Privacy Policy Cookie Policy

 

Gli “indignati”? Un movimento spontaneo che ha riempito le piazze spagnole, per dire basta alla precarietà, alla disoccupazione e alla crisi economica. Ma anche, e qui sta il rischio, un fenomeno antipolitico e populista, che imputa tutti i mali al “Palazzo” e al “Sistema” senza riuscire a interpretare effettivamente quali siano le debolezze e i ritardi della società che comunque quella politica esprime. Per tracciare un ritratto su quello che sta accadendo in Spagna, tra “indignati”, rischio default e la sconfitta elettorale di Zapatero, abbiamo intervistato Javier Zarzalejos, direttore dell’Area Constituzionale e Istituzionale di FAES, Fundaciòn para el anàlisis y los estudios sociales, la fondazione spagnola impegnata a diffondere il pensiero liberale presieduta dall’ex premier Josè Maria Aznar. Insieme a FAES, la Fondazione Magna Carta ha organizzato una giornata di studio sul fallimento del multiculturalismo, il 6 giugno a Roma, nella sede di fMC.

Direttore, chi sono gli “indignati”, contro cosa e contro chi hanno manifestato nelle piazze spagnole?

In un paese con oltre il 20% di persone senza lavoro, la disoccupazione giovanile è realmente un problema atroce e, con così poche opportunità per il futuro, il disagio sociale è assai esteso. Gli “indignati” sono stati considerati come gli interpreti di questo malessere e, durante i primi giorni della loro protesta, hanno ottenuto la comprensione e la simpatia di ampi settori della società. Col passare dei giorni, però, ad emergere è stato un puro discorso antipolitico e la volontà di opporsi al “sistema”, mettendo in evidenza i limiti di una protesta come questa.  

Si può dire che rappresentino il “vento dell’antipolitica” che sta spazzando altri Paesi europei, Italia compresa?

E’ importante capire che, nel disprezzare la politica, la democrazia perde ogni senso perché non ha più l’obiettivo di chiedere un rendiconto a chi governa e non vale piú la pena votare visto che, comunque, è “il sistema” che comanda. L’arrogante pretesa di contare qualcosa grazie ai principi-chiave di una “democrazia reale” stride con la negazione della competizione democratica, che implica invece la scelta di opzioni in un terreno di gioco le cui regole sono condivise. La seconda di queste bugie è quella di demonizzare la politica mentre viene salvata la società, considerandola una vittima, senza peccato, di una casta di privilegiati “che non ci rappresenta”. Ci piaccia o no la politica è uno specchio della società. Sarebbe molto tranquillizzante – e illusorio – pensare che i nostri problemi si risolvano solo liberando una società stupenda da una politica malata. La realtà è molto più complessa. Gli “indignati” si considerano truffati dal sistema e hanno ragione quando denunciano un orizzonte carente di aspettative. Ma questo rimprovero dovrebbero rivolgerlo anche contro un sistema educativo che li ha abbandonati per colpa di paradigma pedagogici volutamente pretenziosi, critici ed emancipatori, ai quali siamo ancora legati nonostante il loro chiaro fallimento. I giovani della Puerta del Sol esigono responsabilità dalle banche, dai mercati e dal capitalismo. Va bene. Ma se non vogliono ingannarsi non dovrebbero dimenticare di fare i conti anche con Marcuse, Foucault e Sartre.

Che influenza hanno avuto gli “indignati” nelle ultime elezioni amministrative, se ne hanno avuta? Si tratta di un movimento che favorisce l’estrema sinistra?

L’effetto elettorale di questa protesta, se ne avesse uno, è un tema aperto alla speculazione. Gli esperti infatti non sono d’accordo. C’è chi dice che le proteste in piazza, per definizione, danneggiano il Governo. Altri, invece, sostengono che questa protesta potrebbe avere effetti significativi nella mobilitazione della sinistra. Personalmente penso che a beneficiarne siano i partiti minori della sinistra e le alternative più radicali di essa, ma di sicuro non il PSOE, perché la mancanza di credibilità di questo partito è ormai irreparabile. Come in tanti altri paesi, anche in Spagna abbiamo problemi sociali e dal punto di vista dell’organizzazione politico-istituzionale. Ma se c’è una cosa da cui la Spagna dovrebbe fuggire è l’antipolitica, un filone dal quale non è uscito altro che populismo, e dunque la giustificazione per l’autoritarismo interventista e gli alibi per la corruzione.

Fino a pochi anni fa la Spagna era un modello di crescita per l’Europa. Oggi è la nazione europea con la disoccupazione più alta e a rischio default. Cos’è accaduto? Quali sono state le responsabilità dei socialisti nella situazione attuale?

Rispondo limitandomi a ricordare qualche fatto: quando il PSOE è andato al potere, si è trovato con la migliore eredità economica che nessun’altro governo spagnolo aveva avuto in precedenza. Probabilmente Zapatero avrà pensato che si trattasse di un dono caduto dal cielo. Bloccò le riforme necessarie per la crescita del Paese, intraprese dal governo Aznar, e iniziò a spendere senza limiti, elargendo soldi pubblici specialmente a favore di certe regioni in cambio del loro sostegno politico. Poi, nel momento in cui la gravità della situazione divenne evidente a tutti, Zapatero negò la crisi e, quando ormai era troppo tardi per minimizzarne gli effetti, finalmente ammise le sue colpe, senza però adottare nessuna misura reale per salvare la Spagna dal tracollo economico.

Torniamo dall’economia alla società. La prossima settimana FAES è ospite della fondazione Magna Carta per un convegno sulla crisi della società multiculturale. Crede che questo modello sia arrivato effettivamente al capolinea?

Credo che il multiculturalismo abbia fallito perché nessun sistema democratico e liberale può funzionare veramente se vengono svuotati di valore i princìpi su cui si basa la società stessa. La democrazia liberale è un prodotto unico e storicamente singolare della cultura occidentale e le sue radici si fondano sulla razionalità, l’universalità dei diritti umani, l’uguaglianza come espressione della dignitá degli uomini e delle donne, il rispetto della legge e l’essenziale libertà religiosa e di coscienza. La Gran Bretagna, la Germania e l’Olanda, proprio quei paesi che hanno fatto del multiculturalismo il paradigma delle loro società osservano ora il fallimento di questa via. L’unica alternativa è affermare quei valori che non sono negoziabili, non con lo scopo di imporli ma bensí per esigere che vengano rispettati in modo da rendere possibile la convivenza. 

Come sono cambiati e quali sono, secondo lei, i nuovi assetti strategici, economici e geopolitici, nel Mediterraneo, dopo le rivoluzioni che hanno sconvolto il Nordafrica e il Medio Oriente? Quale sarà la politica sugli immigrati di un eventuale nuovo governo a guida popolare?

I cambi dello scenario strategico nel Mediterraneo sono evidenti ma non sappiamo quale sarà il risultato. Non possiamo neanche dare per scontato che le rivolte evolvano verso la democrazia né si può rinunciare all’idea che anche queste società abbiano diritto a cogliere un’opportunità di sviluppo verso istituzioni libere e verso un progresso economico e sociale. Senza alcun dubbio bisogna lavorare con i leader democratici, bisogna stabilire un compromesso a lungo termine in modo che possano aprirsi alla libertà e alla democrazia. Questa è la nostra migliore garanzia di sicurezza. Sarà un processo che durerà molto tempo e l’immigrazione è una delle sue manifestazioni più problematiche. E’ anche un fenomeno straordinariamente complesso che ha delle caratteristiche diverse in Spagna e in Italia. Ma è chiaro che, per affrontarlo efficacemente, non può mancare la solidarietá tra i paesi europei e la cooperazione con i paesi di provenienza.

* Direttore dell’Area Constituzionale e Istituzionale di FAES

(Traduzione ed editing a cura di Fabrizia B. Maggi)