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Signor Presidente, colleghi senatori, signori del Governo, vorrei innanzitutto ringraziare lei, presidente Schifani, per aver consentito di giungere al voto nei tempi previsti, senza comprimere lo spazio del confronto in un’Aula che pure, in una sera di appena un mese e mezzo fa, aveva conosciuto la tensione delle emozioni forti. Ringrazio il Governo, il ministro Sacconi, il sottosegretario Fazio e in particolare il sottosegretario Roccella per la costanza, il rispetto e la discrezione con cui ha seguito i nostri lavori. E ancora grazie al presidente Antonio Tomassini, al Capogruppo in Commissione, Michele Saccomanno, e a tutti i membri del Popolo della Libertà della Commissione igiene e sanità; e un ringraziamento speciale al relatore, Raffaele Calabrò, per la pazienza, l’attenzione e la tenacia con cui ha portato a termine un non facile compito. Ringrazio il presidente del nostro Gruppo, Maurizio Gasparri.

Abbiamo condotto questa battaglia all’unisono, con la stessa passione e il comune sentire di chi appartiene davvero a una sola casa. Mi sia anche consentito di stringere in un caloroso abbraccio tutti i componenti del Gruppo, anche coloro che dopo di me interverranno in dissenso, perché in un grande partito capita a tutti, una volta o l’altra di essere in minoranza. In questi casi, oltre a pretendere rispetto, lo si deve anche dare: tale regola esce più forte da questa battaglia parlamentare. Infine, e non pro forma, ringrazio l’opposizione per la lealtà con cui ha perseguito le proprie istanze; il rammarico, semmai, è che non siano state colte alcun aperture che pure erano state sollecitate.

Vengo al merito del provvedimento e parto dall’intervento del senatore Veronesi, che non vedo in Aula e che, se non ho potuto apprezzare per i riferimenti al diritto costituzionale – me lo si lasci dire – piuttosto incerti, mi ha molto colpito per il suo vissuto e per la profonda esperienza che ha comunicato. Si è trattato di un invito all’empiria, al fatto che, laddove valgano la deontologia professionale, il giuramento di Ippocrate e i rapporti umani si basano su un segno consolidato di civiltà, non vi è bisogno di legge. Signor Presidente, la maggior parte di noi, partendo da convincimenti diversi da quelli del senatore Veronesi, concorda sul fatto che su questo tema non si sarebbe dovuto legiferare. Ma a sfidare il legislatore è stata la magistratura, con interventi che abbiamo giudicato al di fuori dell’ordinamento. Assieme alla magistratura, a sfidare il Parlamento è stata una lobby – senatrice Finocchiaro, si può prenderne le distanze, ma non la si può disconoscere – che vuole ideologizzare tali temi allo scopo di spostare più in là la frontiera dei diritti anche a costo di distruggere la civiltà e la cultura condivise di questo Paese, introducendo l’eutanasia senza neanche prendersi il disturbo di chiamare le cose con il loro nome. Noi non abbiamo consentito che il Parlamento e la politica abdicassero.

Dunque, eccoci qui ad approvare una legge che fissa tre capisaldi. Innanzitutto impedisce che le volontà di una persona possano essere ricostruite ex post, addirittura dallo stile di vita. Essa stabilisce che nessuno può arrogarsi il diritto di decidere quando una vita e è degna di essere vissuta e quando non lo è, o addirittura di affermare che vi sia un momento, prima della morte, in cui una persona cessi di essere tale. La religione, colleghi senatori, non c’entra nulla: basta rifarsi ai fondamenti della nostra civiltà umanistica o richiamare «Delitto e castigo» di Dostoevskij per comprendere quanto le norme di garanzia introdotte in questa legge siano immaginate in difesa dei più deboli. Il secondo principio riguarda la necessità che il futuro resti sempre aperto e che non venga ipotecato; che nessuno possa essere impiccato a una scelta precedente, mentre magari nel frattempo la scienza, che voi vorreste sempre con la «s» maiuscola, si è evoluta; che nessuno possa essere privato di quello spazio di sensazioni e di meraviglia che la vita deve potere offrire fino all’ultimo istante. Anche in questo, colleghi senatori, la religione non c’entra. Lo spiraglio che abbiamo lasciato aperto per consentire che l’alleanza terapeutica tra medico e paziente prosegua fino alla fine e in qualsiasi condizione è una garanzia contro l’affermazione di una deriva deterministica, per la quale tutto può essere programmato, pianificato, vincolato. Senatrice Finocchiaro, a noi i piani quinquennali non sono mai piaciuti, a maggior ragione se riguardano il corpo di una persona.

La libertà di contraddirsi e di essere contraddetto dagli eventi è propria della migliore tradizione illuministica e non è un caso che un uomo non religioso come Leonardo Sciascia la volle scolpita nel suo epitaffio: «Contraddissi e mi contraddissi». E infine, si è discusso a lungo se alimentazione e idratazione siano cure o meno: è stato il momento più controverso del nostro dibattito e sul punto anche la scienza è divisa. Non saremo manichei, come alcuni dei nostri avversari: non diremo che vi è unanimità là dove non c’è e di fronte ad un’incertezza in questo campo a prevalere dovrebbe essere per tutti, sempre, un principio di precauzione. Ma a guidarci è stata anche una scelta culturale, che proviene da quel senso assoluto del diritto alla vita, che troppo frettolosamente è stato presentato in quest’Aula come interesse esclusivo dei cattolici, dimenticando ad esempio quanto sia miliare nella Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo o persino nella Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Signor Presidente, colleghi senatori, signori del Governo, è stato persino affermato che questa legge sarebbe stata scritta sotto dettatura del Vaticano e risponderebbe ad un vincolo di fede piuttosto che a scelte laiche. Ebbene, non ce ne vergogniamo: abbiamo avuto massima considerazione anche per le posizioni espresse dalle Chiese, in particolare da quella cattolica, che rappresenta parte importante dell’identità del nostro popolo. A differenza sua, senatore Maritati, non riteniamo che laicità significhi rinchiudere la fede nel ghetto della coscienza individuale.

Le Chiese non solo hanno il diritto di intervenire nello spazio pubblico, ma hanno il dovere di farlo: questa legge, però, nasce dal libero convincimento di liberi legislatori, non è stata impermeabile a influenze culturali differenti. In Italia, vi sono stati in passato molteplici e importanti momenti di dialogo tra cattolici e laici: agli inizi della nostra storia repubblicana, quando la collaborazione tra uomini come De Gasperi, Saragat e La Malfa determinò la collocazione atlantica del Paese e anche lo sviluppo di un partito cattolico non confessionale; e poi, a sinistra, quando il faro fu la giustizia sociale. Oggi, si apre la prospettiva inedita di un dialogo tra cattolici e liberali che non lasceremo cadere: entrambi, seppure da prospettive diverse, impegnati affinché non si ripresenti sotto altra forma il costruttivismo sconfitto dalla storia, l’ingegneria sociale non diventi antropologica e non torni a circolare quel virus della presunzione fatale che nell’illusione di esorcizzare la debolezza insita nella condizione umana rischia di attentare alla sua più intima libertà. E infine, mi rivolgo ai colleghi dell’opposizione: non aspiriamo ad avere i quarti di nobiltà politico-culturale dei Gattopardi, non frequentiamo i salotti radical‑chic dove queste insegne vengono attribuite, ma preferiamo il senso comune della gente comune.

Volevo dirvelo da quella sera nella quale emozionati ci scontrammo duramente: in questa parte dell’emiciclo non ci sono sciacalli e soprattutto non c’è chi crede di essere il sale della terra; non lo abbiamo creduto prima del 1989, a maggior ragione non lo crediamo oggi, che la storia ci ha dato ragione. Per questo, signor Presidente, non siamo sicuri che quella che stiamo approvando sia la legge migliore, ma sappiamo di aver fatto un buon lavoro e di possedere gli argomenti e la forza morale per spiegarla ad un’opinione pubblica fin qui intossicata di ideologia.

(Il testo dell’intervento del presidente onorario della Fondazione, Gaetano Quagliariello, in sede di approvazione del ddl sul testamento biologico)