Si è sentito “sconfitto”, ma conscio che di fronte a casi del genere non si deve pensare al prezzo da pagare». Denuncia, con pacatezza, «aggressioni trasversali che lo hanno stupito. E con la stessa tranquillità rileva amaramente il ‘silenzio’ dei media nostrani, che non hanno chiamato con il loro nome, eutanasia» quanto successo a La Quiete di Udine. Tempi incontra Maurizio Sacconi, ministro del Welfare a Verona dove nei giorni scorsi è intervenuto ad un incontro pubblico promosso dal Popolo delle libertà su ‘Nella crisi dei valori e delle economie… la persona prima di tutto».
Si riuscirà a trovare una soluzione condivisa dal punto di vista legislativo per prevenire casi come quello di Udine?
Questo sarebbe auspicabile anche se si sono manifestate diversità molto significative nel corso della vicenda di Eluana Englaro. Adesso la commissione parlamentare sta lavorando. Credo che il tema delicato rimanga quello della alimentazione e dell’idratazione. È significativo che tra l’altro, anche la mozione del Partito democratico ora, abbia ritenuto, come anche quella della maggioranza, che non si tratta di terapia ma di corrispondere ad un bisogno vitale della persona.
Quanto peso hanno avuto, secondo lei, in questa vicenda, posizioni ideologiche?
Mah, di certo il governo non si è riferito a scelte ideologiche quanto a principi laicissimi come quello del dubbio, visto che sugli stati vegetativi persistenti la scienza sa ancora pochissimo. Un principio che si applica agli animali, all’ambiente, tanto più alle persone.
Quali tempi parlamentari prevede per l’approvazione della legge sui trattamenti di fine vita?
Il nostro auspicio, e quello generale, è di tempi brevi, in un senso o nell’altro. Bisogna evitare situazioni analoghe di persone non solo in stato vegetativo persistente ma persone con demenze, persone in stato avanzato di Parkinson o Alzheimer, perché qualcuno non pensi di proporre la stessa cosa per un giovane autistico: sono tutte persone, persone, persone. Non credo che si debba discutere sul dovere di assicurare loro l’alimentazione e l’idratazione.
Non sono mancate espressioni quasi di «giubilo» per la fine di questa tragedia: cosa ne pensa?
Credo che di fronte alla morte di una persona valga sempre la bella espressione del poeta che dice: non chiederti per chi suona la campana, perché suona per te. Quando muore una persona una parte di noi se ne va. Sarebbero fuori luogo espressioni di giubilo. Per quanto mi riguarda mi sono sentito sconfitto.
Quanto le è costato, personalmente, impegnarsi direttamente in questa vicenda?
Quando si deve fare una scelta di questo tipo non si deve guardare al prezzo perché è una scelta che si fa a prescindere da qualunque altra valutazione di opportunità. Siamo in presenza di questioni che, per chi ha una certa convinzione, non possono essere oggetto di calcoli: si decide, punto e basta. Poi, certo, io ho notato molta aggressività da parte di chi non la pensava come me. Ho visto aggressioni di vario genere, alcune neppure dirette su questo argomento, aggressioni trasversali. Spero che prevalga il rispetto reciproco delle posizioni. D’altronde si tratta di un confronto alto, che riguarda il senso della vita, il confine tra la vita e la morte. Ci si accapiglia per tante sciocchezze, per cui se questa volta la politica è stata chiamata a misurarsi con un tema così alto e fondamentale, penso che debba dimostrare tutta la sua maturità attraverso modalità di confronto di rispetto reciproco.
All’estero diversi organi di stampa hanno usato la parata «eutanasia» per la vicenda della «Quiete».
L’impressione è che lo hanno fatto tutti gli organi di informazione del mondo, dalla Cnn alla Pravda, e non cito questi due esempi a caso. Anche la stampa tedesca si è riferita al caso Englaro parlando di esempio di “dolce morte”, espressione che in quel contesto viene più seguita. Ovunque si è parlato di ‘percorso eutanasico» tranne che sui media italiani. Che hanno avuto il pudore di non chiamare le cose con il loro nome: eutanasia.