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Nelle elezioni parlamentari del 12 giugno il governo di Erdoğan si è conquistato il suo terzo mandato: con il 50, 3% dei voti il primo ministro turco è stato legittimato di nuovo al potere, pur ottenendo un risultato diverso rispetto alle previsioni (che gli attribuivano una maggioranza ben più ampia) e soprattutto un numero di seggi troppo basso per poter riformare la carta costituzionale.

Una maggioranza in grado di poter modificare la Costituzione avrebbe permesso alla Turchia di introdurre alcune norme contro la discriminazione di genere, di protezione delle minoranze e di limitazione del potere dell’esercito che potrebbero avvicinare la tutela dei diritti agli standard europei. Tra le modifiche proposte dal primo ministro turco vi era però anche quella di trasformare la repubblica da parlamentare in semi-presidenziale o presidenziale, con elezione diretta del presidente, scelta che faceva pensare ad una sua potenziale candidatura futura.

Fino ad oggi le numerose riforme avviate da Erdoğan vanno nella direzione del cammino intrapreso per entrare nell’Unione, ma continuano a non convincere e dimostrarsi insufficienti per molti membri scettici dell’UE; contemporaneamente le stesse riforme hanno saputo attrarre e affascinare sempre di più tutto il mondo arabo.

In particolare, dopo che già il governo di Bülent Ecevit aveva avviato un dialogo con i paesi circostanti, e con il Medio Oriente in generale, gli sviluppi recenti dovuti al governo Erdoğan hanno portato a un cambiamento rispetto alla maniera in cui la Turchia è percepita nella regione grazie ai più elevati standard sociali, la sua maggiore prosperità, la democraticità del paese (se messa a confronto con quella di molti paesi dell’area) e la legittimità di potere. Portando a termine i procedimenti avviati dal governo precedente per una serie di riforme, il neo-eletto parlamento ha adottato nel 2002 un nuovo codice civile, apportando miglioramenti rispetto alla libertà di espressione, al diritto di riunirsi in assemblea e alle diseguaglianze di genere.

Nell’agosto del 2003 è stata bandita la pena di morte e si è legalizzato l’insegnamento in lingue diverse dal turco; a capo del Consiglio Nazionale di Sicurezza è stato posto un civile e si sono introdotte misure per prevenire la tortura. L’intero processo di riforme ha contribuito a far prendere al Consiglio Europeo, nel dicembre 2004, la decisione di avviare le negoziazioni di accesso della Turchia. Il governo ha preparato poi nuove riforme, questa volta riguardanti la Costituzione, che era ancora quella introdotta dopo il colpo di stato del 1982.

Nel settembre del 2010 le riforme costituzionali proposte dal governo sono state sottoposte a referendum: il governo ha così guadagnato ulteriore consenso e legittimità e ha introdotto le riforme in Costituzione con l’approvazione e il sostegno popolari. Il “sì” ha infatti ricevuto il 58% delle preferenze degli elettori contro il 42% di quelle ottenute dal “no”: i punti focali delle riforme approvate sono la possibilità di processare in sede civile i militari, a partire da coloro che compirono il colpo di Stato (la competenza dei tribunali militari viene, infatti, limitata al trattamento dei reati militari minori, mentre reati contro la sicurezza dello Stato e l’ordine costituzionale sono trattati esclusivamente dalla magistratura civile).

Per quanto riguarda la magistratura, le modifiche costituzionali hanno riguardato il numero e la scelta dei membri della Corte Costituzionale, la durata dell’incarico degli stessi (12 anni al massimo invece che fino al compimento dei 65 anni) e, soprattutto, la possibilità di ricorso individuale alla Corte e di controllo giurisdizionale delle decisioni del giudice da parte del Parlamento. Nonostante questo processo di riforme sia servito a rafforzare il sistema democratico, in base ai criteri stabiliti dall’Unione Europea, e dunque, più in generale, in base agli standard delle democrazie occidentali, quanto fatto finora dal governo agli occhi dell’Occidente è lungi dall’essere abbastanza.

La democrazia turca presenta ancora delle criticità: l’UE, in un rapporto del 2009, ha espresso alcune perplessità sull’ipotesi dell’ingresso del paese nell’Unione. Sebbene ci siano stati alcuni progressi in materia di diritti fondamentali, il paese ha tuttora bisogno di consolidare la promozione e il rispetto dei diritti umani: una delle questioni da risolvere riguarda l’attuale impunità dei colpevoli di reati come la tortura o i delitti d’onore.

Un altro aspetto particolarmente critico è la limitazione della libertà d’espressione, non ancora garantita sufficientemente dalla legge: lo scorso 15 maggio ad Istanbul e in altre 30 città turche si sono svolte manifestazioni contro la censura online, si è protestato contro le modifiche alla legislazione riguardante i media e la censura di internet, inasprita da un provvedimento che renderebbe obbligatorio istallare dei filtri web su tutti i computer; tale misura dovrebbe entrare in vigore il prossimo 22 agosto. In Turchia comunque attualmente più di 7000 siti web sono bloccati, nella maggior parte dei casi senza alcun riferimento alle motivazioni della censura.

Le donne e i bambini sono categorie a rischio: nel caso delle prime sono molto diffusi crimini come la violenza domestica, i delitti d’onore e i matrimoni forzati; nel caso dei minori il governo dovrebbe garantire condizioni migliori per quanto riguarda salute, educazione e lavoro minorile. Resta ancora aperta la questione di Cipro, isola divisa tra la Repubblica di Cipro, greco – cipriota, riconosciuta internazionalmente e membro dell’Unione Europea, e l’autoproclamata Repubblica Turca di Cipro Nord (RTCN) riconosciuta solamente dalla Turchia.

E’ stato fatto qualche passo avanti rispetto dei diritti delle minoranze, in primo luogo della popolazione curda, come ad esempio l’attivazione di un canale in lingua curda sulla TV nazionale, e la possibilità di avviare corsi di lingua curda, anche se privati; ciononostante le restrizioni per la popolazione curda sono ancora numerose, a cominciare da alcune lettere presenti nell’alfabeto (W, Q, X) di cui è vietato l’utilizzo.  Nonostante i tanti limiti di questo sistema democratico, il processo di riforme intrapreso dalla Turchia è uno dei fattori che hanno portato i paesi confinanti ad identificare la democrazia turca come un modello, in quanto capace di conciliare i principi e i valori delle democrazie occidentali con la religione musulmana.

L’AKP, al potere dal 2002, è un partito molto vicino all’Islam, che ha in comune con i partiti Cristiano-Democratici europei l’orientamento politico e quello economico, seppure riferiti a cornici ideologiche, quella europea e quella turca, molto diverse ma comunque accomunate dai prinicipi religiosi.

Questo dato ha fatto sì che molti paesi mediorientali, che guardavano alla Turchia come ad un paese in cui una minoranza laica governava su una maggioranza islamica, abbiano rimesso in discussione quest’immagine.

Uno studio condotto dal think-tank turco TESEV, nel 2009, in 7 paesi del Medio Oriente, ha rivelato che il 61% degli intervistati si trova in accordo con la visione della Turchia come modello per i paesi arabi. In particolare sono la Siria (72%) e la Palestina (73%) gli stati che maggiormente supportano questa visione. Dalla stessa ricerca si evince che il 63% considera la Turchia una buona sintesi tra democrazia e Islam; l’Iraq, come rispetto ad altri risultati, registra la percentuale più bassa di accordo (51%), mentre Palestina (74%) e Siria (72%) quelle più alte. Questo sondaggio di TESEV smentisce l’idea secondo la quale la storia dell’impero ottomano fa sì che ancora oggi nella regione mediorientale si faccia fatica ad avere un’immagine positiva della Turchia.

Il paese non è, infatti, percepito come una minaccia o un pericolo nell’area, ma piuttosto come un buon mediatore, esempio di democrazia e problem-solver. Del resto negli ultimi anni la Turchia si è proposta come facilitatrice all’interno dei conflitti regionali: ha tentato di mediare, nel 2008, tra la Siria e Israele, riguardo all’occupazione israeliana delle alture del Golan;tra Israele e Palestina; tra l’Iran e l’occidente; durante la guerra civile libanese.

I rapporti con Israele, storico alleato della Turchia, con cui il paese si era legato con un accordo militare nel 1996 si sono deteriorati negli ultimi anni: quando nel 2008, pochi giorni dopo un incontro tra il primo ministro turco e quello israeliano per definire la questione dei confini con la Siria,  Israele iniziò l’operazione Cast Lead, contro la striscia di Gaza, Erdoğan ne fu scioccato e la accusò come un’offesa personale da parte di Olmert, decidendo di sospendere il processo. Anche l’episodio dell’attacco israeliano alla Mavi Marmara, una delle navi della Freedom Flottilla che nel maggio 2010 ha tentato di consegnare aiuti umanitari a Gaza, ha allontanato i due governi: Erdoğan ha sospeso i rapporti diplomatici con il paese dopo l’uccisione di 9 attivisti turchi che viaggiavano a bordo della nave.

La Turchia ha affiancato alle scelte in politica estera, e all’azione diplomatica, nuove strategie di comunicazione con il mondo arabo, e con la Siria in particolare, sfruttando le risorse di soft power che già possedeva e attivandone di nuove per modificare le relazioni con il paese vicino. Durante la guerra fredda la Siria si era alleata con il blocco sovietico, mentre la Turchia era membro della NATO dal 1952; inoltre negli anni ’90 i due paesi erano stati vicini al conflitto: la Turchia controllava la gestione delle acque dell’Eufrate, che nasce in territorio turco, ma scorre anche in Siria e in Iraq, stabilendo dei limiti di erogazione e non riconoscendo il fiume come acque internazionali.

La Siria aveva reagito offrendo il proprio sostegno al PKK, il partito dei lavoratori del Kurdistan, e proteggendo il leader del movimento Abdullah Ocalan. La Turchia era dunque arrivata, nel 1998, a minacciare guerra alla Siria, che prontamente decise di estromettere Ocalan e di interrompere gli aiuti ai ribelli curdi. La risoluzione di questo conflitto aveva portato ad un miglioramento dei rapporti tra i due paesi, ma è stato il partito di Erdoğan ad avviare, a partire dal 2002, scambi commerciali, investimenti bilaterali, accordi militari e progetti di cooperazione.

Una serie di progetti sul territorio, e di programmi riguardanti i settori del commercio, della cultura e del turismo ha permesso al governo di Ankara di avere una presenza attiva nell’area e di migliorare le relazioni con il governo di Bashar al-Asad. Negli ultimi anni, per lo più tra il 2006 e il 2009, la Turchia ha inaugurato un programma di cooperazione interregionale con la Siria, che ha come settori d’interesse il commercio, le infrastrutture, la cultura e il turismo; un ufficio siriano con sede a Damasco della TIKA, l’agenzia turca per lo sviluppo e la cooperazione internazionale; un centro culturale della fondazione Yunus Emre, a Damasco; progetti di scambio tra le università turche e quelle siriane; un canale della tv di stato TRT interamente in arabo, TRT arabic, che trasmette 24 ore al giorno, principalmente soap operas e altri programmi di intrattenimento.

Il mercato turco delle serie televisive ha generato, tra il 2008 e il 2009, un fenomeno culturale senza precedenti: la MBC, un’emittente che rappresenta uno dei colossi del mercato televisivo arabo, ha avuto l’intuizione di far conoscere una serie TV, Gümüş (argento in turco), che non aveva avuto molto successo nel paese d’origine, al Medio Oriente, iniziando a distribuirla dopo averla fatta doppiare in arabo. Affidando il doppiaggio alla SAMA Art Production, una società di produzione siriana che si occupa anche di traduzioni, la MBC ha firmato un contratto con KANAL D, un’emittente televisiva turca, e dopo questa prima fiction, tradotta con il nome di Noor, Luce, in arabo, ha continuato ad acquistare i prodotti turchi per trasmetterli in tutti i paesi arabi.

Uno dei motivi di questo successo è dovuto al fatto che per la prima volta una serie TV fosse doppiata non in Fus’ha, l’arabo classico normalmente usato nelle altre esperienze di doppiaggio come quello di telenovelas sudamericane, ma in Amiyya, l’arabo colloquiale, una sorta di dialetto che varia da un paese all’altro.

Tra tutti i dialetti arabi è stato scelto il siriano per due motivi: è risultato più credibile, in quanto turchi e siriani si somigliano, hanno una fisionomia simile, lo stesso modo di gesticolare, gli stessi movimenti della bocca. Gli attori sono facili da doppiare e da rendere realistici e si muovono in scenari che, anche se con dei tratti più occidentali, ricordano quelli arabi. Inoltre questo dialetto ed è abbastanza diffuso visto che la Siria stessa ha fatto conoscere al mondo arabo le sue serie TV.

I siriani hanno saputo riconoscersi nelle storie narrate attraverso lo schermo televisivo e si sono lasciati affascinare e influenzare dalla cultura popolare turca veicolata dalle soap operas. In poco tempo queste fiction hanno saputo conquistare il mercato arabo, nonostante la stessa Siria, l’Egitto, e alcuni stati del Golfo, siano paesi con una ricca produzione televisiva.

Un altro elemento determinante per il successo della serie è il fatto che le vicende narrate fanno riferimento ad una società islamica: si tratta però di un islam moderato, dove le donne non hanno il velo, lavorano e dunque sono indipendenti. Quasi a voler dire alle donne arabe, che non aspettavano che questo, che essere musulmani non è un buon motivo per relegare la propria moglie dentro le mura domestiche o mancarle di rispetto. Allo stesso tempo però la società descritta non è lontana da quella siriana o di altri paesi dell’area, i valori culturali e le tradizioni si assomigliano: il modello patriarcale è essenziale ed enfatizzato in molte scene attraverso la figura dominante del saggio capo di famiglia, che suona l’oud, il liuto, e beve caffè turco.

Il fenomeno assume ben presto dimensioni di massa, tanto che l’ultimo episodio di Noor viene visto da circa 80 milioni di spettatori che, da tutto il Medio Oriente, sono sintonizzati su MBC4, il 30 agosto del 2008. Alcuni degli attori della serie vengono immediatamente ingaggiati per lavorare in altre fiction e in alcuni casi diventano testimonial di prodotti turchi.

E’ il caso di Kivanç Tatlitug, attore protagonista di Gümüş, il cui cachet ammonta a circa 100.000 dollari per comparire in un festival organizzato per beneficenza, quando qualsiasi superstar turca chiederebbe 30.000 o 40.000 dollari. L’attore, ex modello, è stato selezionato dalla Turkish Airlines, come testimonial per una nuova campagna promozionale in Medio Oriente: si tratta di una serie di spot e di manifesti pubblicitari che ricordano ai turisti arabi, e in particolare alle donne, che ci sono buone ragioni per visitare la Turchia.

Nello spot di circa un minuto, Kivanç Tatlitug si reca in tutti i luoghi più caratteristici di Istanbul, accompagnato dalle hostess della Turkish Airlines, che provvedono a prendersi cura di lui con ogni tipo di comfort, dalla coperta al caffè turco, mentre lui vola da una parte all’altra della città. La compagnia aerea turca ha anche inaugurato una serie di nuove mete verso alcune delle città del Golfo, e raddoppiato i voli per Damasco dopo che nel settembre del 2009 il governo turco e quello siriano hanno eliminato i visti d’entrata tra i due paesi. L’aumento del 33% di turisti arabi in Turchia, registrato dal 2009 al 2010, potrebbe essere una delle conseguenze di questi ultimi avvenimenti.

Le riforme descritte in precedenza, la ripresa economica, e dunque l’innalzamento degli standard sociali, accanto al fatto che il primo ministro stesse scegliendo di far intraprendere al paese la strada dell’Islam moderato, hanno reso la Turchia un modello di democrazia agli occhi dei paesi confinanti. Le scelte politiche intraprese dal partito al governo negli ultimi 10 anni sono alla base anche di un’altra delle motivazioni della fortuna delle produzioni televisive turche: sembrerebbe che Gümüş, come poi le altre serie, siano riuscite a penetrare nel mercato arabo, e soprattutto nei cuori dei milioni di fans che l’hanno seguita, anche e soprattutto grazie alla politica estera di Ahmet Davutoğlu.

Dieci anni fa la stessa operazione non sarebbe stata possibile, perché l’idea che l’opinione pubblica araba aveva della Turchia era molto diversa, ancora legata alle scelte che Ankara aveva fatto in passato. Anche se il doppiaggio di Noor non seguiva i piani di un’agenda politica segreta, il governo turco è stato abbastanza intelligente da cavalcare l’onda e sfruttare la situazione per avere accesso in Medio Oriente dal p unto di vista commerciale e politico.

Il trend di esportazione delle soap operas nei paesi vicini e alcune scelte politiche si sono mossi di pari passo, e alla fine la Turchia è riuscita a conquistare l’opinione pubblica araba. A partire dal mese di marzo del 2011 la Siria è divenuta teatro di proteste anti-governative che il governo di Bashar al-Asad non ha esitato a reprimere con la forza, causando centinaia di morti in soli tre mesi.

La Turchia si è dunque ritrovata in amichevoli trattative con un governo che si è dimostrato tutt’altro che democratico e, condannando la repressione, ha invitato il presidente Al-Asad ad ascoltare il suo popolo che richiede una serie di riforme.  Il ministro degli esteri Ahmet Davutoğlu ha dichiarato, durante una conferenza stampa lo scorso 29 aprile a Konya, che “il futuro della Siria è tanto importante quanto quello della Turchia stessa”, a testimonianza di come in questo momento la situazione siriana rivesta un’importanza cruciale per la Turchia.

Il governo Erdoğan si è detto disponibile a guidare la Siria in un processo di riforme, per intraprendere un vero e proprio percorso di democratizzazione del sistema, mentre non ha mai accennato alla possibilità di un cambio di governo per la Siria, avendo costruito con Al-Asad un’alleanza contraddistinta da reciproci interessi e dichiarate affinità.

E’ difficile capire quale ruolo assumerà la Turchia, ma appare chiaro che se ne ritaglierà uno: con 822 km di confine in comune, da Hatay a Şırnak, qualsiasi instabilità in Siria si rifletterebbe immediatamente nella situazione interna turca e avrebbe conseguenze pericolose per la stabilità della Turchia dal punto di vista economico, commerciale e politico.