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I prossimi giorni saranno decisivi per le sorti del “collegato lavoro”, tornato alle Camere in seguito al messaggio di rinvio del Presidente della Repubblica. Oggi in Aula avrà luogo il voto sulla delimitazione della materia. La maggioranza, in Commissione Lavoro, ha espresso l’opinione, secondo una corretta interpretazione della lettera di Napolitano, che la revisione deve essere limitata ai cinque articoli (20, 30, 31, 32 e 50) oggetto delle osservazioni contenute nel messaggio, mentre le opposizioni hanno chiesto di rimettere in discussione l’intero provvedimento (che è sicuramente complesso e caricato di tanti aspetti non sempre omogenei) benché abbia avuto ben quattro letture nel corso di almeno venti mesi di “navetta” tra le due Camere.

L’Aula dovrà confermare o meno questa delimitazione. Poi verrà il momento della presentazione degli emendamenti in Commissione referente, la predisposizione di un testo di base, la raccolta dei pareri delle Commissioni, il voto finale sul provvedimento e per il conferimento del mandato al relatore, per consentire che il testo approdi in Assemblea il 28 aprile. La sinistra – a corto di argomenti – è intenzionata ad avvalersi del messaggio di rinvio per condurre una dura lotta politica al Governo; la Cgil minaccia di mobilitare la piazza, in difesa dei diritti dei lavoratori, a suo dire “conculcati” dal Governo, in particolare a causa delle norme sulla conciliazione e l’arbitrato.

Ma vediamo con quali argomenti il Presidente ha rinviato il provvedimento alla Camere, sottolineando in particolare le questioni attinenti all’articolo 31 (conciliazione ed arbitrato) e all’articolo 20 (naviglio di Stato). Per quanto attiene all’articolo 31, il messaggio presidenziale, ritenendo apprezzabile un indirizzo normativo teso all’introduzione di strumenti arbitrali (compresi quelli che introducono la possibilità di un giudizio secondo equità) volti a prevenire e accelerare la risoluzione delle controversie, evidenzia tuttavia la necessità di definire, in via legislativa, meccanismi meglio idonei ad accertare l’effettiva volontà compromissoria delle parti, con riguardo al contratto individuale, e a tutelare il lavoratore, soprattutto nella fase di instaurazione del rapporto di lavoro.

Inoltre, il messaggio mette in luce che la possibilità di pervenire a una decisione arbitrale “secondo equità” non può in ogni caso compromettere diritti costituzionalmente garantiti, o comunque indisponibili, di cui è titolare il lavoratore; nel settore del pubblico impiego, tale possibilità va altresì coniugata con il rispetto dei principi costituzionali di buon andamento, trasparenza e imparzialità dell’azione amministrativa. Per quanto riguarda l’articolo 20, il messaggio evidenzia la necessità di una riformulazione della norma volta ad assicurare, escludendo profili di rilevanza penale (in linea con gli adattamenti del resto previsti al riguardo dal testo unico in materia di sicurezza sul lavoro), l’effettiva sussistenza di un autonomo titolo di responsabilità sul quale fondare il diritto al risarcimento per i danni arrecati alla salute dei marinai impiegati sul naviglio di Stato, prevedendo altresì l’istituzione di un apposito fondo che provveda ad assicurare l’effettivo risarcimento.

Infine, il messaggio del Capo dello Stato sottolinea l’opportunità di una riflessione anche su disposizioni in qualche modo connesse a quelle citate – presenti negli articoli 30, 32 e 50 – che riguardano gli stessi giudizi in corso “e che oltretutto rischiano, così come sono formulate, di prestarsi a seri dubbi interpretativi e a potenziali contenziosi”. E’ bene ricordare che l’articolo 74 riconosce al Capo dello Stato un’ampia discrezionalità nel momento della promulgazione di una legge, limitandosi soltanto a chiedere che il rinvio avvenga “con un messaggio motivato”; il medesimo articolo afferma altresì che – se approvata nuovamente dalle Camere – la legge deve essere promulgata.

Un provvedimento di carattere discrezionale è per sua natura un atto “politico”, certamente importante e grave, poiché non è solo la “prima volta” di Napolitano; ma è anche la “prima volta” che un Capo dello Stato entra direttamente nel merito di una legge. Anche il Governo ha espresso un orientamento di carattere politico rivolto ad  accogliere le osservazioni del Quirinale, fino al punto in cui esse non entrano in contraddizione con le politiche del lavoro che l’esecutivo intende portare avanti. Lo stesso Ministro del lavoro e delle politiche sociali, rispondendo ad un’interrogazione della maggioranza lo stesso giorno del rinvio presidenziale, ha enucleato tre punti di riflessione con riferimento ai rilievi di merito e di opportunità sollevati dal Presidente della Repubblica: una più precisa definizione dell’arbitrato di equità; i limiti entro cui ammettere la possibilità per le parti di concordare il rinvio agli arbitri di futuri contenziosi all’atto dell’assunzione; lo spazio di intervento sostitutivo del Ministro in caso di mancato accordo tra le parti sociali.

Al riguardo, lo stesso Ministro ha ribadito, in primo luogo, che l’arbitrato di equità si realizza nel rispetto dei principi generali dell’ordinamento, che per il Governo già includevano i principi regolatori della materia del lavoro come richiesto dal messaggio e che come tali, quindi, possono essere ulteriormente esplicitati. Inoltre, si rileva che il Governo ha confermato la propria fiducia verso la contrattazione collettiva, cui la legge assegna il compito di far entrare in vigore l’arbitrato coniugando le ragioni dei lavoratori e delle imprese, in modo che la scelta delle parti sia sempre libera e responsabile. In considerazione di ciò, si è prospettata l’eventualità di recepire nella legge i contenuti della citata dichiarazione comune dello scorso 11 marzo.

Infine, il ministro ha voluto ribadire che il Governo mantiene la fiducia nei confronti di un sistema sussidiario libero e pluralistico di contrattazione collettiva, che potrebbe diventare anche formalmente la sede esclusiva di regolamentazione delle clausole compromissorie, lasciando al Ministro del lavoro il solo compito di convocare le parti. E di intervenire soltanto dopo aver verificato una perdurante inerzia del negoziato.

Alla luce dei rilievi del Capo dello Stato e delle dichiarazioni del Governo,  tenendo presente la loro sostanziale convergenza, sarebbe possibile trovare adeguate soluzioni che, senza snaturare il progetto nel suo insieme, possano chiarire taluni aspetti e migliorare le norme. Per realizzare tale obiettivo si dovrà mettere a punto un sistema più compiuto di garanzie onde assicurare che il lavoratore accetti di sottoscrivere la clausola compromissoria al momento dell’assunzione in una condizione di effettiva volontarietà.

E’ sorprendente, invece, il tipo di dibattito che il Pd ha sviluppato in sede di Commissione Lavoro. Per loro l’arbitrato è comunque una forma di giustizia malata, di rango inferiore, sostanzialmente truffaldina. Non importa che la facoltà di devolvere le controversie ad un arbitro, che decide secondo equità, sia riconosciuta soltanto se prevista da un accordo interconfederale o dalla contrattazione collettiva. Che la sottoscrizione della clausola compromissoria individuale possa avvenire soltanto mediante la sua certificazione presso una commissione di certificazione che ha il dovere di accertare l’effettiva volontà delle parti. Che in sede di assunzione non sarà possibile impegnarsi a devolvere ad arbitri controversie riguardanti la risoluzione del rapporto di lavoro. Altre garanzie saranno aggiunte in occasione della nuova deliberazione.

Tutto ciò non conta. Per la sinistra questa rete di tutele è assolutamente insufficiente. Solo il giudice togato è in grado di “fare giustizia”, anche se magari impiega alcuni anni per decidere. Lo stesso discorso vale per la Cgil, la cui posizione condiziona parecchio il Pd alla Camera. In proposito, viene alla mente una vecchia battuta di Groucho Marx, rilanciata da Woody Allen: “Non mi iscriverei mai ad un club che accettasse tra i suoi soci persone come me”. Quale fiducia può dare un sindacato che non si fida neppure di se stesso quando si tratta di difendere i lavoratori?

l’Occidentale