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In questo titolo così ampio e denso di contenuti è presente un panorama con il quale mi sono confrontata per 32 anni. Infatti ho avuto il privilegio di poter fare esperienze diversificate nel mondo della scuola. Sono stata una docente, per molti anni, ed in seguito sempre nella scuola pubblica, ho realizzato il servizio psicopedagogico, rivolto agli alunni, agli insegnanti e ai genitori. Contestualmente ho lavorato con adolescenti che manifestavano il disagio “dell’agio” e con minorenni che avevano commesso reati e per i quali si è realizzato un progetto che li reinserisse nella società, scolastica o lavorativa. Queste esperienze mi hanno dato l’ occasione di poter essere oggi qui a portare spero un contributo; che insieme a quello di tutti gli altri che sono qui con me, mi auguro possa rappresentare un passo verso l’attuazione di soluzioni educative realizzabili dalla scuola,dalla famiglia, dai media, tutti chiamati a riflettere sull’emergenza educativa.

La domanda è: cosa possono e devono fare i vari attori deputati all’educazione?

Sicuramente se si vogliono trovare vere soluzioni, non accorrere solo quando accadono eventi eclatanti, ma pensare all’importanza dell’azione educativa, con un’osservazione quotidiana dei ragazzi, per poter poi leggere nel modo giusto e non fuorviato “dal caso” i loro comportamenti, i loro bisogni e le loro difficoltà.

Lavorare con le famiglie attraverso lo sportello di ascolto che ho avuto per anni, mi permette di poter dire che l’elemento che colpisce di più è sicuramente la difficoltà che i genitori incontrano ad educare.

Le famiglie di oggi sembrano trovare enorme difficoltà a concepire contenuti e valori da trasmettere ai propri figli. Sembrerebbe che non si fidano più delle loro capacità educative. Non accettano più la fatica e l’impegno che comporta la relazione con i propri figli. Manca la voglia di educare, progettare, pensare, che rovescia i luoghi comuni e incita al coraggio di trovare nuove idee.

Impegno complesso, difficile ,ma sicuramente affascinante. Sembra che non vogliano o non siano più in grado di compiere quel percorso che fino a pochi anni fa sembrava essere implicito nell’essere genitore. Percorso, nel quale era prevista la ricerca, l’amore, l’ascolto, l’attenzione e la cura che erano imprescindibili dalla relazione con i figli.

Le famiglie di oggi aspettano di sapere da esperti, o dalle diverse agenzie educative come regolarsi con i propri figli. Oscillano tra essere amici e complici permissivi, impauriti di perdere l’affetto dei figli; a divenire manager che progettano attraverso mille attività il futuro per loro , realizzando le loro ambizioni attraverso i figli. In entrambi i casi rischiano di non guardare il figlio reale,ma si riferiscono ad un figlio immaginato. Tra autorità e permissività; non riescono a trovare l’autorevolezza che permette ai ragazzi di crescere in una relazione significativa che li contenga e li faccia sentire sicuri.

Se i ragazzi sono sorretti da genitori che resistono alle loro sperimentazioni, concordate mediate e contrattate in un clima di rispetto reciproco ,sperimentano una crescita armonica densa di contenuti e valori che li educano alla consapevolezza e alla scelta, elementi essenziali per ritenersi individui autonomi e liberi. Questo prevede fatica, impegno, ma soprattutto, assunzione di responsabilità e trasmissione di valori; ed oggi i genitori non sono in grado di rispondere positivamente a questi compiti. Per incuria? Per mancanza di tempo? Per paura? Per mancanza di valori? Perché non tollerano la frustrazione che deriva dall’impegno e dalla responsabilità? Per fragilità? Forse tutti questi aspetti insieme.

Queste risposte mancate determinano spesso la solitudine e il disimpegno morale dei nostri ragazzi. Si sentono controllati e ossessionati dai loro genitori, ma contestualmente soli e abbandonati. Sembra un paradosso ma è la realtà di molti giovani di oggi. Controllati da un esagerato accudimento che non li fa crescere e li rende dipendenti, nella condivisione affettiva culturale e morale sono invece soli. I loro referenti sono nei casi migliori gli amici reali, per molti altri purtroppo gli amici virtuali. Ragazzi soli, privi di guida,per i quali i genitori, non sono riusciti a trovare un tempo educativo, un’ azione di qualità. Per crescere c’è bisogno della guida dell’adulto.

In questo momento culturale e sociale sembrerebbe che non solo la famiglia sia carente e non si faccia carico dell’educazione dei ragazzi, ma che lo sia anche la scuola. Carente di figure carismatiche, significative che si prendano la responsabilità e che abbiano la passione e il desiderio di fare da guida ai ragazzi. Gli insegnanti dovrebbero essere capaci di stabilire relazioni autentiche nelle quali veicolare innanzitutto il piacere di apprendere, la motivazione a studiare,la curiosità di scoprire saperi nuovi. Questi apprendimenti dovrebbero comprendere tutte le discipline insegnate a scuola, ma anche le abilità relazionali, affettive ed emotive che insegneranno poi ai ragazzi a saper vivere. Saperi e abilità prosociali se mancano, tolgono ai ragazzi la possibilità di avere autostima e di trovare un posto nel mondo facilitando l’emarginazione e il disagio. Per poter far fronte a questi vuoti educativi l’appello deve essere rivolto a tutti: genitori, poiché è li che inizia il viaggio dei nostri ragazzi. Scuola, luogo preziosissimo per favorire la crescita attraverso la condivisioni di saperi cogniti ed emotivi, la costruzione di regole condivise, la conoscenza del limite accettato dai ragazzi solo se compreso come funzionale ad una vita migliore. Ma anche media, internet, tutti sono chiamati, a colmare questo vuoto e a cambiare la rotta del cattivo esempio.

L’esempio è fondamentale, i ragazzi imparano quello che vivono, quello che vedono. Dunque è impossibile oggi non ritenersi responsabili delle immagini, delle notizie e dei comportamenti che i ragazzi vedono. Quindi,giornalisti,politici,insegnanti,educatori, tutti devono riflettere sul messaggio che mandano. E’chiaro che educare oggi e’ più complesso, poiché ci sono più attori in campo, e ciò implica a volte molta incoerenza.

Sicuramente c’è anche da parte dei ragazzi una esplicita volontà a non farsi educare. La loro maggiore competenza derivante da una informazione esasperata li fa essere cognitivamente più avanti, anche se è maggiore l’analfabetismo emotivo. Forse anche per questo i ragazzi sono più irraggiungibili non si lasciano prendere rifiutano di farsi educare chiusi dietro corazze di cinismo che hanno costruito lentamente nel tempo, cercano input solo tra pari.

Dobbiamo raggiungere questi ragazzi. Fare uno sforzo, metterci in gioco; cambiando tutto ciò che non ha funzionato. Creando per loro veri spazi educativi con contenuti condivisi. Si deve creare un’alleanza tra scuola e famiglia, e tutte le altre agenzie educative, riconoscendo all’educazione un ruolo decisivo. Non si può solo lasciar crescere come si è fatto ultimamente. I ragazzi hanno bisogno di avere dei maestri che li affianchino, che li aiutino a capire chi sono, che gli stiano vicino con la loro forza insegnandogli che la vita non è una linea retta dove sperare di non incontrare intoppi, ma che la vita contempla salite , cadute ed anche la morte. Dare un senso alla loro noia, fargli ritrovare una progettualità, significa innanzitutto averla dentro di sé, ritrovare insieme a loro il piacere della crescita e della costruzione. Fargli scoprire il piacere di una crescita individuale e il piacere della condivisione nel gruppo.

Renderli partecipi, nel processo educativo,significa pensare azioni concrete che determinino una didattica che accompagni alla teoria l’esperienza. Una didattica che sappia rispondere a tutti gli alunni e non come accade spesso nelle nostre scuole dove si teorizza una didattica anonima uguale per tutti e per un alunno che in realtà non esiste. In tal modo nessuno è considerato e riconosciuto nella sua specificità e quindi non è aiutato a crescere nel rispetto delle proprie possibilità e potenzialità.

Responsabilizzare e coinvolgere i ragazzi nel processo educativo significa, nella scuola, essere capaci di saper leggere i loro bisogni, le loro competenze pregresse, la loro storia; solo così si può progettare per loro una didattica coinvolgente ,non astratta che li entusiasmi e li interessi. Questi stessi ragazzi quando saranno nella secondaria superiore potranno essere coinvolti maggiormente nella costruzione dei loro percorsi educativi poiché si è visto che se la scuola promuove un’azione educativa efficace, guida i ragazzi verso l’autonomia e la consapevolezza. Più saranno in grado di leggere le loro competenze disciplinari e socio affettive,più riusciranno ad essere generazione che può distinguersi e separarsi da quella dei propri insegnanti e genitori. Solo se li educhiamo permettiamo ai ragazzi di poter essere liberi e di affrancarsi dalla generazione che li precede. Poter attingere al passato per progettare il futuro dipende anche dalle indicazioni che si sono sapute dare.

La mia esperienza mi ha fatto vedere che se si realizzano rapporti e progetti con questo approccio e questa prospettiva i ragazzi si lasciano coinvolgere. Bisogna però avere la voglia e la capacità di incontrarli in un nuovo rapporto educativo; che veda educatore ed educando interagire in un percorso nel quale l’individuo si dispiega e mette in luce tutto ciò che è in lui. Nella mia esperienza scolastica, quando abbiamo attuato un ascolto attento, una relazione affettiva e significativa nei contenuti culturali ed emotivi, la risposta c’è stata sempre. Potrei dire che invece a volte non c’è stata a parità di lavoro, né con gli insegnanti, né con i genitori. Per gli adulti, è molto più difficile operare un cambiamento. Pertanto è fondamentale dare molto spazio alla formazione degli insegnanti, considerando che non è un lavoro che possono fare tutti. Oltre alle competenze disciplinari e relazionali, che non possono essere considerate scontate,ma devono e possono essere anch’esse acquisite, deve esserci, per fare gli insegnanti, una passione, una predisposizione.

E’ importante lavorare nella scuola anche con i genitori, coinvolgerli e condividere con loro un’alleanza educativa, che si espliciti in regole comportamentali, valori e contenuti disciplinari considerati da entrambe le agenzie educative importanti. Infatti è fondamentale non dare ai ragazzi indicazioni contraddittorie. Solo in questo modo si può recuperare la forza nel messaggio educativo che può contrastare messaggi nichilisti e violenti. E’ importante che sia la scuola che la famiglia diano ai ragazzi gli stessi messaggi per combattere in modo più efficace la violenza, la passività, il disimpegno morale. Penso che ognuno di noi deve sentirsi chiamato in questa emergenza educativa ad accettare il rischio e la responsabilità che comporta l’educare, senza lasciarsi spaventare.

(Conferenza nazionale sull’infanzia e l’adolescenza. “Il futuro dei bambini è nel presente”)