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A L’Aquila gli otto Grandi hanno raggiunto un’intesa per la riduzione delle emissioni inquinanti del 50 per cento entro il 2050. Cina e India, i paesi che inquinano maggiormente, pur non accettando degli obiettivi tanto ambiziosi, hanno comunque offerto la propria disponibilità a ridiscutere la questione climatica sulla base di nuove regole. Ne discutiamo con Renato Angelo Ricci, Professore emerito all’Università di Padova, Presidente dell’Associazione Galileo 2001 e tra i più importanti scienziati italiani.

Il premier Berlusconi ha dichiarato che al G8 è stata raggiunta un’intesa sul clima. E’ un buon risultato in vista del prossimo vertice di Copenaghen?

Può essere un buon risultato se l’intesa soddisfa almeno due condizioni preliminari: la prima è che le basi conoscitive da cui emergono decisioni politiche che potrebbero essere inattuabili siano frutto di dati scientifici sufficientemente affidabili (il fallimento, perché di vero fallimento si tratta, del Protocollo di Kyoto, insegna). Ma non mi pare che in tema di mutazioni climatiche e, ancor di più, sull’effettivo impatto delle attività antropiche, vi sia consenso unanime delle comunità scientifiche. Indipendentemente dalle cause in questione, l’evoluzione di un sistema complesso come il clima terrestre è non solo difficile da analizzare ma può comportare eventi e modalità sulle quali l’uomo, qualsiasi decisione esso prenda, potrebbe fare ben poco.

L’altra condizione?

Che le valutazioni e gli obbiettivi siano proporzionati a tali conoscenze e tengano realisticamente conto dei costi e dei benefici di quanto si vuole e di quanto si potrà ottenenere.

Uno degli obiettivi è di non far salire la temperatura del pianeta di più di 2 gradi centigradi

Mi pare un obiettivo presuntuoso, come se tale aumento dipendesse da un solo parametro regolabile dall’uomo. Credo invece che andrebbe studiato più umilmente quanto e come si possa ridurre al minimo gli impatti nocivi con una intelligente, oculata, realistica politica energetica, industriale, agricola  (ad esempio l’inquinamento atmosferico che è cosa diversa dall’effetto serra) senza pregiudicare lo sviluppo sociale e tecnologico delle società umane.

E’ scettico sui piani per l’ambiente attuali?

Certi numeri e certi obbiettivi (20-20-20, 20,30, 50 e perfino 80 per cento in meno di emissioni di gas serra, che poi nel linguaggio corrente si riducono alla CO2, gas del resto utile e non inquinante) assomigliano a certe cifre da “Piani Quinquennali” di un certo sistema politico-dittatoriale condannato dalla storia. E c’è chi garantisce non solo la loro realizzazione ma, soprattutto, che la temperatura del pianeta non crescerà di più di 2 gradi centigradi, o come dice qualche “inviato speciale” si abbasserà (sic!) di 2 gradi.

Che alternativa c’è?

Non si tratta di sposare ciò che non è ancora al livello di serio fidanzamento. Classe politica e comunità scientifiche dovrebbero più umilmente trovare un modo di colloquiare più consono alle parti di fronte ad un problema così complesso senza pretendere da una parte risultati che confortino a priori tesi ed esigenze di tipo politico e presumere dall’altra di fornire conoscenze ancora da analizzare e verificare con maggior grado di affidabilità e semmai richiedere mezzi e strutture di ricerca più adeguati allo scopo.

Quindi?

Più ricerca insomma, più studi approfonditi, più confronti di dati e osservazioni e meno illazioni e declamazioni altisonanti. Affermazioni come: “La temperatura media del mondo non dovrà aumentare più di 2 gradi centigradi” sono prive di senso. Sarebbe come dire “Dobbiamo prevedere i terremoti…”. Ma dal dire al fare…

Ci spieghi meglio

Meglio sarebbe dire più consapevolmente: “Diamoci una regolata. Consumiamo meno combustibili fossili. Miglioriamo le tecnologie energetiche e industriali nei limiti consentiti dalle conoscenze scientifiche e tecniche, numeri e dati alla mano, con calma senza allarmismi e illusioni fuori luogo, procediamo, studiamo e prendiamo decisioni ragionevoli e non demagogiche”. Anche perché ciò che serve, sia pure con difficoltà, emerge e si fa strada. L’esempio concreto è dato dalla ripresa consistente dell’importanza dell’energia nucleare.

Chi sta portando avanti politiche nucleariste?

La Cina, tanto per esemplificare, si avvia alla costruzione di 10 nuove centrali, Obama ha dato luce verde per un nuovo parco di reattori nucleari (10-12) in USA. Europa, Asia, Sudamerica non sono da meno e, finalmente, anche l’Italia sta partendo (è di questi giorni l’approvazione parlamentare del decreto che lo stabilisce). Questi sono atti concreti e lodevoli e va dato atto al nostro Governo di avere imboccato la via giusta.

I leader del G8 vogliono ridurre almeno del 50% le emissioni globali entro il 2050. I paesi più sviluppati sono addirittura pronti a ridurle fino all’80%. Anche queste cifre e questa data le appaiono inverosimili?

La credibilità dipende da quanto già detto. Aggiungerò che non è molto scientifico imporre dei limiti che siano basati non tanto su previsioni ma su “proiezioni” di modelli matematici che, sia pure sofisticati e “autenticati” nella loro costruzione logica, non contengono tutti i parametri necessari a definire l’evoluzione fisico-chimica di un sistema così complesso come il clima terrestre. Il clima non è definito dalla sola temperatura anche se è questo il parametro più usato e popolare. Pertanto fissare obbiettivi quantitativi, per limitare un processo che non è quantificabile se non per certi aspetti parziali ed incompleti, rischia – in caso di impossibilità di ottenere quei limiti – di alterare il rapporto costi/benefici, il che comporterebbe sacrifici inutili ed anche dannosi, oltre a perdita della stessa credibilità.

Cina e India sostengono che gli obiettivi fissati da Usa, Europa e Giappone non sono affidabili. Questa diffidenza verrà superata? Basteranno la promessa di staccare un assegno da 400 milioni di dollari?

E qui casca l’asino. E’ difficile pensare che i cosiddetti paesi emergenti (che del resto, dal punto di vista dell’impatto sul sistema globale, sono in realtà già emersi), veri e propri “Convitati di pietra” al tavolo delle trattative, possano accettare una consistente politica di riduzione delle emissioni (la Cina) con il pretesto “etico” di non rinunciare al loro sviluppo industriale e tecnologico (quello sociale è discutibile) secondo la massima “Finora hai inquinato tu, ora inquino io”, spalleggiati in questo atteggiamento dai movimenti ambientalisti (che prosperano d’altronde proprio nei paesi industrializzati e democratici).

Quali saranno le conseguenze?

Il far pagare tali richieste, oltre che in moneta sonante anche con la stagnazione dello sviluppo dei paesi industrializzati, implicherebbe regressione e alterazione negli equilibri dei mercati internazionale destabilizzando i rapporti economici con discapito anche degli stessi paesi emergenti. C’è da augurarsi che si trovino accordi più realistici anche se meno “etici”…

Obama ha detto che la difesa dell’ambiente è uno stimolo per l’occupazione nei paesi industrializzati. Quale potrebbe essere il peso di politiche del genere?

L'”Ipse dixit” non esiste nella scienza e non dovrebbe esistere neanche in politica. Chi vivrà vedrà.

 

l’Occidentale
11 Luglio 2009