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La formazione della classe dirigente e l’alta formazione politico-istituzionale è uno dei cardini sui cui la Fondazione Magna Carta è nata nel lontano nel lontano 2003. Oggi la nostra Scuola di Alta Formazione Politica è arrivata alla 14ma edizione e da allora siamo orgogliosi di aver contribuito ad accompagnare molti giovani studenti e professionisti ad orientarsi nel difficile passaggio tra Università e carriera professionale, soprattutto quando questa si è svolta nell’ambito politico istituzionale.

Gli Alumni della nostra Scuola fanno oggi parte a tutti gli effetti della classe dirigente del Paese: alcuni operano nell’ambito delle Istituzioni, altri hanno scelto la carriera accademica, altri quella forense, altri infine hanno optato per il percorso imprenditoriale, ma tutti hanno mantenuto vivo il loro interesse e contributo alla politica, intesa come “cosa pubblica” e come strumento di esercizio della democrazia. Quella democrazia cui tanto più le giovani generazioni devono prendere parte, contribuendo alla definizione del futuro del nostro Paese.

Accogliamo con piacere il riaccendersi di un dibattito di alto livello sulla formazione delle classi dirigenti nel nostro Paese, che riproponiamo confidando nel fatto che veda nuovi e numerosi sviluppi.

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Di seguito la lettera di Silvio Berlusconi al Corriere della Sera pubblicata dal quotidiano il 18 maggio 2020

Caro direttore,
questa mia riflessione nasce dalle importanti considerazioni di Ferruccio de Bortoli sul capitale umano e la classe dirigente nel nostro paese, pubblicate ieri sul Corriere della Sera.

Una premessa mi è d’obbligo: da più di 25 anni sono un leader politico, ma la mia vera professione, il lavoro che amo, quello con il quale credo di essere riuscito a realizzare qualcosa di importante non solo per me e per la mia famiglia ma per il Paese è quello di imprenditore. Ho sempre creduto, da liberale, che siano proprio gli imprenditori veri — quelli capaci con le loro forze, di creare, di innovare, di trasformare — ad esercitare una funzione pubblica importante, nell’interesse della collettività. In qualche modo, il mio successivo impegno in politica — nato da una condizione di necessità per la situazione del Paese e di cui sono orgoglioso — l’ho sempre inteso come continuazione di quella funzione sociale, come assunzione diretta di una responsabilità nei confronti del paese che tanto mi ha dato e al quale credo di aver dato qualcosa.

So bene, naturalmente, che da quel momento ho scelto di rappresentare una parte e che questo, nel bene e nel male, induce a dare una lettura politica di quello che dico. Però in questa circostanza mi sono sentito chiamato in causa proprio come imprenditore, come parte di quella borghesia produttiva, di quella «classe dirigente privata» di cui parla de Bortoli, che non può limitarsi a chiedere aiuti pubblici — che pure sono doverosi in questo momento per tenere in vita il sistema produttivo — né può limitarsi ad atti di filantropia individuale, ai quali pure io stesso non mi sono sottratto.

Per questo, da imprenditore — e senza che questo abbia alcuna valenza politica o di parte — propongo ai miei colleghi imprenditori, ma anche ai grandi manager, di sederci intorno a un tavolo e di ragionare concretamente su come dare seguito all’appello di de Bortoli. Come venire in aiuto alla formazione della futura classe dirigente di questo paese, quella di cui oggi scontiamo l’assenza in tutti i campi, in politica ma anche in ogni altro aspetto della vita pubblica, dall’economia alla giustizia, dal sindacato all’università, dalla dirigenza pubblica alla ricerca. Sono tutti ambiti nei quali il nostro paese oggi produce ed anche esporta eccellenze individuali, ma è privo di un tessuto collettivo qualificato. Come si rimedia a questo? Prima di tutto con un grande investimento nell’alta formazione, che tradizionalmente in Italia è debole e che nei momenti di crisi viene ulteriormente penalizzata.

La nostra responsabilità sociale di imprenditori è quella di guardare al futuro del nostro paese. Quel futuro nel quale vivranno ed opereranno le aziende che abbiamo creato. Dobbiamo occuparcene. Possiamo dare vita, con le nostre forze, ad una grande iniziativa privata per l’alta formazione, che integri e completi ai vertici il sistema pubblico dell’istruzione. Che selezioni e faccia crescere i migliori, concedendo un’opportunità a prescindere dal reddito e dalle condizioni di partenza. Potrebbe essere un primo passo di un percorso più ampio. Di una più ampio progetto per il futuro del paese al quale, come imprenditori, possiamo dare un contributo importante di idee e di esperienza, oltre che di mezzi economici. Conosco molti colleghi imprenditori o manager di grandi aziende che condividono questa sensibilità. E’ il momento di farsi avanti, di uscire allo scoperto, di ragionare e agire insieme. Senza alcuna connotazione politica, in un servizio civile per l’Italia.