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C’era un tempo nel quale la politica si permetteva il lusso di non occuparsi di tematiche come la vita, la morte e il confine che le separa. Finché un giorno, sull’onda di campagne mediatico-giudiziarie, questi temi sono entrati nello spazio pubblico. Da allora, questioni che erano affidate alla coscienza dei singoli sono diventate la trincea ideologica di un nuovo determinismo, non più sociale ma antropologico: la pretesa di controllare ogni istante della propria vita dalla culla alla bara. Anzi, prima della culla e dopo la bara. La politica si è così trovata a un bivio: accettare la sfida o voltare la testa dall’altra parte, consentendo che di fronte al progresso di scienza e tecnica la fissazione di nuovi diritti sia appaltata a lobby ristrette quanto potenti.

Noi abbiamo scelto la prima strada. Anche chi aveva sempre guardato senza favore all’idea che lo Stato potesse regolare frangenti così intimi della vita di una persona, con la vicenda di Eluana ha dovuto prendere atto che dei tribunali si erano arrogati il diritto di farlo al posto dei rappresentanti del popolo. Una preoccupante linea rossa, neanche tanto sottile, ha però segnato dallo scorso anno tutte le tappe salienti del caso Englaro; tutti i passaggi attraverso cui si è tentato di restituire alla politica lo spazio che i cardini della civiltà le assegnano. E’ la linea del “non possumus”. La prima volta è accaduto con il conflitto di attribuzioni sollevato dal Parlamento nei confronti della Cassazione: la Corte Costituzionale ha deciso di non decidere, respingendo l’istanza delle Camere come inammissibile. Poi è toccato alla Procura generale di Milano e al suo ricorso in Cassazione contro il decreto della Corte d’Appello: inammissibile anche quello, senza giudizio di merito. L’altro ieri col decreto governativo si è compiuto il terzo atto: è stato messo per iscritto che l’esecutivo si sarebbe dovuto astenere dall’approvare un atto che la Costituzione assegna alla sua responsabilità.

Senza ipocrisia, di fronte a questi tre “non possumus” sarebbe stato preferibile che la Consulta ci avesse dato torto, che la Cassazione avesse respinto il ricorso del Pg di Milano dopo averlo valutato, e che il decreto del governo non avesse conosciuto interdizioni preventive. Si sarebbe quantomeno dissipato un sospetto: che intorno a queste tematiche si stia formando una nuova casta di “intelligenti autoconvocati” che non ammettono smentite né confronti nel merito. Si è fatta tanta dietrologia sul perché Berlusconi, un leader che in odio allo spettro dello Stato etico si è autodefinito “eticamente anarchico”, si sia tanto impegnato per salvare la vita di Eluana. Ma la ragione politica di fondo è proprio la difesa del popolo, della sua sovranità, del suo buon senso. Chiamatelo, se volete, populismo. Noi preferiamo definirlo amore per la libertà contro i suoi nuovi nemici.

(Tratto da Libero)