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Il Circolo dei Liberi di Firenze e la Fondazione Magna Carta, organizzano a Firenze un Convegno internazionale di studi dedicato a “La Pira, Don Milani, Padre Balducci”. Il laboratorio Firenze nelle scelte pubbliche dei cattolici dal fascismo a fine Novecento. Il Convegno, realizzato con la collaborazione dell’Assessorato alla cultura e il sostegno dell’Ente Cassa di Risparmio, si terrà in Palazzo Vecchio (Salone de’ Dugento) per i giorni 23-24 maggio 2008.

L’orizzonte è costituito dalla multiforme presenza e azione dei cattolici nella storia dell’Italia repubblicana. Presenza che ha visto il cattolicesimo fiorentino tra le forze protagoniste, in una prima fase (il momento lapiriano, per semplificare, dal dopoguerra agli anni Sessanta) come parte atipica del cosmo democristiano; in una seconda, proiettato nelle effervescenze “rivoluzionarie” degli anni Sessanta e Settanta (don Milani, padre Balducci e le loro cerchie diversissime ma convergenti); in una terza, ormai segnata da frammentazione e dispersione, inserito in misura significativa nell’establishment locale e nazionale del PCI e delle sue successive trasformazioni.Bisogna dunque estendere la ricerca corrente su Firenze. Oltrepassata la vicenda di forte caratterizzazione (non oltre gli anni Ottanta) della prima e seconda linea, le posteriori generazioni cattoliche attive a sinistra sembrano ereditare un ecclettismo fiorentino-bolognese (la tarda rilevanza del “dossettismo” a Firenze)non limitato alla cultura politica. Ciò rende questa opposizione  cattolica tanto duttile ad ogni metamorfosi delle e nelle sinistre, quanto ferma nell’ostilità contro un ‘governo’ della chiesa che combatta questa direzione. Ferma nell’ostilità al pontificato di Wojtyła; più recentemente, e per l’Italia, alla presidenza del Cardinale Ruini.L’idea di un impegnativo Convegno di studio nasce dalla evidente complessità e sintomaticità di questi cenni.Obiettivo delle sessioni di lavoro è iniziare ad offrire una risposta a domande ormai mature. Anzitutto: perchè una tale disposizione dei cattolici a convergere a sinistra, sia pure in stagioni e percorsi diversi? E poi: in che misura il Concilio Vaticano II è stato determinante nel profondo mutamento delle scelte pubbliche e, più profondamente, nelle loro premesse intellettuali? Per altro verso: perché linguaggio e tesi di un testo tipico, come la Lettera ad una professoressa di don Milani, penetrano nelle sinistre del Sessantotto ma persistono anche nella sinistra di questi anni? Sembra che ormai sia obbligatorio per la sinistra, anche per il nuovo partito democratico, compiere il pellegrinaggio sulla tomba del prete di Barbina. Infine, una domanda inevitabile: perché l’evidente, e costitutiva, carenza di cultura liberale nelle figure che hanno caratterizzato quella stagione  fiorentina?L’impianto del Convegno è costituito anzitutto dalla dimensione cronologica; non possono essere confusi momenti e generazioni, in un arco così vasto, che va còlto dalle sue premesse prebelliche, almeno dagli anni Trenta. Il Convegno tenta di esplorare le “stagioni” della elaborazione fiorentina, nelle forze diversamente trainanti, rivalutando il ruolo delle minoranze antiprogressiste e resistenti, ovvero i soggetti “esterni” al cattolicesimo conciliare-critico-politico (e spesso osteggiati): associazionismo laicale storico e movimenti promotori di visibilità cattolica (e associati alla DC) e di opposizione anti-secolarizzante. Ad esempio CL. Non senza attenzione al difficile adattamento delle strutture ecclesiastiche ai decenni di crisi.Quello che vogliamo è cercare di trovare similitudini e differenze in esperienze composite durate quasi cinquant’anni cercando di non buttare via una riflessione intensa che ha visto uno sforzo di sintesi non semplice né banale tra teologia, teoria e azione politica. Il giudizio su La Pira, Don Dilani e padre Calducci non può essere alla pari. Davanti ad un eclettismo messianico e visionario del primo, saldamente ancorato nella fede nel magistero della Chiesa, e costretto a confrontarsi con i drammatici problemi di una città del dopoguerra – la disoccupazione, la mancanza di alloggi, la povertà – sta l’antimodernismo apocalittico, nutrito di germi suo malgrado totalitari, di Don Milani e un progetto tutto politico del fondatore della rivista “Testimonianze”. E’ allora è necessario affermare la necessità da parte di un pensiero post ideologico popolare, conservatore e realista riprendere le spinte migliori di quella esperienza: una visione della politica al servizio degli altri, un’idea di città come comunità con storia tradizioni e futuro propri e non vista come semplice coacervo e sommatoria di interessi da tenere uniti senza nessuna immagine del futuro. Una visione di Firenze votata ad una dimensione internazionale e aperta ad orizzonti di pace.            

(L’Occidentale)