Se ci tenete all’ambiente il vostro colore simbolico non dovrebbe essere il verde ma il blu. Per prima cosa, oltre due terzi della superficie terrestre è blu e questo rappresenta una delle maggiori sfide ambientaliste: nonostante tutta quell’acqua, oltre un miliardo di persone non ne hanno di pulita da bere. Inoltre, il blu ha un significato politico. Dove la gente è povera, le condizioni ambientali tendono ad essere pessime; il Ventunesimo secolo ha provato che il miglior modo di mettere fine alla povertà non era il rosso – il colore del socialismo – ma il blu, il colore della libertà, dell’iniziativa personale e dell’impresa.
“L’Ambientalismo Blu” è la via che dovremmo seguire guardando al sensazionale successo del movimento ambientalista negli ultimi 30 anni. Dovremmo iniziare dal sincero riconoscimento di questi successi. La visione retorica di certi ambientalisti, infatti, ha funzionato come il paraocchi di un cavallo da soma: li ha prevenuti dal guardarsi intorno spingendoli a guardare solo in avanti. Così il risultato è stato quello di non incoraggiare la gente a guardarsi indietro per vedere quanti progressi erano stati fatti nel migliorare l’ambiente nel Ventesimo secolo e specialmente dopo il primo “Earth Day” nel 1970.
Alcuni dei più importanti cambiamenti nell’ambiente umano, infatti, vengono di rado inseriti fra le cosiddette “questioni ambientali”. Per esempio (1) il progresso nell’igiene, che all’inizio del Ventesimo secolo portò al “sanitation movement” (il termine inglese sanitation descrive il complesso di soluzioni per la raccolta e il trattamento degli scarichi, dalle nostre case al depuratore); (2) l’ingresso dell’automobile che ha rimpiazzato il cavallo e rimosso gli escrementi di 3.4 milioni di cavalli dalle strade urbane; e (3) l’avvento del gas naturale e della elettricità che hanno rimpiazzato i vecchi metodi di bruciare la legna e il combustibile fossile in migliaia di stufe e camini nelle sovraffollate abitazioni urbane.
Questi progressi hanno dato vita a un’America immensamente pià pulita. Basta considerare, per esempio, la saga del cavallo americano. Nel 1900 negli Stati Uniti c’erano 20.4 milioni di cavalli; questi animali avevano una capacità di trasporto combinata che equivaleva a tre quarti della capacità di trasporto di tutti le ferrovie statunitensi. Ma c’erano dei problemi: i cavalli, in media, richiedevano circa quasi 18 kg di cibo al giorno, o 5 tonnellate l’anno; per far crescere quel cibo ci volevano circa il 25% degli appezzamenti di terra degli Usa, o 37.6 milioni di ettari; ogni cavallo produceva circa 5443 kg di concime e 1514 litri di urina per anno – che risultano particolarmente tossiche nelle aree metropolitane ad alta densità di popolazione. La rivoluzione tecnologia che ha portato dal cavallo all’automobile è stata una grande benedizione per la salute pubblica ed ha permesso di recuperare 36.4 milioni di ettari di buona terra a scopo produttivo.
In America, durante lo scorso secolo, circa 202.34 milioni di ettari sono stati riconvertiti in terreni boschivi. Sorvolando il New England nel tratto tra Albany e Boston, ci accorgiamo che è coperto da un manto di foreste come se fossimo nel XVII secolo. Un biologo specializzato in animali selvatici dello Stato di New York ha detto “Molti americani dell’Est non si rendono conto di vivere in una grande foresta”. Le specie di animali selvatici che una volta venivano considerate in via d’estinzione ora prosperano. I cervi sono aumentati di 20 milioni, più che ai tempi di George Washington; gli orsi bruni sono 150.000 e gli alci oltre 700.000. In breve, la fauna è rigogliosa come mai prima d’ora ed anche in quelle parti del Paese che generalmente vengono considerate le più urbanizzate e densamente popolate.
Non dovremmo neppure ignorare l’immenso effetto positivo che i movimenti ambientalisti hanno avuto dal 1970. La legislazione per l’“aria pulita” divenne effettiva nel 1955 ed è stata modificata parecchie volte dal 1976 sino al 1999, d’altra parte nessun politico è mai stato favorevole all’aria inquinata. In un lasso di tempo di appena 23 anni, i valori dei sei tipi d’inquinamento dell’aria banditi e strettamente monitorati dall’Agenzia per la Protezione dell’Ambiente (EPA) sono stati considerevolmente abbassati. L’inquinamento da piombo, per esempio, è sceso del 97%, il biossido di zolfo del 65%; il monossido di carbonio del 68%. L’Istituto di Ricerca del Pacifico ha raccolto altri dati dall’ EPA riguardo la qualità dell’aria e i livelli chimico-tossici che esemplificano tale progresso.
Tutto questo sembra sorprendente, perché viene raramente riportato dalla stampa. Ovviamente neppure gli ambientalisti “apocalittici” lo ricordano mai e s’infastidiscono se altri lo fanno. Incoraggiati da questa valutazione realistica sul progresso che abbiamo raggiunto, dovremmo passare ad affrontare delle tematiche specifiche come quella che ho menzionato all’inizio: l’acqua potabile pulita. Ci sono 1.1 miliardi di persone nel mondo che non ce l’hanno. Aiutare questa gente non è un’iniziativa astratta come quella di prevenire il “riscaldamento globale”, è un compito serio e urgente.
Questo problema affligge i continenti più poveri della Terra. In nord America, il 100% della popolazione può usare acqua potabile; in Europa il 96%. Mentre in Africa, solo il 62% della popolazione può permetterselo. In Asia l’81%; ma dato che è il continente più popoloso, ha il numero maggiore di persone colpite dalla carenza d’acqua, circa 700 milioni. Tra il 1990 ed il 2000 però sono stati fatti dei progressi significativi in materia. Nonostante la popolazione mondiale sia cresciuta di quasi 800 milioni di persone nell’arco del decennio, in Asia e Africa la percentuale di gente che ha avuto accesso all’acqua pulita ha fatto un salto di 5 punti percentuali. In realtà, 816 milioni di persone in tutto il mondo hanno acquisito un accesso all’acqua durante questo breve periodo (circa 224.000 persone al giorno per 10 anni).
L’Africa dovrebbe essere ad alta priorità. Data la peculiare ed estrema variabilità di risorse e riserve d’acqua interna a questo continente, il suo sistema idrico dovrebbe essere tra i migliori progettati al mondo; invece, è il più trascurato del mondo. Il costante ciclo di guerre civili, la cattiva amministrazione causata da governi fragili e corrotti, la malagestione delle risorse, hanno finito per penalizzare i popoli dell’Africa in maniera incisiva. Questo deficit politico impedisce all’Africa di godere del progresso economico che invece caratterizza la gran parte del resto del mondo – specialmente l’Asia, che non molto tempo fa era anche più povera dell’Africa, ma attualmente ha preso il volo sorpassando quest’ultima.
I tentativi per dare all’Africa le risorse idriche necessarie non presentano alcuna difficoltà tecnica che non si stata superata in altri continenti. Ma gli ostacoli politici, culturali e economici sono più gravi che altrove. In complesso l’Africa si è abituata alle sovvenzioni e ad avere acqua senza costi; nessuno è obbligato a pagare per ottenerla – né gli agricoltori il cui inquinamento agricolo incide sulle acque a valle, né le industrie inquinanti, né le città e i villaggi che riversano rifiuti non depurati nelle riserve acquifere. Non ci sono incentivi per la salvaguardia dell’acqua pulita. L’acqua è trattata troppo spesso in maniera irresponsabile.
C’è bisogno di politiche che impongano costi e incentivi per incoraggiare un uso più responsabile dell’acqua. Per esempio, se ai cittadini di certe regioni venissero dati dei coupons in grado di garantirgli una adeguata quantità di acqua gratis all’anno, che dovrebbe essere pagata con somme modeste in caso di uso addizionale, per la prima volta avremmo un incentivo nell’usare l’acqua in maniera responsabile – altrimenti costerebbe di più. Con lo stesso criterio, i costi sarebbero imposti a coloro che inquinano, siano essi industrie, governi o famiglie, in proporzione allo scarico di materiali non depurati nelle riserve d’acqua. Dovrebbero anche essere offerti dei premi finanziari o di altro tipo per ogni ente che costruisce e cura la manutenzione delle attrezzature per il trattamento dei liquidi.
In Asia il problema dell’acqua interessa principalmente la Cina. La scarsità di questo bene è diventata estrema e il peggio deve ancora venire; le strutture governative del Paese non sono equipaggiate per affrontare la questione. Ma la Cina sta crescendo rapidamente e ha un grande talento tecnico, per cui possiamo contare sui cinesi per risolvere la loro crisi d’acqua. (Ovviamente gli daremo qualsiasi aiuto e consiglio che richiederanno.)
Portare l’acqua a tutte le persone nel mondo richiede immaginazione ed iniziativa, capitale e alte capacità d’impresa. Le istituzioni che appaiono maggiormente pronte ad offire questi requisiti appartengono al settore del “corporate business”. In alcuni luoghi, i servizi pubblici potrebbero essere i migliori fornitori di acqua, se contemporaneamente riuscissero ad essere efficienti e ad evitare la corruzione; in altri la soluzione migliore saranno i privati; in altri casi ancora le società miste pubblico-privato. In tutti i casi, l’Ambientalismo Blu incoraggia una visione quanto mai pratica e che incoraggi l’imprenditoria privata.
Questo principio non si applica solo al tema dell’acqua pulita; è una lezione che attraversa tutta la gamma dei temi legati all’ambiente. L’Ambientalismo Blu, infatti, è basato sulla cruciale visione che la natura dev’essere intesa per l’uomo, non il contrario. Gli uomini sono dotati della libertà per essere previdenti rispetto al loro destino. Una maniera per esercitare tale tutela è prendersi cura del proprio habitat, non di inquinarlo. Henry Adams si accorse che la scienza e la tecnologia era la “dinamo” mascolina del nostro progresso – ma intuì che questo progresso ha bisogno di essere bilanciato da una “educazione femminile” della natura, che Adam ha rappresentato simbolicamente nella figura della “Vergine”.
Attualmente, in Occidente è in corso una battaglia per definire meglio quale sia il senso simbolico della Vergine. Le montagne incorrotte, le cascate, i laghi, le foreste e i fiumi incontaminati vengono percepite, di per se stesse, come un surrogato della Vergine. La Natura viene elevata a qualcosa di sublime, un ordine più puro di altri che suona come un rimprovero a quello determinato dall’uomo. Il fatto che la natura abbia esercitato per la maggior parte della Storia un crudele e fatale dominio sull’umanità viene trascurato. La Natura viene vista semplicemente come qualcosa di munifico ma questo è semplicemente poco plausibile. Ecco quindi qual è il grande psicodramma messo in scena dal movimento ambientalista moderno. Una mitizzazione che ha coinvolto elementi simbolici di grande impatto. Ma tutti coloro che scelgono di procedere con un senso critico integro nello studio di queste questioni, devono pagare un duro prezzo rispetto alla realtà delle cose: i temi sottostanti alla questione ambientale non sono solo politici, ma rientrano anche in quelle visioni di tipo messianico che chiamano in gioco concetti come la purezza, la bontà e l’educazione.
Il primo principio guida dall’Ambientalismo Blu, al contrario, deve essere il realismo. Questo significa che dobbiamo guardare con crudezza ai trend ambientali, nel modo più accurato, non politicizzato e indipendente possibile, promuovendo lo sviluppo di metodi avanzati per affrontare le diverse questioni. Alla deificazione pagana della natura dobbiamo rispondere creando dei “gruppi di azione” che promuovano veramente un ambientalismo prospero, verificando i risultati raggiunti entro limiti definiti di tempo.
Il secondo principio guida deve essere la libertà. Mentre alcuni ambientalisti del passato preferivano criticare e punire, l’Ambientalismo Blu dovrebbe scegliere un metodo di azione che si è sempre rivelato migliore: creare dei mercati in cui sia gli incentivi positivi sia quelli negativi funzionino bene, nell’interesse tanto dell’ambiente quanto dei cittadini. Quando gli essere umani vengono messi nella condizione di scegliere liberamente, di solito calcolano con attenzione i costi e i benefici delle loro azioni, per non soffrirne le conseguenze. Pertanto tali costi e benefici dovrebbero analizzati e seguiti con cura, per promuovere il bene comune e nel rispetto della libertà di scelta. Aiutando a promuovere il bene comune, infatti, a trarne un beneficio diretto sono i cittadini. Per esempio, gli incentivi pagati a chi possiede casa per migliorare l’efficienza energetica sono un modo per influenzare positivamente la spesa energetica affrontata dall’intera comunità, ed allo stesso tempo riducono i costi annuali per i singoli proprietari di casa. I buoni risultati si ottengono quando il bene personale si sovrappone con quello comune; le politiche dovrebbero mirare in ogni caso a tale risultato.
Il terzo ed ultimo principio guida è quello di risollevare le persone che versano in una condizione di povertà. Il peggior inquinamento del mondo è nei Paesi poveri; si genera per via dei metodi primitivi di riscaldamento e raffreddamento usati in quei luoghi del mondo, per colpa di sistemi sanitari inadeguati ed altre cause esplicitamente connesse alla povertà. Nell’Agosto del 2002 una enorme nuvola marrone si è accumulata sopra l’Asia – il risultato, dicono gli esperti, di un’inversione dell’aria alimentata dai fumi delle torba, della legna da ardere e di altri materiali primitivi in milioni di case e cucine. La deforestazione e desertificazione sono altre conseguenze della dipendenza di metodi tradizionali di riscaldamento. Tutto questo dovrebbe fare della povertà una questione cardine dell’ambientalismo.
La nostra più profonda motivazione sta nel cercare di aiutare i poveri a guadagnarsi un maggiore benessere, sta nella loro liberazione, nell’avere una vita degna – in modo che tutti diventino ciò che Dio gli ha dato la possibilità di essere in potenza. L’Ambientalismo Blu è la strada migliore per aiutare i poveri dei continenti afflitti a rialzarsi dalla condizione di povertà, così com’è avvenuto a meraviglia in India e Cina durante gli ultimi 20 anni. Si tratta quindi di riconoscere qual è la relazione più precisa fra il concetto di proprietà privata ed il diritto personale all’iniziativa economica, e fare i necessari passi a livello politico-istituzionale per dare a questi diritti un reale supporto nella pratica.
E’ fondamentale, per esempio, che il diritto delle imprese non venga criminalizzato – mentre invece avviene che la maggior parte degli imprenditori in Perù e molti altri nei Paesi dell’America Latina sia costretta a lavorare in modo informale o illegale. Il diritto di creare un piccolo business segue il diritto di associazione. Lo Stato ha il diritto di regolare i modi e le pratiche per costituire una impresa, e magari può offrire una piccola somma che possa aiutare chi investe a sostenere meglio le spese; ma la burocrazia dovrebbe essere più conveniente e veloce. Inoltre, è cruciale disporre di un larga scorta di micro-mutui per le persone povere che hanno promettenti piani di business. Le nuove istituzioni che si stanno specializzando nell’elargire questi prestiti dovranno partire da zero, dato che le maggiori banche esistenti nelle nazioni del Terzo Mondo prestano poco o niente ai poveri. Il prestito rappresenta la base del business, dato che i poveri non hanno capitali presistenti con i quali lanciare o espandere i loro affari. Tutto ciò che possiedono sono le loro idee, il loro sudore e le loro buone abitudini: ma dato che questa gente in fin dei conti è principale molla bel benessere di una Nazione allora possiamo giustificare anche creazione di istituzioni che promuovano chi ha buone idee.
L’ambientalismo blu, dunque, è per la diffusione di quelle istituzioni tese a distribuire i poteri e a diffondere e rafforzare la proprietà privata e la creatività. Attualmente, ad essere sul banco dei testimoni, non è il talento dato da Dio alle classi popolari, ma l’inadeguatezza del sistema politico e delle istituzioni sociali che hanno fallito nel farlo crescere e nel sostenerlo. La libertà, fondamentalmente, genere la speranza (realizzabile) di far entrare ogni donna, uomo o bambino nel cerchio del benessere universale, un benessere che il nostro pianeta sembra comunque destinato ad alimentare. I prodotti della terra sono stati creati per un fine universale e questo fine è la liberazione di ogni persona del mondo dalla prigione della povertà. Anche la la libertà ha una propria ecologia. L’ambientalismo blu nutre l’ecologia della libertà.
Tratto da National Review, Marzo 2003
Traduzione di Barbara De Rossi