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Francamente non se ne può proprio più. Forse perché – per motivi anche solo generazionali – ci sentiamo lontani da una lettura a dir poco datata di come oggi si costituisce il panorama culturale italiano. O forse, ancor di più, perché – sentendoci parte in causa per l’impegno quotidiano che attraverso questo giornale e la Fondazione Magna Carta profondiamo per la causa culturale di una parte politica – ci ribelliamo naturalmente alle critiche, soprattutto se ritenute senza fondamento. Sarà per tutto questo e molto altro ma di fronte all’ennesima ricostruzione sulla destra che non c’è, che vince le elezioni ma non ha più identità perché frana sul terreno culturale proprio non ci stiamo.

Tutto parte da un articolo di “Cultura” del Corriere di oggi che titola a tutta pagina “L’Eclissi della destra che vince ma non ha più identità” a firma Ranieri Polese, in cui, tra l’altro si legge dell’allergia di Berlusconi e dei suoi per la cultura. “Perfino Bush – racconta Pierluigi Battista intervistato dal suo stesso giornale – che certo non ha fama di grande lettore, ascoltava attentamente i consigli degli intellettuali neocon. Con Berlusconi, invece, Colletti, Baget Bozzo, Fisichella, Pera non hanno mai contato niente. E se oggi uno guarda al professor Quagliariello, resta allibito di fronte alla metamorfosi che ha subito”. Quanto alla destra a destra del Cav., si legge ancora: “Da quando sono usciti dalle catacombe, i destri dell’ex Msi sembrano un po’ come i vampiri alla luce del sole”. Qual è il prodotto di tutto questo? Che dopo quindici anni, da quando sono usciti dal recinto, ai “ragazzi” della destra non è rimasto che riproporre autori maledetti o rincorrere una cultura di massa in cerca di attori, cantanti scelti come simboli o esercitarsi nella logica della lottizzazione della scelta di programmi televisivi. Il solito refrain, insomma, sulla destra che esce dal ghetto e non è in grado di mostrare una propria identità.

Eppure questa ricostruzione difetta per miopia e pregiudizio. Perché ignora a prescindere l’esistenza di tutto un altro universo, a cui noi ci sentiamo di appartenere, che sul piano culturale racconta sempre di più di se stesso. Lo stesso universo che ha permesso ai Colletti ai Baget Bozzo ai Pera di esserci, di partecipare dagli scranni più alti delle istituzioni e del partito al dibattito pubblico di questo paese. La stessa cultura da cui proviene e in cui si riconosce Quagliariello, che ha certo subito una metamorfosi – è sotto gli occhi di tutti – ma una metamorfosi naturale quando si passa da una cattedra universitaria ad un ruolo politico.

La destra a cui ci sentiamo di appartenere esiste e ha un’identità: è una destra che si sta lentamente insediando nelle cattedre universitarie, che anima fondazioni e case editrici, che propone continuamente, organizzando convegni, seminari, dibattiti e discussioni un suo modello culturale alternativo su temi fondamentali, che tiene alta e con orgoglio la bandiera del pensiero liberale e conservatore, che non si nasconde dietro il paravento dello stato di minorità a cui per anni l’ha costretta l’egemonia culturale di sinistra, scimmiottando quella stessa sinistra su un terreno che oramai è diventato infruttuoso.

Insomma, ci sta stretta l’idea che un reportage giornalistico venga a dire proprio a noi che cos’è l’identità culturale della destra, riducendo la cultura di destra ad uno sparuto gruppo di intellettuali che gira attorno al presidente della Camera. Anche perché, a volerla dire proprio tutta, se fosse per Fini e per i suoi intellettuali non solo non ci sarebbe l’identità culturale ma non ci sarebbe neanche la vittoria in politica.

 

l’Occidentale

2 Febbraio 2010