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L’Italia compie 150 anni. Sarà per colpa della calura estiva e del deficit di notizie in circolazione, ma i giornali, giornalisti annessi, sembra se ne siano accorti solo ora. Noi compresi. È bastato un articolo ben argomentato del “solito” Galli della Loggia sul Corriere di qualche giorno fa per far risvegliare tutti sull’argomento, storici e politologi, politici e gente comune. Persino Carlo Azeglio Ciampi, garante dei garanti ormai per status, si è ricordato di avere una qualche parte in questo teatrino celebrativo solo dopo la reprimenda dello storico romano, dichiarandosi pronto a lasciare, per polemica, la direzione del comitato istituito per le celebrazioni del centocinquantesimo anniversario dell’Unità d’Italia (ma – ci chiediamo – finora perché mai non ha pensato di compiere il fatal passo?).
Tant’è. Tra ammissioni di responsabilità varie, dichiarazioni di resa alla Lega e richiami del Capo dello Stato in persona che richiede in materia “decisioni urgenti”, la questione nazionale, non solo sembra tutt’altro che tramontata ma torna ad essere, come a noi peraltro sembra naturale che sia, al centro del dibattito politico e culturale soprattutto di un paese alla cui guida c’è un partito di centrodestra. Non che la nazione non debba essere un valore condiviso, a destra come a sinistra. Però, bisogna ammettere, che sulla questione – complice anche chi nell’ex An parla in maniera rassegnata di “disunità d’Italia” – il centrodestra appare un po’ sbiadito e allo sbando. Forse perché nella destra/destra parole come Patria, nazione, unità, identità, non sono più di moda o forse – e peggio ancora – per una incomprensibile subalternità intellettuale e culturale, non certo politica, di cui il centrodestra soffre nei confronti del centrosinistra.
Quale che sia la ragione, rimane un fatto, che è quello denunciato da Galli della Loggia: che questa maggioranza con una legittima assunzione di responsabilità avrebbe potuto prendere le distanze con largo anticipo da un progetto commemorativo che non è esagerato definire sbagliato, anche solo perché accredita il mito delle cento patrie piuttosto che quello dell’unità, e non l’ha fatto, e ora si trova a dover decidere, in poco tempo e ancor meno soldi, se recitare il de profundis dell’Italia “per consunzione e stanchezza” oppure no.
Non vogliamo cedere alla tentazione di dichiarare una resa preventiva per mancanza non di uomini ma di idee. Di idee su come celebrare degnamente l’unità d’Italia e rinnovare i principi di una memoria condivisa, siamo sicuri, ce ne saranno molte, persino sul tavolo del ministro. Ciò che manca è il segno di un cambiamento necessario e radicale, il cambiamento del punto di vista, un cambiamento di prospettiva. Cambiamenti che a questo punto, possono venire solo dall’alto e che, a questo punto, solo il premier può imporre.
Eppure i segni di qualcosa che cambia stavolta potrebbero esserci, se è vero che dopo la “questione meridionale” anche quella “nazionale” sta arrivando sul tavolo di Berlusconi, tanto da poter essere oggetto di discussione in un prossimo Consiglio dei ministri (qualcuno addirittura parla di domani). E allora, caro Cav, dopo aver onorato il 25 aprile con un abbraccio con i partigiani che aveva in sé tutto il senso della “liberazione”; dopo aver celebrato il nostro Ground zero di fronte ai grandi della terra, in un idem sentire che raccontava tutto di questo paese e dei suoi abitanti; dopo aver simbolicamente parificato chi morì nei lager nazisti a chi perse la vita nelle foibe titine, anche stavolta ci affidiamo a lei.
Perché, senza intenti celebrativi, crediamo che solo lei può salvare quel che resta di una identità dell’Italia che noi non vogliamo far scomparire assieme agli italiani. Solo la sua faccia, il suo impegno, le sue idee e il suo orgoglio ci consentirebbero di recuperare il tempo perduto e l’occasione sprecata. Solo grazie ad una sua iniziativa dall’elevato valore simbolico i 150 anni da quel 17 marzo del 1861 in cui nacque il Regno d’Italia potranno essere degnamente celebrati. E solo così, fatta eccezione per qualche sparuto gruppuscolo di irriducibili secessionisti – appartengano essi alla categoria dei disfattisti o dei giornalisti di Rep.-l’Espresso, poco importa – in quei giorni in cui il passato simbolicamente si proietta nel futuro, il popolo italiano potrebbe ritrovarsi unito a cantar l’inno di Mameli (Bossi compreso).
Caro Cav., non saranno i mondiali di calcio, ma anche questa è una partita, che solo lei può giocare e vincere.

(Da www.loccidentale.it)