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Desta perplessità lo schema di provvedimento adottato dall’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, relativamente all’aumento delle tariffe dei servizi all’ingrosso di unbundling, bitstream e wholesale line rental (WLR), ossia il prezzo che gli operatori alternativi devono pagare a Telecom Italia per collegarsi alla sua rete. In particolare, in base al provvedimento Agcom, il canone attuale pari a 8,49 euro/mese (aumentato nel 2009 dell’11% rispetto al prezzo 2008 di 7,64 euro mese) passerà nel 2010 a 8,70 euro/mese, mentre per gli anni successivi (2011 e 2012) si è deciso di applicare tariffe rispettivamente di 9,14 e 9,48 euro/mese anziché 9,26 e 9,67 euro al mese. Il canone del servizio WLR al 2012 sarà di 13,16 euro/mese, anziché 13,43, registrando quindi un incremento più contenuto di quanto sottoposto a consultazione pubblica, mentre per i servizi bitstream è prevista una riduzione lungo il triennio superiore all’1% l’anno.

Il provvedimento ha acceso il dibattito e suscitato le proteste degli operatori alternativi, anche in considerazione del fatto che il mercato delle telecomunicazioni italiano è uno dei più competitivi del mondo. Questo è vero in assoluto per quanto riguarda la telefonia mobile ma affonda profonde radici anche nel fisso grazie all’unbundling, dove l’Italia è il secondo Paese in Europa per numero di linee attive e ha avuto per molti anni, a partire dal 2002, il prezzo più conveniente che ha consentito lo sviluppo e la progettabilità degli operatori alternativi. Infatti il tema dell’unbundling rappresenta un elemento decisivo per il consolidamento della concorrenza in Italia. In particolare in quest’ultimo mese si sono susseguite infinite dichiarazioni, smentite e controsmentite tra AGCOM e operatori alternativi che hanno evidenziato come la media non sia una reale media in quanto fatta solo su 17 Paesi d’Europa e non su tutti e 27 (escludendo, di fatto, molti dei più bassi tra cui il Belgio ed includendo Svizzera e Norvegia Paesi non membri della UE ma che utilizzano quel modello di “linea ull” venduta che non può essere presa però a riferimento di media per gli investimenti che gli operatori dovranno sostenere).

Siamo davanti a una vera e propria guerra di cifre: secondo gli OLO (Other Licensed Operators), l’aumento dei costi dei servizi all’ingrosso genererà una maggiorazione pari a 1,1 miliardi di euro, mentre per l’Agcom è di 70 milioni di euro. Oltre 1 miliardo di euro di costi aggiuntivi per i servizi all’ingrosso fino al 2015. Tanto costerà agli operatori alternativi l’aumento dei costi dei servizi. Gli OLO hanno calcolato in 1,1 miliardi di euro la maggiorazione dei costi legata a questa decisione. Soldi che entreranno nelle casse dell’operatore dominante che, a questo punto, vedendo aumentare la profittabilità della rete in rame potrebbe anche allentare la presa sullo sviluppo dell’NGN (Next Generation Network). Al contrario l’Agcom stima il costo complessivo della manovra intorno ai 70 milioni di euro; in particolare, per il 2010 l’intero mercato sosterrà un costo aggiuntivo di 3,5 milioni di euro, mentre complessivamente, laddove gli aumenti per il 2011 e 2012 dovessero essere riconosciuti a Telecom Italia in virtù del miglioramento della qualità della rete, la manovra peserà complessivamente in tre anni circa 70 milioni di euro. Viene da chiedersi, in un periodo di crisi economica-finanziaria come quello che stiamo vivendo, chi sarà a pagare? Gli OLO? Telecom Italia? La concorrenza? Lo sviluppo della tecnologia? Oppure i consumatori?