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l testa a testa in tutte le province sciite tra Nuri al Maliki e Iyyad Allawi, così come la netta affermazione di Maliki a Baghdad, ci consegnano la realtà di un Iraq che ha superato una fase determinante: i partiti confessionali sciiti sono in crisi e vincono invece le formazioni di Maliki e Allawi  che in nome del laicismo hanno abbandonato l’appartenenza confessionale e si sono aperti ai laici e ai sunniti.

Lo Sciri dell’ayatollah al Hakim alleato con il movimento di Moqtada al Sadr continua a perdere terreno – come già fece nelle ultime elezioni amministrative – segno innanzitutto che la presa, il condizionamento degli ayatollah di Teheran (loro riferimento storico) non ha fatto presa in Iraq –a smentita di una delle tante profezie di sventura degli avversari di Bush – e anche che il popolo iracheno ha ormai una concezione della politica e del voto laica, non di appartenenza confessionale.

Interessantissimo è il percorso di questi due leader. Al Maliki appartiene ad una formazione, il Dawa, che è stata vicina al mondo sciita iraniano, ma che si è distinta dal Khomeinismo proprio sul punto centrale della “velayat e faqih”, la concezione teocratica dello stato che assegna al Giureconsulto poteri assoluti. Di fatto, un movimento che anticipa di due decenni le posizioni che oggi sostengono Mussavi e Khatami in Iran. Arrivato al governo dell’Iraq, al Maliki ha consolidato la presa di consenso popolare del suo partito ma ha anche compreso che doveva uscire dalla dimensione confessionale. Ha così sciolto il Dawa in un rassemblement aperto ai sunniti, ai laici e anche ai cristiani, trasformandolo insomma in un moderno partito aconfessionale. A quanto dicono i media arabi, questo coraggioso e innovativo tentativo di nuova formazione politica araba democratica è stato premiato e avrà la maggioranza relativa.

Diverso il percorso di Iyyad Allawi, che è uno sciita assolutamente laico, che fu premier nei primi governi provvisori iracheni (perché appoggiato dal Dipartimento di Stato Usa da anni, già nell’esilio), che ebbe però scarso successo nelle successive elezioni politiche – le prime – e  che ha passato gli ultimi cinque anni a tessere una rete originale. Ha infatti collegato al mondo sciita laico di Baghdad, fatto di piccoli imprenditori e artigiani, quel mondo sunnita che si è trovato coinvolto nella tempesta della fine del baathismo, agganciandolo sia nelle province sunnite, sia curando molto i legami con i paesi arabi sunniti confinanti: Arabia Saudita e Giordania innanzitutto. Il risultato clamoroso di queste due operazioni è che oggi non solo a Baghdad nel suo complesso, ma anche a “Sadr city” la parte sciita della capitale, i partiti confessionali sono in minoranza e si impongono i partiti di al Maliki e Allawi.

Si conferma dunque non solo un rafforzamento – sofferto, lento, ma evidente – di un quadro democratico che ha visto per la prima volta i seggi difesi solo da truppe irachene – nel 2005 erano americane, italiane, ingelsi, ecc… – e gli elettori andare a votare nonostante gli attentati intimidatori, ma anche una evoluzione interna del quadro politico in senso assolutamente positivo.

Naturalmente, per comporre l’esecutivo bisognerà attendere i risultati finali ed è facile profezia ipotizzare un governo di unità nazionale. Ma sarà un governo dal volto nuovo, con una influenza degli elementi confessionali ridottissima e addirittura con la partecipazione probabile di una “terza forza” curda, che ha rotto – però – il tradizionale duopolio tribale di Talabani e Barzani. Insomma, uno straordinario e unico percorso di democrazia, unico, assolutamente unico in un paese arabo. Straordinaria sirena ammaliatrice per gli sciiti iraniani.

l’Occidentale

8 Marzo 2010