancora oggi, tra l’ambito delle scienze e l’ambito della metafisica. Soprattutto permane questo dualismo, a mio avviso, tra la dimensione delle passioni, delle emozioni e la dimensione della ragione e della razionalità. Questo problema è, a mio avviso, essenziale proprio del rapporto tra passione e ragione, per la definizione della democrazia, per la vitalità della democrazia. da come si risolve questo problema del rapporto tra le passioni e la ragione, si affronta il problema della democrazia. oggi soprattutto, ad esempio, a sinistra si accusa la società italiana di essere preda di stati d’animo di paura, di insicurezza che sarebbero la base di politiche di destra – come dicono loro – fondate sul razzismo, l’avversione per gli immigrati o addirittura di spinte reazionarie. Questo argomento è un argomento propagandistico, lo dimostra il fatto che viene agitato dalla sinistra e brandito dalla sinistra solo quando gli avversari sono al potere, mentre viene sottaciuto quando la sinistra stessa è al potere. in realtà, depurato degli aspetti propagandistici questo problema del rapporto tra le passioni e la ragione è essenziale per avere una democrazia forte e matura, per avere cittadini capaci di tenersi al riparo delle lusinghe del potere, dalla demagogica, al nazionalismo.

La mia opinione è che su questo punto abbia offerto una soluzione, o almeno una pista di lavoro ancora oggi interessante, il grande filosofo Spinoza. del pensiero di Spinoza, infatti, la forza vitale delle passioni – quello che lui chiama “il conatus”, la spinta ad esistere, l’io, la forza vitale delle passioni in Spinoza può essere indirizzata all’ampliamento delle possibilità della vita e della vita buona, se l’uomo attraverso la ragione è capace di conoscere le passioni in maniera adeguata.

Anche il pensiero femminile da questo punto di vista è interessante, perché fa intravedere per la prima volta la possibilità di un rapporto nuovo tra passioni e ragioni, tra il corpo e la ragione. non solo pensiero pensante, ma anche corpo pensante. nel pensiero femminile c’è questa capacità di vedere l’intelligenza anche come l’intelligenza del cuore, come l’intelligenza delle emozioni, l’intelligenza del corpo, che rappresenta un tratto tipico di quello che Giovanni Paolo II ha chiamato “il genio femminile”, il genio delle donne.

Per tornare alla questione dell’io e della modernità, la modernità è certamente la conquista dell’autonomia e della libertà, ma nello stesso tempo la vertigine e la fuga dalla responsabilità che la libertà comporta. dobbiamo quindi ripartire – come dicevo – dall’io, da noi stessi, dalla nostra umanità. Cioè dobbiamo lavorare su noi stessi per riprendere il cammino della libertà, della pienezza dell’essere, della democrazia e della giustizia. un io liberato dalle ideologie che portano all’attuale crisi della sinistra oggi in italia, malata di ideologia.

Oggi io credo che la crisi della sinistra sia essenzialmente una crisi culturale. Quando oggi la sinistra nella vita politica quotidiana pensa che garantire e tutelare la sicurezza dei cittadini, garantire e tutelare la sicurezza nelle città, quando la sinistra oggi pensa che realizzare una politica dell’immigrazione controllata e non incontrollata, quando oggi la sinistra pensa che combattere coloro che nella pubblica amministrazione, nella scuola, in altri ambiti non lavorano secondo il loro dovere e non viene premiato il merito, quando la sinistra pensa che tutto questo equivalga ad una politica reazionaria, ad una politica di destra, quando la sinistra pensa che tutto questo rifletta passioni, istintualità, che riflettono la paura dei cittadini di fronte al cambiamento, vuol dire semplicemente che la sinistra ha perso completamente la consapevolezza della realtà, della vita di tutti i giorni.

Perché basterebbe avere questo rapporto con la realtà, guardare la realtà per quella che è, guardare alle esigenze, alle speranze dei cittadini per quelle che sono, per non cadere in questo errore, per capire anche quello che pensano, quello che provano, quello che desiderano anche i cittadini di sinistra, anche le classi sociali più umili che votano a sinistra, che storicamente hanno votato a sinistra, che provano più o meno le stesse percezioni, esigenze, speranze che prova la maggioranza dei cittadini italiani. La sinistra ha un problema di rapporto con la realtà. d’altra parte, se voi che avete ascoltato il congresso di Rifondazione Comunista, è stato un caso veramente che andrebbe studiato.

A me è capitato di sentire alla radio alcuni interventi di Rifondazione Comunista, era come se queste persone – molte in buona fede – ma quando ascoltavo, era come se fossero in preda ad una allucinazione, come se vivessero in un mondo totalmente staccato dalla realtà. Si sentivano dei discorsi che finivano quasi – almeno per chi ha un minimo di rapporto con la realtà, con la vita – finivano quasi per apparire comici. e credo che anche chi li pronunciasse, ad un certo punto dentro di sé ci pensava: “Quando si sente dire che bisogna socializzare la democrazia e democratizzare la politica”, ma neanche gli operai capiscono più nulla di queste cose. nessuno più capisce più di queste cose, perché non parlano più alla realtà delle persone.

Non parlano più alla vita che le persone vivono nelle città, nelle fabbriche, nelle scuole, nelle università, nelle professioni, nel mondo del lavoro. Una volta la sinistra aveva questa capacità – pur con una corazza ideologica – di interpretare le esigenze dei cittadini, degli operai, delle classi sociali e di indirizzare queste pulsioni, queste esigenze, queste speranze nell’ambito certamente di una politica che non era accettabile, ma che comunque non era scollegata dalla realtà. io ricordo – l’ho ricordato poco tempo fa – ho ricordato Giovanni Amendola che diceva ai giovani: “dovete studiare la realtà, dovete conoscere i dati dell’economia prima di parlare”. oggi questi non studiano più, non capiscono più i dati della realtà. io ho avuto un confronto con Cirami alla festa del Partito democratico a Firenze, mi sembrava di parlare con un marziano, non più con un uomo di sinistra, uno che viene da un altro pianeta. L’intervistatore mi ha chiesto che cosa penso di Gramsci, ho detto che Gramsci è un pensatore comunista ed è stato un grande italiano, che penso che una persona di cultura abbia interesse a conoscerlo. Cirami ha risposto: “Gramsci non conta più, dobbiamo guardare al futuro”. io sono rimasto senza parole. È chiaro che poi questo partito non ha più né un passato, né un futuro. una volta il Partito Comunista diceva: “Veniamo da lontano, andiamo lontano”. Loro ormai non sanno più né da dove vengono, né dove vanno.

Questo è il dramma di questo partito. non sanno più da dove vengono e non sanno dove vanno. e ci vorrà tempo per la sinistra per ricostruire dei punti di riferimento culturali, senza i quali sarà molto difficile che essa possa realizzare una politica di governo, cioè una politica capace di parlare all’Italia. Guardate che questo non è un fatto positivo per noi, certo, possiamo anche essere soddisfatti che la sinistra sia in crisi, ma non tanto, perché è un dramma avere un Paese in cui la sinistra è ridotta in queste condizioni.

Perché sarebbe meglio vivere in un Paese in cui c’è una grande forza liberale, democratica, una grande forza riformista, socialista, democratica, sarebbe meglio vivere in un Paese così. Io non voglio dire che non ci sia una base di partenza, ma certamente hanno ancora tanta strada da percorrere per diventare davvero una forza politica autenticamente riformista. […]

Sandro Bondi